Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20015 del 27/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 20015 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

ORDINANZA
sul ricorso 1671-2013 proposto da:
MINISTERO

ISTRUZIONE

UNIVERSITA’

RICERCA

P.IVA

80185250588, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
2018
1677

VIRZI’ LUCA, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIOE, rappresentato e difeso dall’avvocato
MICHELE BORELLO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 27/07/2018

avverso la sentenza n. 363/2012 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 26/07/2012, R. G. N.

348/2010.

R.G 1671/2013

RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Milano ha accolto solo parzialmente l’appello proposto dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del Tribunale
della stessa città che aveva condannato il Ministero al pagamento in favore di Luca Virzì
della retribuzione professionale docenti maturata nei periodi in cui, dal 2006 al 2009, il
ricorrente aveva prestato attività lavorativa in forza di contratti a tempo determinato
riconducibili alla supplenza temporanea;

alla valorizzazione professionale della funzione ed al miglioramento del servizio
scolastico, è stata istituita dal C.C.N.L. per il comparto scuola del 15.3.2001 che, all’art.
7, l’ha riconosciuta in favore di tutto il personale docente, senza operare distirizioni
fondate sulla natura temporanea o annuale della supplenza;
3. il richiamo all’art. 25 del C.C.N.I. 31/8/1999, che disciplinava il compenso individuale
accessorio riservato ai soli supplenti assunti per l’intero anno scolastico o sino al termine
delle attività didattiche, aveva la finalità di individuare le modalità di corresponsione e di
calcolo del nuovo trattamento, non già quella di limitare i destinatari del trattamento
accessorio;
4. il giudice di appello ha ritenuto, poi, la compatibilità della R.P.D. con i rapporti di
lavoro a tempo determinato di qualunque tipologia ed ha evidenziato che anche per il
personale assunto per espletare incarichi di durata inferiore a quella annuale si pongono
le medesime finalità di valorizzazione della funzione docente e di riconoscimento del ruolo
svolto dagli insegnanti, in relazione alle quali il trattamento accessorio è stato istituito;
5.

infine la Corte territoriale, dopo avere escluso significative diversificazioni nello

svolgimento dell’attività fra assunti a tempo indeterminato e supplenti temporanei, ha
rilevato che una diversa interpretazione della normativa contrattuale creerebbe
ingiustificata disparità di trattamento fra le diverse categorie di supplenti, in violazione di
quanto previsto dall’art. 526 del d.lgs. n. 297/1994, che estende al personale docente ed
educativo non di ruolo il trattamento economico iniziale previsto per il personale docente
di ruolo, senza effettuare alcuna distinzione;
6. il giudice di appello, pertanto, ha ritenuto fondato il solo motivo di appello con il quale
era stata censurata la sentenza del Tribunale nella parte in cui il Ministero era stato
condannato, in violazione del divieto di cumulo di cui all’art. 22 comma 36 della legge n.
724/1994, al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria;
7. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il MIUR sulla base di un unico
motivo, al quale ha resistito Luca Virzì con tempestivo controricorso, illustrato da
memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ..

2. la Corte territoriale ha osservato che la retribuzione professionale docenti, finalizzata

CONSIDERATO CHE

1. il ricorso denuncia con un unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc.
civ., «violazione e falsa applicazione dell’art. 81 C.C.N.L. 24 luglio 2003 (ex art. 7
C.C.N.L. 15 marzo 2001), dell’art. 83 C.C.N.L. 27 novembre 2007, dell’art. 42 C.C.N.L.
26 maggio 1999, dell’art. 25 C.C.N.I. 31 agosto 1999, dell’art. 526, comma 1, d.lgs. n.
297/1994, degli artt. 40 e 45 d.lgs. n. 165/2001, della legge n. 448/2001» e sostiene, in
sintesi, che le parti collettive nell’istituire la retribuzione professionale docenti,
assorbendo nella stessa il compenso individuale accessorio disciplinato dall’art. 25 del

quest’ultima disposizione che riconosceva l’emolumento solo ai supplenti annuali e a
quelli assunti sino al termine delle attività didattiche;
1.2. il Ministero aggiunge che tutti i contratti collettivi succedutisi nel tempo si sono
limitati a modificare gli importi della R.P.D. lasciando inalterata per il resto la disciplina
originaria, sulla base della quale è da escludere che il compenso possa essere
riconosciuto ai supplenti temporanei, la cui attività si differenzia da quella del docente a
tempo indeterminato o annuale in quanto non partecipa al lavoro di preparazione e
programmazione dell’anno scolastico, ai consigli di classe, alle riunioni, agli incontri con i
genitori ed in genere a tutte le attività finalizzate al miglioramento dell’offerta formativa;
1.3. infine il ricorrente evidenzia che un’interpretazione estensiva renderebbe la clausola
contrattuale nulla per violazione di quanto disposto dalla legge n. 448/2001, in base alla
quale i contratti collettivi possono prevedere spese solo se compatibili con i vincoli di
bilancio;
2. l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto della scuola ha istituito la
Retribuzione Professionale Docenti, prevedendo, al comma 1, che «con l’obiettivo della
valorizzazione professionale della funzione docente per la realizzazione dei processi
innovatori, che investono strutture e contenuti didattici delle scuole di ogni ordine e
grado, nonché di avviare un riconoscimento del ruolo determinante dei docenti per
sostenere il miglioramento del servizio scolastico sono attribuiti al personale docente ed
educativo compensi accessori articolati in tre fasce retributive» ed aggiungendo, al
comma 3, che «la retribuzione professionale docenti, analogamente a quanto avviene per il
compenso individuale accessorio, è corrisposta per dodici mensilità con le modalità stabilite
dall’art. 25 del CCNI del 31.8.1999…»;
2.1. quest’ultima disposizione, dopo avere individuato i destinatari del compenso accessorio
negli assunti a tempo indeterminato e nel personale con rapporto di impiego a tempo
determinato utilizzato su posto vacante e disponibile per l’intera durata dell’anno scolastico o
fino al termine delle attività didattiche, nei commi successivi disciplinava le modalità di calcolo
e di corresponsione del compenso, stabilendo che lo stesso dovesse essere corrisposto «in

ragione di tante mensilità per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestato o

C.C.N.I. del 1999, quanto all’individuazione dei destinatari avevano rinviato a

situazioni di stato assimilate al servizio» e precisando, poi, che «per i periodi di servizio o
situazioni di stato assimilate al servizio inferiori al mese detto compenso è liquidato al
personale in ragione di 1/30 per ciascun giorno di servizio prestato o situazioni di stato
assimilate al servizio»;
3. dal complesso delle disposizioni richiamate, sulle quali non ha inciso la contrattazione
successiva che ha solo modificato l’entità della RPD, includendola anche nella base di calcolo
del trattamento di fine rapporto ( art. 81 del CCNL 24.7.2003, art. 83 del CCNL 29.11.2007),
emerge che l’emolumento ha natura fissa e continuativa e non è collegato a particolari
modalità di svolgimento della prestazione del personale docente ed educativo (cfr. fra le tante
Cass. n. 17773/2017);

della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro,
pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato i quali «non
possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a
meno che non sussistano ragioni oggettive »;
5. la clausola 4 dell’Accordo quadro, alla luce della quale questa Corte ha già risolto questioni
interpretative dei CCNL del settore pubblico in generale e del comparto scuola in particolare
(Cass. 7.11.2016 n. 22558 sulla spettanza delle progressioni stipendiali agli assunti a tempo
determinato del comparto scuola; Cass. 26.11.2015 n. 24173 e Cass. 11.1.2016 n. 196 sulla
interpretazione del CCNL comparto enti pubblici non economici quanto al compenso
incentivante; Cass. 17.2.2011 n. 3871 in tema di permessi retribuiti anche agli assunti a
tempo determinato del comparto ministeri), è stata più volte oggetto di esame da parte della
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel
presente giudizio;
5.1. in particolare la Corte ha evidenziato che: a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in
generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente
giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere
incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha
l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce,
disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte
Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, Del Cerro Alonso;
8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana); b) il principio di non discriminazione non può
essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta
nell’art. 137 n. 5 del Trattato ( oggi 153 n. 5), « non può impedire ad un lavoratore a tempo
determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di
impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di
tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione» ( Del Cerro Alonso, cit.,
punto 42); c) non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma
generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di
lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento

3

4. non vi è dubbio, pertanto, che lo stesso rientri nelle «condizioni di impiego» che, ai sensi

può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che
contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche
delle mansioni espletate ( Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di
ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11,
Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);
5.2. l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui
pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche
ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa perché a tali
sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una
disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel

i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione ( fra le più recenti in
tal senso Cass. 8.2.2016 n. 2468);
6. nel caso di specie la Corte territoriale, pur escludendo, erroneamente, la rilevanza del
principio di non discriminazione fra assunti a tempo determinato e indeterminato, ha
comunque evidenziato, in motivazione, «che il supplente temporaneo, in quanto assunto per
ragioni sostitutive, rende una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito» ed
ha disatteso la tesi del Ministero secondo cui la durata temporalmente limitata dell’incarico
sarebbe incompatibile con la percezione della RPD;
7. una volta escluse, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, significative
diversificazioni nell’attività propria di tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle
diverse tipologie di incarico, rispetto a quella del personale stabilmente inserito negli organici,
il principio di non discriminazione, sancito dalla richiamata clausola 4 e recepito dall’art. 6 del
d.lgs. n. 368/2001, deve guidare nell’interpretazione delle clausole contrattuali che vengono
in rilievo, nel senso che, come accade per l’esegesi costituzionalmente orientata, fra più
opzioni astrattamente possibili deve essere preferita quella che armonizza la disciplina
contrattuale con i principi inderogabili del diritto eurounitario;
8. si deve, pertanto, ritenere, come evidenziato dalla Corte territoriale sia pure sulla base di
un diverso percorso argomentativo, che le parti collettive nell’attribuire il compenso
accessorio «al personale docente ed educativo», senza differenziazione alcuna, abbiano voluto
ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere
dalle diverse tipologie di incarico previste dalla legge n. 124/1999, sicché il successivo
richiamo, contenuto nel comma 3 dell’art. 7 del CCNL 15.3.2001, alle «modalità stabilite
dall’art. 25 del CCNI del 31.8.1999» deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e
di corresponsione del trattamento accessorio, e non si estende all’individuazione delle
categorie di personale richiamate dal contratto integrativo;
9. una diversa interpretazione finirebbe per porre la disciplina contrattuale in contrasto con la
richiamata clausola 4 tanto più che la tesi del Ministero, secondo cui la RPD è incompatibile
con prestazioni di durata temporalmente limitata, contrasta con il chiaro tenore della
disposizione che stabilisce le modalità di calcolo nell’ipotesi di «periodi di servizio inferiori al
mese»;

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senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed

10. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato perché il dispositivo della sentenza, la cui
motivazione va parzialmente corretta ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ., è conforme al
principio di diritto che di seguito si enuncia: « l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del
comparto scuola, interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla
clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, attribuisce al comma 1 la
Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare
differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di
supplenze, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 alle “modalità stabilite
dall’art. 25 del CCNI del 31.8.1999” deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e
di corresponsione del trattamento accessorio»;

ricorrente nella misura indicata in dispositivo;
11.1 non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in C 2.000,00 per competenze professionali ed C 200,00 per esborsi,
oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge
Così deciso nella Adunanza camerale del 17 aprile 2018
Il Presiden e
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Il Ftunlonario
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II

11. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del

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