Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20022 del 24/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2020, (ud. 03/06/2020, dep. 24/09/2020), n.20022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30717-2018 proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DI LORENZO ANTONIO;

– ricorrente –

contro

I.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MILONE MARIO;

– controricorrente –

e contro

I.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAOVUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LA VENUTA BIAGIO MAURIZIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1683/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

OLIVA

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 5.4.2013 I.B. conveniva in giudizio i germani I.V. e I.L. innanzi il Tribunale di Termini Imerese per sentir accertare il suo diritto a chiudere una strada con cancello dotato di serratura e chiave, consegnando copia della stessa a ciascuno dei due convenuti. Costoro resistevano alla domanda.

Con sentenza n. 941/2015 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda, poichè l’attore l’aveva già proposta in precedente giudizio, definito con sentenza di primo grado del medesimo Tribunale n. 656/2013.

Interponeva appello quest’ultimo e si costituivano in seconde cure gli originari convenuti, resistendo al gravame.

Con la sentenza n. 1683/2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame condannando l’appellante alle spese del secondo grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione I.B. affidandosi a due motivi. Resistono con separati controricorsi I.L. e I.V.. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale. Il suo procuratore ha altresì depositato dichiarazione datata 6.3.2020, di adesione all’astensione dalle udienze indetta dall’Organismo Congressuale Forense con Delib. 4 marzo 2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarato il non luogo a provvedere sull’istanza di adesione all’astensione, posto che l’adunanza camerale, originariamente fissata per l’11.3.2020, è stata in seguito rifissata al 3.6.2020, al termine del periodo di sospensione dell’attività giudiziaria legata all’emergenza epidemiologica Covid-19, secondo le disposizioni di cui al D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 2, non convertito in legge, ed al D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83 del, convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27.

Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1064 e 1067 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda proposta dall’originario attore fosse compresa in quella dal medesimo formulata nel precedente giudizio R.G. 60195/2009, definito dal Tribunale di Termini Imerese con sentenza n. 656/2013. Ad avviso del ricorrente, infatti, mentre in questo giudizio era stato invocato l’accertamento del suo diritto a chiudere con un cancello l’imboccatura della strada ricadente sulla particella n. 392 di cui al foglio 37, della quale egli era comodatario, nella precedente causa era stata proposta la diversa domanda di accertamento del suo diritto a chiudere una porzione del mappate n. 1590 di sua proprietà.

La censura, che al di là dell’imprecisione nella rubrica si risolve nella denuncia implicita di violazione dell’art. 39 c.p.c. e art.2909 c.c., è infondata. Il ricorrente infatti si diffonde sulla presunta diversità del petitum che era stato formulato nei due giudizi, ovverosia in quello definito con la prima sentenza n. 656/2013 ed in quello oggetto del presente ricorso, ma non chiarisce in alcun modo quale sia stato il contenuto del decisum di quella prima statuizione. In tal modo, a prescindere da qualsiasi considerazione sulla diversità o meno delle due domande, che secondo la sentenza oggi impugnata attengono alla “… chiusura della medesima strada…” (cfr. pag.3 della sentenza) il ricorrente non ha assolto al suo onere di specificità del motivo, poichè non ha fornito a questa Corte tutti gli elementi e le informazioni necessarie per procedere al confronto tra il contenuto della prima decisione, n. 656/2013, e di quella pronunciata dal medesimo ufficio nell’ambito del giudizio di merito definito con la sentenza della Corte di Appello di Palermo oggi impugnata. La sussistenza e l’estensione di un precedente giudicato, infatti, non va apprezzata soltanto con riferimento alla domanda proposta dalla parte, ma anche in relazione alla qualificazione che di essa è stata fatta dal giudice di merito, e dunque, in definitiva e soprattutto, sulla base del decisum. La sussistenza di una precedente statuizione sulla medesima domanda, infatti, non riguarda soltanto l’attribuzione del bene della vita oggetto della stessa, ma anche tutte le premesse in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia, e quindi copre da un lato tutte le questioni che si pongono in rapporto causale con la pronuncia stessa (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 1811 del 13/02/1993, Rv. 480881 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15508 del 14/07/2011, Rv. 618651) e dall’altro tutte le altre questioni che comunque avrebbero potuto essere poste, secondo il principio per cui il giudicato copre sia il dedotto che il deducibile. In caso contrario, infatti, la riproposizione della medesima domanda, sia pure sulla base di un diverso petitum o di una differente causa petendi, tenderebbe a realizzare una situazione giuridica opposta a quella della sussistenza del rapporto già accertata dal precedente giudicato (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3702 del 15/02/2018, Rv. 647947), con conseguente pregiudizio per l’autorità e la tendenziale definitività di quest’ultimo.

Nel caso di specie, la Corte di Appello non soltanto ha ritenuto che la domanda oggetto dei due giudizi (quello definito con la sentenza n. 656/2013 e quello di cui alla decisione oggi impugnata) fosse la medesima, ma ha anche affermato che l’appellante, odierno ricorrente, non aveva chiarito “… quale rilevanza di fatto e diritto abbia una ulteriore analoga domanda volta ad aggravare l’esercizio del diritto di passaggio da lui riconosciuto agli odierni appellati” (cfr. ancora pag.3 della sentenza impugnata). Neppure tale ulteriore statuizione è attinta dalla censura in esame, che di conseguenza non è idonea a superare la conclusione della Corte panormitana, secondo cui vi sarebbe identità tra le due domande di cui anzidetto.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. ed il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte siciliana avrebbe da un lato erroneamente apprezzato la conformazione della strada, non attribuendo rilievo al fatto che parte di essa gravava sul terreno di proprietà del ricorrente e parte, invece, sul terreno di proprietà della Confraternita di Sant’Elena e Costantino, che era stato da quest’ultima concesso in comodato al ricorrente stesso; nonchè, dall’altro lato, omesso di considerare il diritto del comodatario di recintare il terreno oggetto del comodato, sulla base del contenuto del contratto concluso tra questi ed il proprietario del suolo, comodante.

La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata.

E’ inammissibile nella parte in cui il ricorrente deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, senza tener conto dei limiti di deduzione previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, come modificato a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012. Il vizio di motivazione va infatti interpretato “… alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

La censura è invece infondata nella parte relativa al vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., poichè il ricorrente non illustra le ragioni per le quali il giudice di seconde cure avrebbe errato nel negare al comodatario del fondo servente il diritto di modificare le modalità di esercizio della servitù di cui il fondo sia gravato. Poichè è incontroverso che i due controricorrenti esercitavano il loro diritto di transito sulla strada ricadente, in parte, su terreno di proprietà della Confraternita di Sant’Elena e Costantino (cfr. pag.7 del ricorso), il terreno predetto poteva essere chiuso o recintato soltanto in conformità con la disposizione di cui all’art. 1064 c.c., ovverosia salvaguardando il diritto del titolare del fondo dominante ad un transito libero e comodo (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5564 del 13/04/2001, Rv. 545922; Cass. Sez. 2, n. 6179 del 03/05/2001, Rv. 546403; Cass. Sez. 2, n. 15796 del 11/11/2002, Rv. 558388; Cass. Sez. 2, n. 17875 del 24/11/2003, Rv. 568411; Cass. Sez. 2, n. 21129 del 28/11/2012, Rv. 624871; Cass. Sez. 2, n. 31145 del 29/12/2017, Rv. 647069; Cass. Ordinanza n. 21928 del 02/09/2019, Rv. 655265).

Nè ha alcun valore la circostanza che, nel caso specifico, la chiusura sia stata realizzata dal comodatario, e non dal proprietario dell’area, innanzitutto perchè il secondo non può pretendere di esercitare prerogative non consentite al primo, ed in secondo luogo in funzione del principio -affermato in tema di immissioni, ma estensibile anche in materia di servitù attesa l’affinità esistente tra le azioni a tutela del diritto di servitù e quella prevista dall’art. 844 c.c.- per cui in ogni caso il titolare del diritto di godimento non è legittimato, nè passivamente, nè attivamente, in relazione alla domanda volta ad imporre la realizzazione di accorgimenti e modificazioni alla proprietà e alla struttura del bene immobile (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13069 del 22/12/1995, Rv. 495186; nonchè Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8999 del 29/04/2005, Rv. 582329; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15871 del 12/07/2006, Rv. 591525; Cass. Sez. U, Sentenza n. 4848 del 27/02/2013, Rv. 625170) e dunque non è legittimato a porli in essere.

Infine, di nessun rilievo è la circostanza che il diritto di recintare il fondo fosse stato previsto nel contratto tra comodante e comodatario, posto che la pattuizione tra dette parti intervenuta costituisce evidentemente res inter alios rispetto al titolare del fondo dominante che esercita il proprio diritto di servitù di passaggio sul fondo servente oggetto del comodato.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo nei confronti di ambedue i controricorrenti, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuno dei due controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 520 di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 3 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2020

 

 

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