Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20023 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 02/05/2017, dep.11/08/2017),  n. 20023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18983/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GESTAUTO E.R. s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Anna Rita

Danza, con domicilio eletto in Roma, via Asiago 8, presso lo studio

dell’avv. Michele Aureli;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 52/06/11 depositata il 10 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 maggio 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

uditi per l’avvocatura generale dello Stato l’avv. Giancarlo Caselli

e Anna Rita Danzi per la s.r.l.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (Ctr) ha confermato la sentenza di primo grado favorevole per la contribuente in relazione a un avviso di accertamento, con il quale, per quanto ancora interessi in questa fase, furono, per un verso, recuperati a tassazione maggiori ricavi, determinati sulla base del confronto fra il monte ore di manodopera effettuate dalla Gestauto s.r.l. nel periodo e le ore di manodopera fatturate, e, per altro verso, fu negata la deducibilità di alcuni costi inseriti nel “conto pubblicità generica”, ritenuti dall’Ufficio spese di rappresentanza e quindi deducibili nei limiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74 nonchè ulteriori spese di pubblicità, ritenute dall’Ufficio prive dei requisiti di certezza e determinabilità.

Contro la sentenza l’Agenzia dell’entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui la contribuente ha reagito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

In particolare deduce la nullità della sentenza per inadeguatezza della motivazione, che sui punti rilevanti ai fini della decisione è così motivata: “Punto 3. Le presunte 3.229,27 ore rilevate dall’ufficio, come non fatturate, sono riferibili ai capi officina. Il rilievo dell’ufficio si basa su presunzioni prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza (…). Punto 10. Trattasi di spese di pubblicità tutte deducibili”.

Con il secondo si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ai fatti decisivi e controversi per il giudizio. In particolare, nell’avere attribuito la totalità delle ore non fatturate all’attività di coordinamento svolta dai capiofficina, senza tenere conto del fatto che essi avevano da coordinare piccole unità di personale, il che, denoterebbe una condotta antieconomica dell’impresa.

Il terzo motivo denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione insufficiente e contraddittoria, per avere la Ctr qualificato i costi sui quali si appuntavano le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria quali spese di pubblicità deducibili, senza dare conto dell’iter logico seguito per pervenire a tale qualificazione.

2. Il primo motivo è inammissibile. Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014) hanno chiarito, con riguardo al requisito della motivazione della sentenza di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, che la mancanza della motivazione “si configura quando la motivazione “manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero essa formalmente esiste come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”. In base a tale insegnamento, pertanto, la mancanza della motivazione è ravvisabile solo nel caso dell’assoluta omissione o della mera apparenza ovvero nel caso di irriducibile contraddittorietà manifesta della stessa motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in violazione di legge.

Ciò postoI’ la motivazione della sentenza impugnata non incorre in alcuna di tale carenze, nè sotto il profilo della omissione, nè della mera apparenza, per cui, sotto il profilo motivazionale, il solo vizio configurabile è quello di omessa motivazione su fatto decisivo e controverso per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò è stato fatto con il secondo e con il terzo motivo.

3. Il secondo motivo investe la valutazione della Ctr in ordine al fatto che le ore non fatturate fossero tutte riferibili all’attività di coordinamento dei capiofficina, così come aveva sostenuto contribuente, le cui giustificazione la Ctr avrebbe recepito senza tener conto del fatto che essi avevano da coordinare piccole unità di personale.

Il motivo è inammissibile, perchè la sentenza ha dato su questo aspetto ragione della conclusione cui era pervenuta, per cui la ricorrente, sotto la veste del vizio di motivazione, chiede inammissibilmente e immotivatamente una revisione del ragionamento decisorio, che è attività che non rientra nell’ambito del controllo consentito alla Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis, “posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità” (Cass. n. 11789/2005).

4. E’ fondato invece il terzo motivo, che deduce il vizio di motivazione in riferimento alla riconosciuta deducibilità dei costi, in quanto operata dalla Ctr sulla base dell’apodittico rilievo che si trattava di “spese di pubblicità”. Ed invero la motivazione della sentenza si esaurisce nella sintetica enunciazione del risultato decisorio, senza indicare in alcun modo il percorso logico seguito per pervenire al quel risultato e le ragioni idonee a giustificarlo. “Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando il giudice di merito ometta di indicare, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9113/2012)”.

Si giustifica quindi l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

dichiara inammissibil4 il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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