Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20015 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 14/07/2021), n.20015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27436-2015 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARMELA DE FRANCISCIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3688/2015 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA,

depositata il 17/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/05/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 118/8/13 la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha rigettato il ricorso proposto da T.D. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate e con il quale era stato rideterminato in Euro 149.796,00 il reddito per l’anno 2008 ai fini IRPEF con metodo sintetico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, sulla base di incrementi patrimoniali costituiti, in particolare, dal possesso di cavalli da competizione e di tre autoveicoli;

che con sentenza n. 3688/18/156 pubblicata il 17 aprile 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal T. avverso detta sentenza di primo grado, ha ridotto del 40% la misura dei redditi accertati con l’avviso di accertamento impugnato;

che la Commissione tributaria regionale ha considerato che il giudice di primo grado non aveva considerato le motivazioni addotte dal contribuente in merito alle motivazioni dell’atto impugnato; inoltre non aveva affatto considerato la mancata instaurazione del contraddittorio endoprocessuale; che il contribuente aveva comunque provato che uno degli autoveicoli contestati era stato acquistato con il ricavato della vendita di altro autoveicolo, mentre i cavalli da competizione erano stati posseduti per un periodo limitato dell’anno ed in numero inferiore a quello contestato; che le sanzioni erano state calcolate illegittimamente senza considerare che le violazioni contestate erano state commesse in più periodi di imposta per cui doveva trovare applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, secondo cui, in tali casi, si applica solo la sanzione base aumenta dalla metà al triplo;

che T.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su sei motivi;

che l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la nullità dell’avviso di accertamento impugnato con il ricorso di primo grado essendo stato firmato da persona priva di potere in quanto non nel legittimo possesso di qualifica dirigenziale in mancanza del superamento del relativo concorso pubblico;

che con il secondo motivo si deduce contrasto irriducibile tra motivazione e dispositivo, illogicità ed incoerenza della motivazione, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare si assume che la sentenza impugnata, dopo avere affermato l’illegittimità dell’atto impugnato a causa della mancata instaurazione del previo contraddittorio endoprocessuale, ha poi considerato valido l’atto limitandosi a ridurre il reddito accertato;

che con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, e del D.L. n. 79 del 2010, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla mancata considerazione della nullità dell’atto che sarebbe conseguita alla mancata instaurazione del previo contraddittorio endoprocessuale;

che con il quarto motivo si assume la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’ammontare delle sanzioni la cui determinazione era stata riconosciuta illegittima nella stessa motivazione della sentenza impugnata senza tuttavia che si provvedesse al conseguente annullamento in dispositivo;

che con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla mancata considerazione della prova fornita dal contribuente in merito ai fatti posti a fondamento dell’accertamento impugnato;

che con il sesto motivo si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento alla determinazione del reddito accertato nella misura ridotta del 40% senza alcuna motivazione;

che il primo motivo è infondato. La mancanza della qualifica dirigenziale del firmatario dell’avviso di accertamento non è causa di nullità dell’atto. Come più volte affermato da questa Corte, infatti, in tema d’imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’avviso di accertamento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, per il quale non è richiesta la qualifica di dirigente;

che il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto si riferiscono entrambi all’affermata omessa instaurazione del contraddittorio endoprocessuale da cui, tuttavia, il giudice dell’appello non ha tratto la conseguenza della nullità dell’atto. I motivi sono infondati. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass. n. 24823/2015) il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”. Le Sezioni Unite hanno evidenziato, appunto, come, nella normativa tributaria nazionale, in relazione ai tributi non armonizzali, non si rinviene alcuna disposizione espressa che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, al di fuori di precise disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi, quale “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, (come modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, convertito in L. 122 del 2010), in tema di accertamento sintetico”. Nella specie, è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento sintetico relativo all’anno d’imposta 2008, in relazione al quale non opera la modifica normativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010. Invero, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l’art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (cfr. Cass. n. 21041/2014; Cass. n. 22746/2015);

che il quarto motivo è fondato. La stessa sentenza impugnata, dopo avere affermato nella parte motiva che alle sanzioni di cui all’atto di accertamento impugnato doveva essere applicato il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, secondo cui, quando violazione della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo, non ha poi tratto le conseguenze relative rideterminando le sanzioni stesse, per cui la sentenza deve essere cassata sul punto con rinvio al fine di tale rideterminazione;

che il quinto ed il sesto motivo vanno trattati congiuntamente perché si riferiscono entrambi alla conseguenza dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribuente in merito agli incrementi patrimoniali contestati. I motivi sono fondati; la Commissione tributaria regionale, infatti, dopo avere valutato le prove fornite dal contribuente non è pervenuta alla dichiarazione della nullità dell’accertamento ma, solo in sede di dispositivo, ha ridotto i redditi accertati nella misura del 40% senza tuttavia fornire alcuna motivazione;

che la sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione ai motivi di ricorso accolti con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

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