Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20020 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 02/05/2017, dep.11/08/2017),  n. 20020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5755/2015 R.G. proposto da:

Totalerg Spa (già Totalfina Spa), rappresentata e difesa dall’Avv.

Pietro Cavasola e dall’Avv. Beatrice Fimiani, con domicilio eletto

presso di loro, in Roma, Via Agostino Depretis, n. 86, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 4624/38/14, depositata il 10 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 maggio 2017

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Del Core Sergio, che ha concluso per il rigetto dei primi

due motivi, accoglimento del terzo, assorbiti gli altri;

udito l’Avv. Pietro Cavasola che si riporta al ricorso;

udito l’Avv. dello Stato Giancarlo Caselli che si riporta al

controricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria provinciale di Roma rigettava l’impugnazione proposta da Totalerg Spa avverso l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle dogane aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 6.878.299,20 per tasse portuali e di movimentazione di prodotti petroliferi imbarcati e sbarcati per conto della società per il periodo dal marzo 1998 all’agosto 2002.

La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello della contribuente.

La società Totalerg Spa ricorre per cassazione con sette motivi, eccependo l’illegittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, e la compatibilità della tassa portuale con la disciplina unionale. L’Agenzia delle dogane resiste con controricorso. La contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 e D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5, per essere stato l’avviso di accertamento notificato oltre il termine di decadenza e di prescrizione.

1.1. Il motivo è infondato.

La tassa portuale (cd. di sbarco e di imbarco su merci trasportate per via marittima) di cui alla L. n. 82 del 1963, art. 33 come modificata dalla L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, infatti, non è un’imposta doganale ma costituisce un tributo interno, tant’è che non si assiste ad un passaggio dei confini e il gettito affluisce all’autorità portuale o, in mancanza, allo Stato e non all’Unione Europea; specificamente, poi, è una tassa in senso proprio, la cui prestazione non è collegata in via commutativa al godimento di un servizio amministrativo poichè prescinde da ogni elemento di corrispettività con le utilità concretamente ricavate dall’utente, e rappresenta un mezzo di partecipazione di quest’ultimo al conseguimento dell’interesse generale di assicurare il funzionamento delle strutture portuali (v. anche Cass. n. 19400 del 2005; Cass. n. 4920 del 2007; Cass. n. 3528 del 2012).

Ne deriva l’inapplicabilità del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 e D.Lgs. n. 374 del 1990, 11, comma 5, restando i relativi diritti soggetti alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., nella specie non decorsa attesa l’avvenuta notifica dell’invito al pagamento del 13 febbraio 2003, avente natura anche di atto interruttivo della prescrizione.

2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e art. 12, comma 7, nonchè D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 per aver la CTR ritenuto l’avviso di accertamento correttamente motivato e non violato il principio del contraddittorio.

2.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

2.2. Quanto all’asserito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento – neppure riprodotto, con ulteriore ragione di inammissibilità per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – il ricorrente, in realtà, lamenta una insufficiente od omessa motivazione della decisione della CTR, doglianza che avrebbe dovuto essere dedotta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (in sè comunque inammissibile, applicandosi la norma nella nuova formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012) ovvero ex art. 360 c.p.c., comma 1. n. 4, sicchè la censura è inammissibile.

2.3. Quanto all’asserito difetto di preventivo contraddittorio, trattandosi di tributo interno (e non di tributo armonizzato) non sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, occorrendo invece una specifica previsione normativa (v. Sez. U, n. 24823 del 2015).

Nella concreta vicenda, peraltro, alla contribuente, come risulta dallo stesso ricorso, era stato notificato in data 13 febbraio 2003 avviso di pagamento relativo alla medesima vicenda e contestazione, tale, dunque, da soddisfare pienamente le esigenze di contraddittorio.

3. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, art. 4,comma 4 e art. 6, comma 7, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per aver la CTR omesso di verificare se le piattaforme R1 e R2 situate di fronte al porto di Fiumicino ed utilizzate dalla società rientrassero nella circoscrizione dell’Autorità Portuale di Civitavecchia o Fiumicino.

3.1. Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, per aver la CTR applicato lo ius superveniens al giudizio, ritenendo la norma di interpretazione autentica.

3.2. Con il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986 e della L. n. 84 del 1984, art. 28, comma 6, attesa la natura innovativa della disposizione introdotta.

3.3. Con il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 134 Cost., art. 1, L. cost. n. 1 del 1948, della L. n. 87 del 1953, art. 23 nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2 e art. 3, degli artt. 1 e 6 del Protocollo aggiuntivo n. 1 della Convenzione dei diritti dell’uomo e, infine, dei principi fondamentali dell’Unione Europea, eccependo l’illegittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, per come interpretato dalla CTR.

3.4. I motivi terzo, quarto, quinto e sesto, il cui esame va effettuato unitariamente in quanto logicamente connessi, sono fondati nei termini che seguono.

3.5. La questione centrale ha ad oggetto la disposizione introdotta con la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986.

La norma, nel testo applicabile ratione temporis, dispone:

“986. Le disposizioni di cui al comma 982, lett. a) e b) nonchè quelle di cui al comma 985 si interpretano nel senso che le navi che compiono operazioni commerciali e le merci imbarcate e sbarcate nell’ambito di porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzati, sono soggette alla tassa di ancoraggio e alle tasse sulle merci”.

I commi richiamati prevedono:

“982. Per assicurare l’autonomia finanziaria alle autorità portuali nazionali e promuovere l’autofinanziamento delle attività e la razionalizzazione della spesa, anche al fine di finanziare gli interventi di manutenzioni ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell’ambito portuale, con priorità per quelli previsti nei piani triennali già approvati, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali, sono attribuiti a ciascuna autorità portuale, a decorrere dall’anno 2007, per la circoscrizione territoriale di competenza:

a) il gettito della tassa erariale di cui al D.L. 28 febbraio 1974, n. 47, art. 2, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 aprile 1974, n. 117, e successive modificazioni;

b) il gettito della tassa di ancoraggio di cui al capo 1 del titolo 1 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni”. “985. Resta ferma l’attribuzione a ciascuna autorità portuale del gettito della tassa sulle merci sbarcate e imbarcate di cui al capo 3 del titolo 2 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni, e alla L. 5 maggio 1976, n. 355, art. 1”. A sua volta la L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, dispone:

“6. La tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate di cui al capo 3 del titolo 2 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e alla L. 5 maggio 1976, n. 355, e successive modificazioni e integrazioni, art. 1 viene estesa a tutti i porti a decorrere dal 1 luglio 1994. Per i porti ove non è istituita l’autorità portuale il gettito della tassa affluisce al bilancio dello Stato”.

Occorre, dunque, valutare la portata e la natura della disposizione introdotta dalla legge finanziaria del 2007.

3.6. Ambito giuridico della norma.

Occorre osservare, in primo luogo, che l’art. 1, comma 986, cit. si riferisce non solo alla tassa erariale e alla tassa di ancoraggio (comma 982, lett. a) e b)), ma anche alla tassa portuale atteso l’esplicito rinvio al comma 985, che riguarda il medesimo tributo previsto dall’art. 28, comma 6, cit..

3.7. Il presupposto della localizzazione geografica e della natura, pubblica o privata, dell’ormeggio.

La disposizione riguarda, tra l’altro, qualunque operazione di imbarco e sbarco di merci che sia stata posta in essere in “porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzati”.

L’indicazione, che ha una evidente connotazione esemplificativa (come si ricava dalla locuzione “in qualsiasi modo realizzati”), mira ad includere qualunque tipo di approdo, non importa (in assenza di distinzioni) se l’infrastruttura sia pubblica o privata, nè se essa sia posta sulla costa (moli, pontili) o in mezzo al mare (boe, piattaforme): l’esistenza di un approdo, comunque sorto, integra il presupposto per l’applicazione del tributo.

Ne deriva, in particolare, che non ha neppure rilievo che le strutture di ormeggio non siano ancorate alla costa ma, come nella specie, siano realizzate off shore.

3.8. Natura della norma.

3.8.1. Nella prospettazione del ricorrente la norma avrebbe carattere non di interpretazione autentica ma innovativo, poichè avrebbe esteso l’applicazione del tributo sostituendo il presupposto dello sbarco e imbarco da un porto in senso stretto a quello della rilevanza di un qualunque luogo, in cui insista un approdo, comunque posto lungo la costa italiana (porto esteso).

E’ opportuno rammentare, sul punto, che la Corte costituzionale ha riconosciuto in più occasioni la legittimità dell’intervento di interpretazione autentica qualora sia volto ad assegnare alla disposizione interpretata un significato che rappresenti una delle possibili letture del testo originario, intervenendo in un quadro di “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo” o anche soltanto per “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore”, aggiungendo che ben può il legislatore emanare norme retroattive, di interpretazione autentica, “purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”” (Corte cost. n. 15/2012; v. pure Corte cost. n. 156/2014, Corte cost. n. 170/2013, Corte cost. n. 264/2012, Corte cost. n. 78/2012).

Il legislatore può in definitiva imporre uno dei possibili significati derivanti dalla disposizione interpretata (Corte cost. n. 227/2014, Corte cost. n. 209/2010, Corte cost. n. 24/2009, Corte cost. n. 170/2008, Corte cost. n. 234/2007).

3.8.2. Ciò premesso, va considerato che, secondo i principi più volte affermati dalla Suprema Corte, anche in epoca precedente all’entrata in vigore della norma in esame, “la tassa portuale si applica nello scalo che, indipendentemente dalla titolarità del diritto di proprietà e dall’utilizzazione dei servizi portuali resi dalle società di cui si sono trasformate le compagnie e i gruppi portuali, è collocato all’interno della circoscrizione di un’area portuale che è determinata con il D.M. previsto dall’art. 4, comma 4 e art. 6, comma 7, della legge, e che segna i confini spaziali in cui sono esercitati i poteri autoritativi della relativa autorità portuale” (Cass. n. 3528 del 2012; Cass. n. 7651 del 2006; in precedenza ancora v. Cass. n. 1961 del 2005, secondo la quale “qualsiasi scalo, anche se privato, è sottoposto al regime L. 28 gennaio 1994, n. 84, ex art. 28, comma 6 nonostante sia collocato fuori di un bene porto, faccia parte di un’area portuale per determinazione adottata con un decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione con procedimento regolato dalla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 4 e seguita dalla determinazione del piano regolatore portuale ex art. 5.1 dello stesso atto normativo”).

Ne deriva che, già dall’esame degli orientamenti pregressi, la tassa portuale non era limitata alle operazioni di sbarco e imbarco presso i porti ma si estendeva pacificamente a quelle poste in essere presso tutti gli scali od ormeggi comunque esistenti presso l’area portuale. Si è, poi, ulteriormente precisato che “tale opzione interpretativa trova riscontro, altresì, nella L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 986 e nel regolamento di cui al D.P.R. 28 maggio 2009, n. 107, ove si è ribadita la soggezione delle navi a tutte le tasse connesse alle operazioni che si svolgono in quelle aree portuali, sebbene non siano “porti” in senso stretto” (Cass. n. 3528 del 2012).

3.8.3. L’analisi della disciplina contenuta nella L. n. 84 del 1994, peraltro, permette di evidenziare ulteriori elementi qualificanti. In particolare:

a) L’art. 28, comma 6, prevede espressamente che “la tassa… viene estesa a tutti i porti. Per i porti ove non è istituita l’autorità portuale il gettito della tassa affluisce al bilancio dello Stato.”

Si tratta, come ha evidenziato la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 84 del 2010 (con cui è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986), di una “previsione generalizzante… che adotta quale presupposto dell’imposizione l’appartenenza ad un ambito portuale”.

Non assume poi rilevanza che sia stata o meno istituito “l’ente cui la prestazione è sostanzialmente destinata” poichè, in ogni caso, se questo manca la prestazione affluisce allo Stato, sicchè il tributo esiste a prescindere dall’istituzione dell’autorità portuale e alla determinazione della sua circoscrizione territoriale.

b) Tale connotazione trova conferma nella lettura della disciplina complessiva, nel testo vigente ratione temporis, che supera la mera classificazione dei porti atteso che:

– l’art. 4, comma 2, include già (con riferimento ai cd. porti di 1 categoria) “le baie, rade e golfi” all’interno della nozione di porto, che diviene così estesa;

– l’art. 4, comma 4, espressamente rimette al decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione la determinazione, tra l’altro, “delle caratteristiche dimensionali… dei porti di cui alla categoria 2, classi 1, 2 e 3, e l’appartenenza di ogni scalo alle classi medesime”, sicchè l’individuazione di una più lata accezione geografica era insita nel dettato normativo;

– l’art. 4, comma 6, contempla anche un altro soggetto istituzionale in assenza dell’autorità portuali, stabilendo che la revisione e classificazione “delle caratteristiche dimensionali” degli scali “avviene su iniziativa delle autorità portuali, o laddove non istituite, delle autorità marittime”;

– tale concetto è poi ripetutamente ribadito: l’art. 5, comma 3, che dispone che “nei porti in cui non è istituita l’autorità portuale, il piano regolatore è adottato dall’autorità marittima”; così pure gli artt. 16, 17 e 18 (per il rilascio delle concessioni), che delineano un ruolo di supplenza dell’autorità marittima;

Emerge con chiarezza, quindi, che nella prospettiva della legge il tributo esiste ed è dovuto senza essere funzionalmente o necessariamente collegato all’avvenuta istituzione dell’autorità portuale: la disciplina, in altri termini, riconnetteva già nella sua formulazione originaria il tributo all’esistenza oggettiva di un ambito portuale e, dunque, in via generale, la tassa poteva ritenersi dovuta per le operazioni di sbarco ed imbarco non solo se svolte nei porti in senso stretto o nell’area portuale ma anche con riguardo agli approdi o scali non (ancora) inclusi in una specifica circoscrizione, purchè compresi, nei limiti del mare territoriale, nell’area soggetta all’Autorità marittima.

Se ne può derivare, pertanto, che la definizione dell’ambito geografico a presupposto dell’applicazione della tassa portuale così come precisata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, costituiva già una possibile soluzione interpretativa della disciplina originariamente introdotta con la L. n. 84 del 1994.

3.9. Chiarita la natura di norma di interpretazione autentica legittimamente adottata dal legislatore, ne deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, anche sotto il profilo del contrasto con le norme convenzionali CEDU, non configurandosi nè una interferenza con il diritto di proprietà, la cui connotazione è rimasta inalterata, nè una lesione dei principi dell’equo processo per l’assenza di una indebita interferenza con l’accertamento giudiziale.

3.10. Tale esito, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, non esclude che continui a restare attuale la rilevanza della collocazione dei terminali R1 ed R2.

Resta comunque necessaria, infatti, l’identificazione dell’area portuale di loro appartenenza o, in mancanza di quest’ultima, la loro ubicazione all’interno della circoscrizione di competenza dell’Autorità marittima, fermo il limite del mare territoriale.

L’approdo, ove sia esterno a qualunque circoscrizione territoriale, non può infatti ritenersi incluso nell’ambito portuale nei termini sopra delineati e, dunque, resta estraneo alla sfera di applicazione della tassa portuale.

3.11. La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla CTR, in diversa composizione, che, nel procedere a nuova valutazione, si atterrà al seguente principio:

“La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, ha natura di interpretazione autentica, sicchè la tassa portuale per le operazioni di sbarco e imbarco delle navi, di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, si applica a qualsiasi scalo, approdo o struttura di ormeggio comunque realizzata, ivi compresi i terminali marittimi attraverso cui avviene la movimentazione dei prodotti petroliferi, che rientri in una area portuale istituita con il D.M. previsto dall’art. 4, comma 4 e art. 6, comma 7, della legge medesima, ovvero, in assenza di tale istituzione, sia incluso nell’ambito territoriale di competenza dell’Autorità marittima”.

4. Con il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 28, 30, 36 e 56 TFUE sul principio della libera circolazione delle merci e dei servizi e del regolamento n. 4055/86/CE, dovendosi ritenere la tassa portuale non compatibile con il diritto unionale in quanto tributo privo di corrispettività; deduce, inoltre, il carattere discriminatorio della tassa, restando assoggettate le merci imbarcate o sbarcate ad imposizioni differenti a seconda della loro origine o destinazione; chiede, pertanto, la disapplicazione della citata disciplina e, in subordine, la rimessione innanzi alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

4.1. Il motivo, che ha ad oggetto un duplice profilo di compatibilità, è in parte infondato, in parte inammissibile.

4.2. Quanto al primo profilo, questa Corte ha già espressamente valutato la coerenza e compatibilità dell’ordinamento nazionale con il diritto unionale avuto riguardo alla tassa portuale con la decisione n. 7651 del 2006, nella cui motivazione si precisava “Il principio della distinzione tra tassa erariale e tassa portuale di sbarco e imbarco delle merci trova conferma nella sentenza della Corte di giustizia della Comunità Europea 16 marzo 1983, in causa 266/81, SIOT contro Ministero delle finanze, secondo la quale “non si può considerare incompatibile con la libertà di transito… l’imposizione di diritti od oneri rappresentativi delle spese di trasporto o del costo di altre prestazioni connesse al transito. In proposito… non ci si deve limitare ai servizi direttamente e specificamente connessi al movimento delle merci… Vanno infatti considerati rappresentativi delle spese di trasporto anche diritti od oneri basati sui vantaggi di carattere più generale e che risultano dall’utilizzazione delle acque o degli impianti portuali la cui navigabilità e il cui mantenimento sono a carico della pubblica amministrazione”.

Tale rilievo vale, a maggior ragione, quando, come accade per gli operatori economici in campo petrolifero, “l’attività di sbarco e di imbarco è relativa a merci la cui movimentazione, non solo richiede l’installazione in mare di strutture fisse di considerevoli dimensioni e di rilevante impatto ambientale, ma implica anche una navigazione marittima ingombrante e pesantemente riduttiva dei diritti civici degli altri soggetti dell’ordinamento giuridico, ponendo, per di più, problemi particolari di sicurezza e problemi di notevole rilevanza di tutela ambientale, anche preventiva, oltre a richiedere una attività di manutenzione di considerevole impegno, come, ad esempio, il dragaggio delle aree adiacenti alle strutture installate nelle zone di mare. Inoltre, lo sbarco e l’imbarco di prodotti petroliferi esige che l’autorità portuale svolga un’attività di programmazione del territorio terrestre, non solo progettando gli interventi infrastrutturali e di prevenzione dei rischi, ma anche realizzando le opere necessarie e predisponendo l’organizzazione amministrativa idonea ad eliminare le conseguenze degli incidenti ambientali”, senza che da ciò, peraltro, se ne possa ricavare che tra la tassa portuale e l’attività dell’autorità portuale si instauri un rapporto sinallagmatico.

Considerazioni, queste, esaustive e condivisibili, e che escludono la necessità di una nuova richiesta alla Corte di Giustizia.

4.3. Il secondo profilo, per come formulato, è invece inammissibile. Occorre rilevare che la questione verte sulla giustificazione della differenza dell’aliquota della tassa portuale ove essa si applichi a navi la cui provenienza o destinazione sia un porto nazionale, ovvero uno Stato membro dell’Unione oppure un paese terzo.

Il ricorrente, peraltro, oltre ad invocare il precedente relativo alla sentenza Corte di Giustizia, Commissione c. Grecia, in C-269-05, asseritamente sovrapponibile alla vicenda qui in esame, ha omesso una qualsiasi illustrazione, anche solo sommaria, degli elementi rilevanti e delle circostanze di fatto sulle quali la questione si articolerebbe.

Non sono indicate, tra l’altro, neppure le aliquote applicate nella vicenda concreta, nè se esse siano o meno deteriori rispetto ad altre ipotesi.

La stessa circolare invocata a riprova delle differenti aliquote gravanti sulle merci a seconda della loro provenienza o destinazione (prot. 35093/TRDC) non è in alcun modo riprodotta nel ricorso, nè il compendio fornito assolve alla comprensione della regolamentazione amministrativa.

Nessun rilievo assume infine l’intervento modificativo operato con il D.L. n. 1 del 2012, art. 84, comma 1, lett. b, conv. nella L. n. 27 del 2012, trattandosi di modifica che ha coinvolto il D.P.R. 29 maggio 2009, n. 107 che già aveva regolato ex novo la disciplina dei tributi marittimi (in attuazione della L. n. 206 del 2009, art. 1, comma 989) e che, tra l’altro, aveva accorpato i tre tributi esistenti in due soltanto: la tassa di ancoraggio (con relativa soprattassa), da un lato, e la tassa sulle merci (risultante dalla fusione della tassa erariale e della tassa portuale) dall’altro. Si tratta, dunque, di un assetto normativo sicuramente differente.

Ne deriva che sono oggettivamente carenti (delineandosi, sul piano del diritto interno, una situazione di carente autosufficienza del ricorso e di mancanza di decisività della doglianza) le necessarie condizioni previste dall’art. 94 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia, in assenza delle quali l’ordinanza di rinvio si presta ad una prognosi di inammissibilità.

La richiesta di rinvio va pertanto disattesa.

5. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, innanzi alla CTR competente in diversa composizione, per un nuovo esame e regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie i motivi da tre a sei del ricorso nei termini di cui in motivazione; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui rimette anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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