Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20018 del 11/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/08/2017, (ud. 02/05/2017, dep.11/08/2017),  n. 20018

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 5754/15, proposto da:

KRI s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. in

Roma, alla via A. Depretis n. 86, presso gli avv.ti Pietro Cavasola,

Beatrice Fimiani, Marco Iannacci, dai quali è rappres. e difesa,

con procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane, elett.te domic. in Roma, alla via dei

Portoghesi n.12, presso l’Avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4625/38/14 della CTR del Lazio, depositata in

data 10/7/2014;

udita la relazione del consigliere dott. Rosario Caiazzo, svolta

nell’udienza pubblica del 2 maggio

dito il difensore della parte ricorrente, avv. P. Cavasola;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. G. Caselli;

sentito il Pubblico Ministero, dott. Del Core Sergio, il quale ha

concluso per il rigetto dei primi due motivi del ricorso e per

l’accoglimento del terzo motivo, assorbiti gli altri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Kri s.p.a. impugnò, innanzi alla Ctp di Roma, un avviso d’accertamento riguardante la riscossione della tassa sulla movimentazione di prodotti petroliferi imbarcati o sbarcati per suo conto presso la raffineria di Roma, per il periodo dal marzo 1998 all’agosto 2002.

Successivamente, fu notificata alla suddetta società una cartella di pagamento, fondata sull’avviso impugnato.

La Kri s.p.a. formulò i seguenti motivi di ricorso: eccezione di prescrizione e decadenza dal potere d’accertamento in capo all’Agenzia delle Dogane; la carenza o insufficienza della motivazione dell’atto impugnato; la violazione del principio del contraddittorio; l’insussistenza dei presupposti della tassa portuale, anche per relativa incompatibilità con il diritto comunitario.

L’Agenzia si costituì, resistendo al ricorso.

La Ctp respinse il ricorso.

La società propose appello, che fu rigettato dalla Ctr che, respinte le eccezioni preliminari, ritenne dovuta la tassa applicata, richiamando l’orientamento della Corte Suprema ed escludendo il contrasto con il diritto comunitario.

La Kri s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, formulando sette motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.

La ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato nei sensi qui di seguito precisato.

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’avviso d’accertamento impugnato fu notificato oltre il termine di decadenza triennale, di cui al predetto art. 84, la cui applicabilità discende dal combinato disposto del D.P.R. n. 1340 del 1966, art. 6, comma 2 e del D.P.R. n. 107 del 2009, art. 2.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e art. 12, comma 7 e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 avendo la Ctr ritenuto che non fu violato il principio del contraddittorio – prima dell’emissione dell’avviso impugnato – in quanto la tassa portuale non era qualificabile come imposta doganale.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione della L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, art. 4, comma 4 e art. 6, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione al n. 5.

Al riguardo, la ricorrente ha lamentato che il giudice d’appello, nel ritenere dovuta la tassa portuale, non ha verificato se le due piattaforme – utilizzate dalla KRI s.p.a., cui la tassa si riferisce – fossero comprese o meno nella circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale di Civitavecchia-Fiumicino, in virtù di una determinazione amministrativa ministeriale

Con il quarto motivo, la parte ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, per aver la Ctr applicato lo ius superveniens al giudizio, ritenendo la norma di interpretazione autentica.

Con il quinto motivo la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986 e della L. n. 84 del 1984, art. 28, comma 6, attesa la natura innovativa della disposizione introdotta.

Con il sesto motivo, la parte ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 134 Cost., L. cost. n. 1 del 1948, art. 1, della L. n. 87 del 1953, art. 23 nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2 e art. 3, degli artt. 1 e 6 del Protocollo aggiuntivo n. 1 della Convenzione dei diritti dell’uomo e, infine, dei principi fondamentali dell’Unione Europea, eccependo l’illegittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1,comma 986, per come interpretato dalla CTR.

Con il settimo motivo, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 28, 30, 36 e 56 TFUE sul principio della libera circolazione delle merci e dei servizi e del regolamento n. 4055/86/CE, dovendosi ritenere la tassa portuale non compatibile con il diritto unionale in quanto tributo privo di corrispettività; la ricorrente da dedotto, inoltre, il carattere discriminatorio della tassa, restando assoggettate le merci imbarcate o sbarcate ad imposizioni differenti a seconda della loro origine o destinazione; chiede, pertanto, la disapplicazione della citata disciplina e, in subordine, la rimessione innanzi alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.

Il primo motivo è infondato.

La tassa portuale (cd. di sbarco e di imbarco su merci trasportate per via marittima) di cui alla L. n. 82 del 1963, art. 33 come modificata dalla L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, non è un’imposta doganale ma costituisce un tributo interno, poichè non incide su operazioni imponibili afferenti al passaggio dei confini, e il gettito affluisce all’autorità portuale o, in mancanza, allo Stato e non all’Unione europea.

In particolare, la tassa portuale non presenta profili di corrispettività rispetto all’attività dell’Autorità portuale, essendo essa un contributo integrativo (che si aggiunge alla tassa erariale) del sistema impositivo generale, attraverso il quale il contribuente che possieda una capacità contributiva che si manifesti specificamente nell’utilizzazione dell’area portuale, viene chiamato a concorrere in forma ulteriore, più diretta e più immediata, al mantenimento delle funzioni pubbliche che, nell’interesse generale, sono svolte dall’autorità portuale per il funzionamento dell’area affidata alle sue cure (Cass., n. 13822 del 13.6.2007; Cass. n. 3528 del 7.3.2012).

Ne deriva l’inapplicabilità del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 e D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5, restando i relativi diritti soggetti alla prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c., nella specie non decorsa attesa l’avvenuta notifica dell’invito a pagamento del 13 febbraio 2003, avente natura anche di atto interruttivo della prescrizione.

Il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Quanto all’asserito difetto di motivazione dell’avviso di accertamento – neppure riprodotto, con ulteriore ragione di inammissibilità per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – il ricorrente, in realtà, ha lamentato una insufficiente od omessa motivazione della decisione della Ctr, doglianza che avrebbe dovuto essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (in sè comunque inammissibile applicandosi la norma nella nuova formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. 11, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012) ovvero ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sicchè la censura è inammissibile.

Quanto all’asserito difetto di preventivo contraddittorio, trattandosi di tributo interno (e non di tributo armonizzato) non sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, occorrendo invece una specifica previsione normativa (v. Sez. U, n. 24823 del 2015).

Nella concreta vicenda, peraltro, alla contribuente, come risulta dallo stesso ricorso, era stato notificato in data 13 febbraio 2003 avviso di pagamento relativo alla medesima vicenda e contestazione, tale, dunque, da soddisfare pienamente le esigenze di contraddittorio.

I motivi terzo, quarto, quinto e sesto, il cui esame va effettuato unitariamente in quanto logicamente connessi, sono fondati nei termini che seguono.

La questione centrale ha ad oggetto la disposizione introdotta con la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986.

La norma, nel testo applicabile ratione temporis, dispone:

“986. Le disposizioni di cui al comma 982, lett. a) e b) nonchè quelle di cui al comma 985 si interpretano nel senso che le navi che compiono operazioni commerciali e le merci imbarcate e sbarcate nell’ambito di porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzati, sono soggette alla tassa di ancoraggio e alle tasse sulle merci”.

I commi richiamati prevedono:

“982. Per assicurare l’autonomia finanziaria alle autorità portuali nazionali e promuovere l’autofinanziamento delle attività e la razionalizzazione della spesa, anche al fine di finanziare gli interventi di manutenzioni ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell’ambito portuale, con priorità per quelli previsti nei piani triennali già approvati, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali, sono attribuiti a ciascuna autorità portuale, a decorrere dall’anno 2007, per la circoscrizione territoriale di competenza:

a) il gettito della tassa erariale di cui al D.L. 28 febbraio 1974, n. 47, art. 2, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 aprile 1974, n. 117, e successive modificazioni;

b) il gettito della tassa di ancoraggio di cui al capo 1 del titolo 1 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni”.

“985. Resta ferma l’attribuzione a ciascuna autorità portuale del gettito della tassa sulle merci sbarcate e imbarcate di cui al capo 3 del titolo 2 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni e alla L. 5 maggio 1976, n. 355, art. 1”.

A sua volta l’art. 28, comma 6, I. n. 84 del 1994, dispone:

“6. La tassa sulle merci sbarcate ed imbarcate di cui al capo 3 del titolo 2 della L. 9 febbraio 1963, n. 82, e alla L. 5 maggio 1976, n. 355, e successive modificazioni e integrazioni, art. 1 viene estesa a tutti i porti a decorrere dal 1 luglio 1994. Per i porti ove non è istituita l’autorità portuale il gettito della tassa affluisce al bilancio dello Stato”.

Occorre, dunque, valutare la portata e la natura della disposizione introdotta dalla legge finanziaria del 2007.

Va osservato, in primo luogo, che l’art. 1, comma 986, cit. si riferisce non solo alla tassa erariale e alla tassa di ancoraggio (comma 982, lett. a e b) ma anche alla tassa portuale atteso l’esplicito rinvio al comma 985, che riguarda il medesimo tributo previsto dall’art. 28, comma 6, cit..

La disposizione riguarda, tra l’altro, qualunque operazione di imbarco e sbarco di merci che sia stata posta in essere in “porti, rade o spiagge dello Stato, in zone o presso strutture di ormeggio, quali banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzati”.

L’indicazione, che ha una evidente connotazione esemplificativa (come si ricava dalla locuzione “in qualsiasi modo realizzati”), mira ad includere qualunque tipo di approdo, non importa (in assenza di distinzioni) se l’infrastruttura sia pubblica o privata, nè se essa sia posta sulla costa (moli, pontili) o in mezzo al mare (boe, piattaforme): l’esistenza di un approdo, comunque sorto, integra il presupposto per l’applicazione del tributo.

Ne deriva, in particolare, che non ha neppure rilievo che le strutture di ormeggio non siano ancorate alla costa ma, come nella specie, siano realizzate off shore.

Nella prospettazione del ricorrente la norma avrebbe carattere non di interpretazione autentica ma innovativo perchè avrebbe esteso l’applicazione del tributo sostituendo il presupposto dello sbarco e imbarco da un porto in senso stretto a quello della rilevanza di un qualunque luogo, in cui insista un approdo, comunque posto lungo la costa italiana (porto esteso).

E’ opportuno rammentare, sul punto, che la Corte costituzionale ha riconosciuto in più occasioni la legittimità dell’intervento di interpretazione autentica qualora sia volto ad assegnare alla disposizione interpretata un significato che rappresenti una delle possibili letture del testo originario, intervenendo in un quadro di “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo” o anche soltanto per “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore”, aggiungendo che ben può il legislatore emanare norme retroattive, di interpretazione autentica, “purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”” (Corte cost. n. 15/2012; Corte cost. n. 156/2014; Corte cost. n. 170/2013; Corte cost. n. 264/2012; Corte cost. n. 78/2012).

Il legislatore può in definitiva imporre uno dei possibili significati derivanti dalla disposizione interpretata (Corte cost. n. 227/2014; Corte cost. n. 209/2010, Corte cost. n. 24/2009; Corte cost. n. 170/2008; Corte cost. n. 234/2007).

Ciò premesso, va considerato che, secondo i principi più volte affermati dalla Suprema Corte, anche in epoca precedente all’entrata in vigore della norma in esame, “la tassa portuale si applica nello scalo che, indipendentemente dalla titolarità del diritto di proprietà e dall’utilizzazione dei servizi portuali resi dalle società di cui si sono trasformate le compagnie e i gruppi portuali, è collocato all’interno della circoscrizione di un’area portuale che è determinata con il D.M. previsto dall’art. 4, comma 4 e art. 6, comma 7, della legge, e che segna i confini spaziali in cui sono esercitati i poteri autoritativi della relativa autorità portuale” (Cass. n. 3528 del 2012; Cass. n. 7651 del 2006; in precedenza ancora v. Cass. n. 1961 del 2005, secondo la quale “qualsiasi scalo, anche se privato, è sottoposto al regime L. 28 gennaio 1994, n. 84, ex art. 28, comma 6 nonostante sia collocato fuori di un bene porto, faccia parte di un’area portuale per determinazione adottata con un decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione con procedimento regolato dalla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 4 e seguita dalla determinazione del piano regolatore portuale ex art. 5.1 dello stesso atto normativo”).

Ne deriva che, già dall’esame degli orientamenti pregressi, la tassa portuale non era limitata alle operazioni di sbarco e imbarco presso i porti ma si estendeva pacificamente a quelli posti in essere presso tutti gli scali od ormeggi comunque esistenti presso l’area portuale.

Si è, poi, ulteriormente precisato che “tale opzione interpretativa trova riscontro, altresì, nella L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 986 e nel regolamento di cui al D.P.R. 28 maggio 2009, n. 107, ove si è ribadita la soggezione delle navi a tutte le tasse connesse alle operazioni che si svolgono in quelle aree portuali, sebbene non siano “porti” in senso stretto” (Cass. n. 3528 del 2012).

L’analisi della disciplina contenuta nella L. n. 84 del 1994, peraltro, permette di evidenziare ulteriori elementi qualificanti. In particolare: a) L’art. 28, comma 6, prevede espressamente che “la tassa… viene estesa a tutti i porti. Per i porti ove non è istituita l’autorità portuale il gettito della tassa affluisce al bilancio dello Stato”.

Si tratta, come ha evidenziato la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 84 del 2010 (con cui è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986), di una “previsione generalizzante… che adotta quale presupposto dell’imposizione l’appartenenza ad un ambito portuale”.

Non assume poi rilevanza che sia stato o meno istituito “l’ente cui la prestazione è sostanzialmente destinata” poichè, in ogni caso, se questo manca la prestazione affluisce allo Stato, sicchè il tributo esiste a prescindere dall’istituzione dell’autorità portuale e dalla determinazione della sua circoscrizione territoriale.

b) Tale connotazione trova conferma nella lettura della disciplina complessiva, nel testo vigente ratione temporis, che supera la mera classificazione dei porti atteso che:

– l’art. 4, comma 2, include già (con riferimento ai cd. porti di 1 categoria) “le baie, rade e golfi” all’interno della nozione di porto, che diviene così estesa;

– l’art. 4, comma 4, espressamente rimette al decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione la determinazione, tra l’altro, “delle caratteristiche dimensionali… dei porti di cui alla categoria 2, classi 1, 2 e 3, e l’appartenenza di ogni scalo alle classi medesime”, sicchè l’individuazione di una più lata accezione geografica era insita nel dettato normativo;

– l’art. 4, comma 6, contempla anche un altro soggetto istituzionale in assenza dell’autorità portuali, stabilendo che la revisione e classificazione “delle caratteristiche dimensionali” degli scali “avviene su iniziativa delle autorità portuali, o laddove non istituite, delle autorità marittime”;

– tale concetto è poi ripetutamente ribadito: l’art. 5, comma 3, che dispone che “nei porti in cui non è istituita l’autorità portuale, il piano regolatore è adottato dall’autorità marittima”; così pure gli artt. 16, 17 e 18 (per il rilascio delle concessioni), che delineano un ruolo di supplenza dell’autorità marittima;

Emerge con chiarezza, quindi, che nella prospettiva della legge il tributo esiste ed è dovuto senza essere funzionalmente o necessariamente collegato all’avvenuta istituzione dell’autorità portuale: la disciplina, in altri termini, riconnetteva già nella sua formulazione originaria il tributo all’esistenza oggettiva di un ambito portuale e, dunque, in via generale, la tassa poteva ritenersi dovuta per le operazioni di sbarco ed imbarco non solo se svolte nei porti in senso stretto o nell’area portuale ma anche con riguardo agli approdi o scali non (ancora) inclusi in una specifica circoscrizione, purchè compresi, nei limiti del mare territoriale, nell’area soggetta all’Autorità marittima.

Se ne può derivare, pertanto, che la definizione dell’ambito geografico a presupposto dell’applicazione della tassa portuale così come precisata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, costituiva già una possibile soluzione interpretativa della disciplina originariamente introdotta con la L. n. 84 del 1994.

Chiarita la natura di norma di interpretazione autentica legittimamente adottata dal legislatore, ne deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, anche sotto il profilo del contrasto con le norme convenzionali CEDU, non configurandosi nè una lesione del diritto di proprietà, la cui connotazione è rimasta inalterata, nè una lesione dei principi dell’equo processo per l’assenza di una indebita interferenza con l’accertamento giudiziale.

Tale esito, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla Ctr, non esclude che continui a restare attuale la rilevanza della collocazione dei terminali R1 ed R2.

Resta comunque necessaria, infatti, l’identificazione dell’area portuale di loro appartenenza o, in mancanza di quest’ultima, la loro ubicazione all’interno della circoscrizione di competenza dell’Autorità marittima, fermo il limite del mare territoriale.

L’approdo, ove sia esterno a qualunque circoscrizione territoriale, non può infatti ritenersi incluso nell’ambito portuale nei termini sopra delineati e, dunque, resta estraneo alla sfera di applicazione della tassa portuale.

Ne consegue l’infondatezza della tesi della parte ricorrente secondo cui solo con il decreto del 23 dicembre 2005 la circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale comprendeva le due piattaforme della raffineria di Roma.

Nè va sottaciuto che l’argomento della parte ricorrente, per cui le piattaforme in questione erano al di fuori dell’area portuale di Fiumicino nel periodo anteriore al suddetto decreto non persuade, anche perchè non indica quale sarebbe stata, invece, l’area portuale interessata, addivenendo all’ingiustificata ed indimostrata conclusione che tali piattaforme sarebbero state esenti dalla tassa portuale, a differenza di altre.

Per quanto esposto, anche la censura afferente all’omesso esame di un fatto decisivo, relativo alla sussistenza dei presupposti del pagamento della tassa portuale, è destituita di fondamento.

Il settimo motivo, che ha ad oggetto un duplice profilo di compatibilità, è in parte infondato, in parte inammissibile.

Quanto al primo profilo, questa Corte ha già espressamente valutato la coerenza e compatibilità dell’ordinamento nazionale con il diritto unionale avuto riguardo alla tassa portuale con la decisione n. 7651 del 2006, nella cui motivazione si precisava “Il principio della distinzione tra tassa erariale e tassa portuale di sbarco e imbarco delle merci trova conferma nella sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea 16 marzo 1983, in causa 266/81, SIOT contro Ministero delle finanze, secondo la quale “non si può considerare incompatibile con la libertà di transito… l’imposizione di diritti od oneri rappresentativi delle spese di trasporto o del costo di altre prestazioni connesse al transito. In proposito…non ci si deve limitare ai servizi direttamente e specificamente connessi al movimento delle merci… Vanno infatti considerati rappresentativi delle spese di trasporto anche diritti od oneri basati sui vantaggi di carattere più generale e che risultano dall’utilizzazione delle acque o degli impianti portuali la cui navigabilità e il cui mantenimento sono a carico della pubblica amministrazione”.

Tale rilievo vale, a maggior ragione, quando, come accade per gli operatori economici in campo petrolifero, “l’attività di sbarco e di imbarco è relativa a merci la cui movimentazione, non solo richiede l’installazione in mare di strutture fisse di considerevoli dimensioni e di rilevante impatto ambientale, ma implica anche una navigazione marittima ingombrante e pesantemente riduttiva dei diritti civici degli altri soggetti dell’ordinamento giuridico, ponendo, per di più, problemi particolari di sicurezza e problemi di notevole rilevanza di tutela ambientale, anche preventiva, oltre a richiedere una attività di manutenzione di considerevole impegno, come, ad esempio, il dragaggio delle aree adiacenti alle strutture installate nelle zone di mare. Inoltre, lo sbarco e l’imbarco di prodotti petroliferi esige che l’autorità portuale svolga un’attività di programmazione del territorio terrestre, non solo progettando gli interventi infrastrutturali e di prevenzione dei rischi, ma anche realizzando le opere necessarie e predisponendo l’organizzazione amministrativa idonea ad eliminare le conseguenze degli incidenti ambientali”, senza che da ciò, peraltro, se ne possa ricavare che tra la tassa portuale e l’attività dell’autorità portuale si instauri un rapporto sinallagmatico.

Considerazioni, queste, esaustive e condivisibili, e che escludono la necessità di una nuova richiesta alla Corte di Giustizia.

Va altresì osservato che non risulta violata la norma sulla libertà di transito, sia perchè la tassa portuale non è un’imposta doganale – applicabile per l’accesso delle merci nel territorio nazionale -, sia perchè essa non incide, neppure indirettamente, sul diritto di transito delle merci, essendo un contributo al mantenimento delle funzioni pubbliche, quale espressione di una maggiore capacità contributiva.

Il secondo profilo è invece inammissibile.

La questione verte sulla giustificazione della differenza dell’aliquota della tassa portuale ove essa si applichi a navi la cui provenienza o destinazione sia un porto nazionale, ovvero uno Stato membro dell’Unione, oppure un paese terzo.

Il ricorrente, peraltro, oltre ad invocare il precedente relativo alla sentenza, della Corte di Giustizia, 11 gennaio 2007 Commissione c. Grecia, in C-269-05, asseritamente sovrapponibile alla fattispecie in esame, ha omesso una qualsiasi illustrazione, anche solo sommaria, degli elementi rilevanti e delle circostanze di fatto sulle quali la questione si articolerebbe.

Non sono indicate, tra l’altro, neppure le aliquote applicate nella vicenda concreta, nè se esse siano o meno deteriori rispetto ad altre ipotesi.

La stessa circolare invocata a riprova delle differenti aliquote gravanti sulle merci a seconda della loro provenienza o destinazione (prot. 35093/TRDC) non è in alcun modo riprodotta nel ricorso, nè il compendio fornito assolve alla comprensione della regolamentazione amministrativa.

Nessun rilievo assume infine l’intervento modificativo operato con il D.L. n. 1 del 2012, art. 84, comma 1, lett. b, conv. nella L. n. 27 del 2012, trattandosi di modifica che ha coinvolto il D.P.R. 29 maggio 2009, n. 107 che già aveva regolato ex novo la disciplina dei tributi marittimi (in attuazione della L. n. 206 del 2009, art. 1, comma 989) e che, tra l’altro, aveva accorpato i tre tributi esistenti in due soltanto: la tassa di ancoraggio (con relativa soprattassa), da un lato, e la tassa sulle merci (risultante dalla fusione della tassa erariale e della tassa portuale) dall’altro. Si tratta, dunque, di un assetto normativo sicuramente differente.

Ne deriva che sono oggettivamente carenti (delineandosi, sul piano del diritto interno, una situazione di carente autosufficienza del ricorso e di mancanza di decisività della doglianza) le necessarie condizioni previste dall’art. 94 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia, in assenza delle quali l’ordinanza di rinvio si presta ad una prognosi di inammissibilità.

La richiesta di rinvio va pertanto disattesa.

In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, innanzi alla CTR competente in diversa composizione, per un nuovo esame e, in diversa composizione, che, nel procedere a nuova valutazione, si atterrà al seguente principio:

“La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 986, ha natura di interpretazione autentica, sicchè la tassa portuale per le operazioni di sbarco e imbarco delle navi, di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 28, comma 6, si applica a qualsiasi scalo, approdo o struttura di ormeggio comunque realizzata, ivi compresi i terminali marittimi attraverso cui avviene la movimentazione dei prodotti petroliferi, che rientri in una area portuale istituita con il D.M. previsto dall’art. 4, comma 4 e art. 6, comma 7, della legge medesima, ovvero, in assenza di tale istituzione, sia incluso nell’ambito territoriale di competenza dell’Autorità marittima.

La Ctr provvederà anche al regime delle spese.

PQM

 

La Corte accoglie i motivi da tre a sei del ricorso nei termini di cui in motivazione; rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui la rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2017

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