Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20027 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2010, (ud. 02/07/2010, dep. 22/09/2010), n.20027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30352-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 193/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 01/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Agenzia delle Entrate, ufficio di Pagani, notificava nel 2001 a F.G. avvisi di accertamento a fini IRPEF relativi agli anni 1994, 1995, 1996, mediante i quali, in relazione ad una ritenuta omissione di dichiarazione dei redditi conseguenti ad una attività commerciale di compravendita di autovetture usate, e ad indagini della Guardia di Finanza cha avevano rilevato l’omessa tenuta delle scritture contabili, la mancata contabilizzazione dei ricavi e la assenza di giustificazione delle movimentazioni del conto corrente bancario di cui era titolare il contribuente, modificava in aumento i redditi relativi a tali annualità applicando le relative imposte, oltre interessi e sanzioni.

Il contribuente impugnava gli avvisi, sostenendo la illegittimità degli stessi per carenza di motivazione e la infondatezza nel merito della pretesa fiscale.

La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

Appellava l’Ufficio, e la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 193/9/05 in data 11 maggio 2005, depositata in data 1 settembre 2005, accoglieva parzialmente il gravame, riconoscendo che il F. esercitava una attività commerciale, ma riduceva in via equitativa il reddito di impresa, determinandolo in misura inferiore a quella determinata dall’Ufficio.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con un motivo.

Il contribuente non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico articolato motivo la Agenzia deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39 dell’art. 2697 c.c. dei principi generali in materia dell’onere della prova, ed omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Espone che in ordine alla valutazione della movimentazione del conto corrente bancario di cui era titolare il contribuente, acquisita D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 la Commissione, pur avendo riconosciuto la riferibilità della movimentazione alla attività di impresa, aveva ritenuto “in via equitativa” che “i versamenti possono essere considerati ricavi nella misura del 60%, mentre i prelievi vengono reputati costi nella misura del 25%. La differente misura percentuale risulta giustificata dal fatto che i prelievi possono attribuirsi a numerose esigenze della vita economica, tra i quali i pagamenti dei costi; mentre gran parte dei versamenti possono attribuirsi alla attività in nero”.

Sostiene che tale statuizione era errata, in quanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 impone di considerare ricavi sia i prelievi che i versamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelievi avevano una destinazione diversa dalla acquisizione di utili; in relazione alla inversione dell’onere della prova, alla presunzione posta a favore dell’Ufficio deve essere contrapposta una prova contraria, basata su elementi concreti e non una mera affermazione astratta a carattere generale.

Il motivo è fondato.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che l’art. 32 citato impone di considerare ricavi sia i prelevamenti che i versamenti, ove il contribuente non ottemperi all’onere di dimostrare o che la operazione bancaria è estranea al reddito di impresa, o che la stessa ha avuto una destinazione precisa che consenta di ritenere che l’importo sia stato registrato in contabilità ovvero che abbia una finalità diversa che escluda la natura di utile.

In particolare, la prova che incombe sul contribuente non può essere risolta in una affermazione di carattere generale, e men che meno con riferimento alla equità, criterio che non trova applicazione nella normativa, ma deve essere fondata su elementi concreti ed afferenti ogni singola operazione bancaria. (v. Cass. n. 18016 del 2005, n. 25365 del 2007). Ne consegue che la decisione della commissione, fondata un criterio equitativo che si basa su una valutazione operata dalla Commissione stessa a prescindere da ogni regola di natura obiettiva, è sia errata in diritto, per violazione della norma citata, che non motivata in fatto, per la apoditticità della affermazione, che non consente alcun concreto riscontro. La sentenza deve quindi essere cassata e rinviata per nuova esame a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

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