Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20028 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2010, (ud. 02/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1711-2003 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

DOX AL ITALIA SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 451/2001 della COMM. trib. REG. di MILANO,

depositata il 21/11/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per inammissibilità ricorso del

Ministero, rigetto del primo motivo, inammissibilità del secondo

motivo, accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso.

 

Fatto

A seguito di indagini penali sulla presunta esistenza di un’organizzazione finalizzata all’emissione di fatture false ed al commercio di prodotti chimici per uso zootecnico e farmaceutico, la Guardia di finanza redigeva, in data (OMISSIS), un primo p.v.c. a seguito del quale l’Ufficio II.DD. di Desio emetteva nei confronti della società DOX-AL Italia S.p.A. un primo avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito d’impresa relativo all’esercizio conclusosi il 31.12. 1991.

Nel corso dell’anno (OMISSIS) la Guardia di finanza procedeva ad eseguire ulteriori indagini, durante le quali venivano individuate numerose società che operavano nel settore commerciando materie prime in via extracontabile e che per creare liquidità emettevano anche fatture false per vendita di beni. Con queste risultava avere avuto rapporti anche la DOX-AL Italia S.p.A. per cui nei confronti della stessa veniva redatto, in data (OMISSIS), altro p.v.c. sulla base delle dichiarazioni dei titolari di una delle società indagate.

A seguito di tale ultimo p.v.c. l’Ufficio II.DD. di Desio notificava il (OMISSIS) alla DOX-AL Italia S.p.A. altro avviso di accertamento, con il quale integrava il precedente recuperando a tassazione l’ulteriore importo di L. 37.800.000 con le relative sanzioni.

Avverso detto atto la società proponeva ricorso innanzi alla C.T.P. di Milano, lamentando l’utilizzazione di elementi provenienti da indagini penali a carico di terzi, illegittimità dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria e la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento.

La C.T.P. respingeva l’impugnativa. Proponeva appello la contribuente deducendo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 3, e art. 43, comma 3, artt. 2697 e 2729 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42. Resisteva l’Ufficio, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’atto di appello per mancanza di procura al difensore e l’inammissibilità del motivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 perchè nuovo rispetto alle censure formulate in primo grado.

La C.T.R. della Lombardia rigettava la prima eccezione, non si pronunciava sulla seconda ed accoglieva l’appello per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3. Riteneva, inoltre, illegittima l’utilizzazione di elementi acquisiti in sede penale in difetto di autorizzazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 33 nonchè dell’acquisizione delle prove testimoniali rese nel procedimento penale, data l’inammissibilità delle stesse nel processo tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7.

Avverso detta decisione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. La società DOX-AL Italia S.p.A. non risulta costituita.

Diritto

Con il primo motivo l’A.F. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53, 18 e 12 per avere la C.T.R. respinto l’eccezione preliminare relativa all’inammissibilità dell’appello proposto per carenza di mandato alle liti non conferito al difensore che aveva sottoscritto e presentato il ricorso.

Con la seconda censura si deduce l’omessa pronuncia e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per non essersi la C.T.R. non solo pronunciata in ordine all’eccezione che denunciava l’impugnazione proposta per la prima volta in appello relativa alla carenza di elementi nuovi nell’avviso di accertamento integrativo, ma per avere accolto il gravame proprio sulla base di tale doglianza.

Sostiene parte ricorrente l’erroneità di ultima statuizione in quanto l’avviso di accertamento integrativo era stato emesso a seguito del p.v.c. della Guardia di finanza del (OMISSIS), mentre il precedente era stato eseguito sul diverso p.v.c. redatto il (OMISSIS), come, peraltro, puntualizzato dall’Ufficio, anche in sede di costituzione nel giudizio di primo grado.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto inutilizzabili ai fini fiscali gli elementi probatori acquisiti in sede penale in difetto dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, mentre detta autorizzazione era stata acquisita per come, peraltro, riconosciuto dalla stessa società anche se ne aveva contestato la legittimità in sede contenziosa. Comunque parte ricorrente rifacendosi alla uniforme giurisprudenza di questa Corte insiste sull’utilizzabilità di tali elementi anche in assenza di detta autorizzazione.

Con l’ultima doglianza si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 per avere la C.T.R. ritenuto inammissibili le dichiarazioni testimoniali rese nel procedimento penale ed acquisite dall’ufficio per il processo tributario perchè prodotte in violazione della norma sopraccitata, mentre sussiste tale divieto solo per le testimonianze da rendere nel processo tributario, potendosi invece usufruire delle dichiarazioni rese in altra sede.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Dall’esame degli atti, permesso a questa Corte, trattandosi di denuncia di vizio in procedendo si rileva che la procura conferita dalla società al difensore, pur non essendo presente nella copia notificata all’appellata Amministrazione per essere stata conferita in data successiva alla notificazione(4 aprile 2000), è tuttavia allegata all’atto depositato nella segreteria della C.T.R. il 6 aprile 2000, data rilevata dal timbro apposto dalla stessa segreteria della C.T.R. in testa all’atto di appello.

Tale conferimento risulta legittimo a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 18. L’art. 18 al comma 3, infatti, prevede che: “il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore del ricorrente e contenere l’indicazione dell’incarico a norma dell’art. 12, comma 3”, formalità rispettata; detto incarico, poi, può essere conferito anche successivamente “con atto pubblico o con scrittura privata autenticata od in calce o a margine di un atto del processo nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato”. Anche detto incombente risulta rispettato, essendo stato l’atto attestante il conferimento dell’incarico nei termini di legge, allegato all’atto di appello ritualmente depositato presso la C.T.R..

Il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, pur non essendo condivisibile la doglianza relativa all’omessa pronuncia sulla lamentata novità dei motivi di appello in violazione dell’art. 345 c.p.c..

Il giudice del merito, infatti, per ottemperare all’obbligo della motivazione del convincimento raggiunto, non è tenuto a prendere in esame e a valutare tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che, dopo aver considerato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti quegli altri rilievi e circostanze che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

Peraltro, è giurisprudenza consolidata di questa Corte quella secondo cui “Ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2 (come sostituito, nel testo vigente, dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52), non sono ammissibili nuove eccezioni, al di fuori di quelle rilevabili d’ufficio, mentre sono sempre proponibili le mere difese, che si differenziano dalle prime, poichè con esse le parti si limitano a contestare genericamente le reciproche pretese.”(cfr., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 15211, 17563 e 18096 del 2005 e 5678 del 2006).

Nella specie la società nel ricorso introduttivo aveva chiesto l’annullamento del secondo accertamento facendo esclusivo riferimento al fatto che l’Ufficio avesse utilizzato elementi provenienti dalle indagini penali e dichiarazioni testimoniali presenti nello stesso procedimento, mentre solo con l’atto di appello aveva impostato una diversa domanda chiedendo l’annullamento dello stesso atto, ma con riferimento al fatto che tale nuovo accertamento non fosse giustificato da nuovi elementi conosciuti dall’A.F. solo successivamente all’emissione del primo avviso di accertamento. Tale eccezione non rilevabile d’ufficio non può essere considerata una mera difesa, ma una questione che attiene alla fondatezza della domanda nel merito, e come tale costituisce eccezione in senso proprio, rilevabile solo ad istanza di parte, e, ove come nella specie, sia applicabile il nuovo testo dell’art. 345 cod. proc. civ., inammissibile se proposta per la prima volta in appello (cfr., cass. civ. sent. n. 19170 del 2005).

Anche il terzo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente stante la loro intima connessione logico giuridica, sono da accogliere.

Lamenta sostanzialmente l’Agenzia delle entrate che erroneamente la C.T.R. avrebbe affermato che “l’Ufficio non ha fornito alcun elemento documentale atto a supportare la falsità delle fatture”, per avere utilizzato materiale probatorio e prove testimoniali provenienti dalle indagini penali svolte dalla stessa Guardia di finanza nell’ambito del procedimento penale a carico delle società di cui alla narrazione del fatto, in difetto dell’autorizzazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 33.

Tale doglianza è fondata.

Infatti l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una precisa previsione in tal senso. Pertanto, gli organi di controllo possono utilizzare tutti gli elementi ed i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo naturalmente la verifica di attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (cfr., cass. civ. sent. n. 8344 del 2001), non sussistenti nella specie.

Infatti, la mancanza dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e D.P.R. 10 ottobre 1972, n. 633, art. 63 per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o di un processo penali, a parte le conseguenze di ordine penale o disciplinare a carico del trasgressore, non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l’accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852 e 8344 del 2001), salvo l’ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente cod. proc. pen., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost. (cfr. sentt. nn. 15230 del 2001, 1344 del 2002 e 19689 del 2004). Nella specie, però, non si verte in tale ipotesi in quanto gli elementi probatori di cui è questione sono stati acquisiti da un procedimento penale e non a seguito di perquisizione domiciliare.

Ugualmente errata è l’affermazione della C.T.R. in relazione all’inutilizzabilità delle prove testimoniali raccolte durante le indagini penali.

Infatti, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento sul conto di un determinato contribuente o nel corso di indagini penali (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51). Tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi “indiziari”, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 18) (V. sentt. nn. 14774 del 2000, 903 e 4269 del 2002 e 9402 del 2007).

Conclusivamente, dichiarata assorbita ogni altra eventuale censura, il primo motivo di ricorso deve essere respinto, mentre vanno accolti i restanti motivi e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per un nuovo esame, alla luce dei principi sopraespressi, ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia. La stessa C.T.R. provvederà al governo delle spese dei questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo motivo, accoglie i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione tributaria, il 2 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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