Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20023 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 06/10/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 06/10/2016), n.20023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15481-2013 proposto da:

S.A.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CARLO MIRABELLO 17, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ZARDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO BERTONCINI giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., MO.PA., elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZA DELLA LIBERTA’ 13, presso lo studio dell’avvocato AGOSTINO

GESSINI, rappresentate e difese dall’avvocato SILVIO MANFREDI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1237/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato FULVIO ZARDO per delega;

udito l’Avvocato AGOSTINO GESSINI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso,

condanna alle spese e statuizione del C.U..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La presente controversia trae origine da una intimazione di sfratto per morosità da parte delle locatrici M.A. e Mo.Pa. al conduttore S.A.F.. Mutato il rito, da speciale ad ordinario, e depositate le memorie integrative, il Tribunale di Massa ha dichiarato risolto, per inadempimento del conduttore, il contratto di locazione dell’immobile ad uso non abitativo (alberghiero) stipulato tra le parti il 1 luglio 2005 ed ha ordinato il rilascio dello stesso per la data del 15 ottobre 2010 respingendo la domanda riconvenzionale del conduttore di risarcimento dei danni da vizi dell’immobile beato.

2. La decisione è stata parzialmente confermata dalla Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 1237 del 5 dicembre 2012. La corte genovese ha condannato le locatrici pagare a favore del conduttore le spese di riparazione necessarie al ripristino del bene per una piena idoneità d’uso ad attività alberghiera dei locali locati. Ha confermato per il resto la sentenza di primo grado.

3. Avverso tale decisione, S.A.F. propone ricorso in Cassazione sulla base di 4 motivi.

3.1 Resistono con controricorso M.A. e Mo.Pa..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su aspetti controversi e decisivi per il giudizio”.

Lamenta l’illogicità della sentenza per non aver chiarito se la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa sia intervenuta prima del pagamento del canone riguardante le mensilità di (OMISSIS). Infatti, se la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa non era contenuta nell’atto di intimazione di sfratto, l’istituto della risoluzione di diritto non potrebbe trovare applicazione nel caso in esame.

Il motivo per quanto riguarda il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 è inammissibile perchè la sentenza impugnata è stata depositata il 5 dicembre 2012. Pertanto, nel giudizio in esame, trova applicazione, con riguardo ai motivi concernenti la denuncia di vizio di motivazione, l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ai ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati successivamente alla sua entrata in vigore (11 settembre 2012).

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Scompare, invece, nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881).

Alla luce dell’enunciato principio, risulta che il ricorrente, denunciando il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, non ha rispettato i limiti di deducibilità del vizio motivazionale imposti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 6, n. 5.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su aspetti controversi e decisivi per il giudizio e per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione dell’art. 1456 c.c. nonchè per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea valutazione delle risultanze istruttorie”.

Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non ha motivato in riferimento ad uno dei motivi di appello proposti dal ricorrente ed, in particolare, in merito alla errata qualificazione effettuata dal giudice della intimazione di sfratto per morosità quale dichiarazione dei locatori di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.

Il motivo è inammissibile.

Per la parte relativa all’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 si rinvia a quanto già dedotto per il primo motivo. Per quanto riguarda la seconda parte del motivo, l’omessa pronuncia, doveva essere censurata attraverso la deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 o comunque con univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass. Sez. Un. 24 luglio 2013, n. 17931). L’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e rabbia risolta in modo giuridicamente scorretto, ovvero, senza giustificare, o non giustificando adeguatamente, la decisione resa (Cass. 329/2016).

Quanto, in particolare, alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. valgono, inoltre, le seguenti considerazioni. La violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere imputata al giudice del merito sotto due distinti profili: da un lato, ove, nell’esercizio del suo potere discrezionale quanto alla scelta ed alla valutazione degli elementi probatori – donde la mancanza d’uno specifico dovere d’esame di tutte le risultanze e di confutazione dettagliata delle singole argomentazioni svolte dalle parti, del che meglio in seguito – ometta tuttavia di valutare quelle risultanze delle quali la parte abbia espressamente dedotto la decisività, salvo ad escluderne la rilevanza in concreto indicando, sia pure succintamente, le ragioni del suo convincimento, il difetto della quale indicazione ridonda, peraltro, in vizio della motivazione; dall’altro, ove, in contrasto con i principi della disponibilità e del contraddittorio delle parti sulle prove, ponga a base della decisione o fatti ai quali erroneamente attribuisca il carattere della notorietà o la propria scienza personale, così dando ingresso a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè discussi ai quali non può essere riconosciuto, in legittima deroga ai richiamati principi, il carattere dell’universalità della conoscenza e, quindi, dell’autonoma sussumibilità nel materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione. E’, dunque, solo l’esorbitanza da tali limiti ad essere suscettibile di sindacato in sede di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c., sindacato che, con riferimento a tale norma, non può essere, invece, esteso all’apprezzamento espresso dal giudice del merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite. Come appunto avvenuto nel caso di specie.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione dell’art. 4 e dell’art. 2 del contratto di locazione sottoscritto tra le parti l'(OMISSIS), per violazione dell’art. 1456 c.c., e per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente motivazione illogica e contraddittoria motivazione su aspetti controversi e decisivi per il giudizio ed in particolare per erronea ricognizione della fattispecie concreta nella previsione della norma di cui all’art. 4 del contratto di locazione”.

Sostiene che la Corte d’Appello ha errato laddove afferma che il ritardato pagamento di quattro mensilità del canone annuo abbia integrato la previsione della norma di cui all’art. 4 del contratto di locazione. E questo in forza dell’intervenuto accordo provvisorio del 14 gennaio 2009. La corte territoriale giunge, quindi, alla conclusione di ritenere integrata la predeterminazione contrattuale dell’inadempimento, giustificando la risoluzione ipso iure del contratto, sulla base del predetto articolo, attraverso un ragionamento illogico secondo cui l’inadempimento, determinato dalle parti nel contratto di locazione, tanto grave da giustificare la risoluzione di diritto del contratto è quello relativo al mancato pagamento di una rata di canone annuo.

Quindi, erra il giudice del merito, secondo il ricorrente, perchè confonde la valutazione dell’importanza dell’inadempimento predeterminata dalle parti nella clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. con la valutazione del differente termine per l’adempimento modificato provvisoriamente dalla scrittura privata sottoscritta il (OMISSIS). La parte del motivo in cui denuncia vizio motivazionale in base al vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è inammissibile per quanto già sopra detto.

E’, invece, fondato sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Aldilà della rubrica del motivo, la censura, quale si coglie dalla relativa esposizione, consiste nella deduzione della falsa applicazione dell’art. 1456 c.c. alla fattispecie concreta (v. pag. 42 del ricorso). La Corte di appello, dopo avere individuato l’inadempimento ritenuto grave dalle parti (omesso o ritardato pagamento della rata semestrale), finisce per applicare la stessa clausola ad un caso di ritardato (peraltro di pochissimi giorni) pagamento di una rata che (per specifici accordi tra le parti) risultava essere quadrimestrale. Confondendo così, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento predeterminato dalle parti nella clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., con la valutazione del differente termine per l’adempimento modificato provvisoriamente dalla scrittura privata del (OMISSIS).

4.4. Con il quarto motivo, denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente illogica e contraddittoria motivazione su aspetti controversi e decisivi per il giudizio, più precisamente sul mancato riconoscimento di una riduzione del canone annuo in considerazione della inagibilità di parte dei locali, sull’obbligo del locatore di mantenere la cosa in buono stato di manutenzione ed in stato da servire all’uso convenuto, e per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in riferimento alla violazione degli artt. 1575, 1576, 1577, 1578 e 1581 c.c. in riferimento alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

Lamenta che la Corte genovese condannando le locatrice a pagare a favore del conduttore le spese di riparazione necessarie al ripristino del bene per una piena idoneità d’uso ad attività alberghiera dei locali locati, confonde quanto il C.t.u. aveva stimato a titolo di spese necessarie al ripristino per una piena idoneità d’uso con quanto effettivamente speso dal conduttore per riparazioni necessarie ex art. 1577.

Tale motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente.

5. La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto, cassa in relazione la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto, cassa in relazione la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2015.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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