Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20023 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2021, (ud. 26/05/2021, dep. 14/07/2021), n.20023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– ricorrente –

contro

FILANTO s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria

della Corte Suprema di Cassazione e rappresentata e difesa, per

procura a margine del controricorso dall’Avv. Paola Ruggieri.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 2428/22/14 della Commissione

tributaria regionale della Puglia-sezione di Lecce, depositata il 26

novembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 maggio 2021 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con avviso di accertamento, notificato il 19 dicembre 1990, l’Ufficio di (OMISSIS) accertava nei confronti della Filanto S.p.A., incorporante la Panfil Winnetou S.p.A., la mancata effettuazione, con conseguente mancato versamento, di ritenute alla fonte, per l’anno di imposta 1984. Tali ritenute erano relative a maggiori utili accertati, in capo alla società incorporata, con avviso relativo all’anno di imposta 1983.

Avverso entrambi gli atti impositivi la Filanto S.p.A. propose ricorso alla C.T.P. di Lecce che li annullava, con distinte sentenze.

Proposto appello da parte dell’Ufficio, il giudizio relativo all’accertamento di maggiori utili, veniva dichiarato estinto dalla C.T.R. per adesione della Società al condono previsto dalla L. n. 413 del 1991.

L’altro giudizio, relativo al mancato versamento delle ritenute, veniva definito con sentenza n. 215 del 4 agosto 2006 dalla CTR della Puglia la quale dichiarava la società Panfil Winntou spa, quindi la incorporante Filanto s.p.a., soggetta al pagamento delle ritenute sugli utili accertati e distribuiti ai soci.

La sentenza, in mancanza di impugnazione, passava in cosa giudicata.

L’Ufficio, quindi, procedeva alla liquidazione e alla conseguente iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte, nonché delle sanzioni e degli interessi e provvedeva a notificare cartella di pagamento.

Tale cartella veniva impugnata dalla Filanto S.p.A. innanzi alla C.T.P. di Lecce la quale accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente, dichiarando dovuto l’importo iscritto a ruolo a titolo definitivo di Euro 80.370,00 quale ammontare di utili accertati e distribuiti ai soci.

La decisione veniva appellata dall’Agenzia delle entrate lamentando il mancato riconoscimento delle sanzioni e degli interessi e, in via incidentale, dalla Società.

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione di Lecce, in accoglimento dell’appello incidentale, annullava la cartella impugnata.

In particolare, il Giudice di appello rilevava che, con la sentenza, costituente titolo sul quale era fondata la cartella impugnata, la C.T.R. aveva accolto, solo parzialmente, l’appello dell’Ufficio, dichiarando la società contribuente soggetta al pagamento delle ritenute sugli utili accertati e distribuiti ai soci, ferma restando la necessità di rimanere in attesa di quanto deciso in appello per la società partecipata, considerato che rimane in termini di diritto e di fatto la correlazione del processo relativo all’accertamento con il quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione maggiori ricavi non dichiarati e costi inesistenti.

Dato atto di ciò, il Giudice di appello riteneva che siccome tale avviso di accertamento era stato annullato in primo grado dalla C.T.P. e che il giudizio di appello era stato definito con condono, la cartella fosse illegittima e quindi meritevole di annullamento.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ricorre, affidandosi a due motivi.

La Filanto S.p.a. resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 2909 c.c..

Secondo la ricorrente l’interpretazione fornita dal Giudice di appello della sentenza, posta a fondamento della cartella e passata in cosa giudicata, era erronea dato che il dispositivo della stessa conteneva un espresso riferimento agli utili accertati e non a quelli decisi.

Peraltro, la causa presupposta non si era conclusa con pronuncia favorevole alla società, ma con ordinanza di estinzione, poiché la Società si era avvalsa della definizione agevolata della lite pendente a norma della L. n. 413 del 1991, art. 34.

2. La violazione di tale ultima norma è dedotta con il secondo motivo di ricorso. Rileva la ricorrente che la definizione della lite per condono non poteva condurre all’eliminazione tout court dell’atto impositivo condonato, dato che la Società, aderendo al condono, aveva rinunciato ad avere una sentenza che definisse il giudizio nel merito e che potesse avere valore di giudicato.

3. Le censure ammissibili, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, possono trattarsi congiuntamente e sono fondate.

Non vi e’, invero, contestazione tra le parti e risulta, peraltro, riportato anche nella sentenza impugnata, che la sentenza posta a fondamento della cartella oggi impugnata ebbe espressamente a dichiarare la Filanto s.p.a. soggetta al pagamento delle ritenute sugli utili accertati e distribuiti ai soci. Tale deve ritenersi il dictum del Giudice, senza che alcuna efficacia di giudicato possa attribuirsi alla argomentazione, peraltro generica, svolta solo nella motivazione, secondo cui la correlazione tra i due accertamenti (n.d.r. quello relativo a maggiori ricavi e quello relativo all’omesso versamento delle ritenute sugli utili versati ai soci e conseguenti dai maggiori ricavi accertati) rimane in termini di diritto e di fatto, in attesa di quanto deciso in appello per la società partecipata.

Ove, infatti, il Giudice di appello avesse voluto attribuire una valenza decisiva all’esito del giudizio avverso il primo atto impositivo non avrebbe, come invece fatto, deciso nel merito, ma avrebbe dovuto più correttamente sospendere il giudizio o quanto meno delimitare l’entità delle ritenute non versate a quella che sarebbe stata accertata nel giudizio presupposto e non come statuito nel dispositivo affermare la debenza delle ritenute sugli utili accertati e distribuiti ai soci.

In ogni caso, anche a volere accedere all’interpretazione del giudicato come effettuata nella sentenza impugnata, la C.T..R ha, comunque, errato nel ritenere che la cartella, emessa sulla base della sentenza sopra illustrata (pacificamente passata in cosa giudicata), fosse illegittima e andasse, quindi, annullata per la circostanza che il giudizio correlato fosse stato dichiarato estinto, per avere la Società definito la lite avvalendosi del condono previsto dalla L. n. 413 del 1991.

L’estinzione del giudizio a seguito di adesione del contribuente alla definizione agevolata condonistica, infatti, non esplica alcuna efficacia estintiva con riguardo ad atti impositivi diversi anche se conseguenti a quelli condonati (cfr. in motivazione Cass. n. 19321 del 2006; id n. 1021 del 2009). A maggior ragione quella declaratoria di estinzione per condono non può equivalere a una pronuncia di annullamento nel merito dell’avviso di accertamento. La definizione agevolata preclude l’azione accertatrice del fisco, limitatamente alle pendenze tributarie concernenti in proprio la parte condonante, non estendendosi il beneficio – ed il conseguente effetto estintivo – alle violazioni tributarie dei terzi compartecipi (v. Cass. n. 27044 del 19/12/2014).

4. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la decisione nel merito della controversia con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.

5. Le spese dei gradi di merito possono essere compensate mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.000 (diecimila) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

 

 

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