Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20014 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2021, (ud. 30/04/2021, dep. 14/07/2021), n.20014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17385/2019 R.G. proposto da:

STANLEYBET MALTA LIMITED, in persona del suo legale rappresentante

pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Daniela Agnello, e con domicilio eletto in Roma, presso lo studio

dell’avv. Roberta Feliziani, in via Crescenzio n. 69;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglià n. 3438/04/18 depositata il 28/11/2018, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

30/04/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello della contribuente e pertanto confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarata la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento relativo al mancato assolvimento dell’imposta unica su concorsi pronostici, oltre a sanzioni ed interessi, per operazioni svoltesi nell’anno 2011 e contestualmente accoglieva l’appello della contribuente annullando l’atto impugnato per medesime operazioni svoltesi nell’anno 2010;

– ricorre a questa Corte STANLEYBET MALTA con atto affidato a sette motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria, poi illustrato con memoria, che propone anche ricorso incidentale affidato a un solo motivo; la ricorrente ha altresì depositato memoria con la quale illustra i motivi di ricorso, chiede trattarsi la causa in pubblica udienza e insta perché sia disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– preliminarmente, ritiene la Corte che l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza proposta dalla società ricorrente vada in ogni caso qui disattesa; in adesione all’indirizzo già espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Sez. U, n. 14437 del 5 giugno 2018), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Sez. U, n. 8093 del 23 aprile 2020). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo;

– nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è neppure nuovo nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. poi citate) e, comunque, è compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza 26 febbraio 2020 in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;

– altrettanto preliminarmente, va parimenti disattesa l’istanza di sospensione del giudizio formulata in esordio del ricorso; il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato sia dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) sia da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corte stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito. Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere adeguata anche la decisione in sede di procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480); neppure si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (citata Corte giust., in causa C-375/17, punto 67);

– è poi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte che si riferisce alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse;

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonché degli artt. 24 e 97 Cost., per non avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento emesso in quanto sia notificato a indirizzo erroneo, sia non tradotto, nella copia notificata alla ricorrente, in lingua inglese, sia in quanto difettoso dell’indicazione del percorso logico – giuridico posto a fondamento della pretesa;

– il motivo è infondato, nella sua tricefala declinazione;

– in primo luogo, quanto all’erroneo indirizzo di consegna dell’atto, il vizio è evidentemente sanato dalla proposizione tempestiva del ricorso di fronte alla CTP e dalla articolata deduzione di motivi in fatto e diritto: come è noto questa Corte ritiene che (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17198 del 12/07/2017; Sez. 5, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018) l’invalida notifica dell’avviso di accertamento è sanata per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto;

– in secondo luogo, quanto alla mancata traduzione in lingua inglese dell’atto, risulta dalla sentenza impugnata come parte ricorrente, ancorché soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia (per quanto nulla si dica in atto in ordine alla conoscenza o meno della lingua italiana da parte dei propri amministratori, circostanza che andava quantomeno dedotta dal contribuente), abbia in concreto nei gradi del merito svolte le sue articolate e valorose difese, contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato;

– con ciò, parte ricorrente ha dimostrato di avere adeguatamente compreso le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’atto impugnato, le cui motivazioni sono state prima comprese e poi contestate di fronte ai precedenti giudici;

– questa Corte, in argomento, ha già ritenuto in fattispecie analoga il cui principio trova applicazione anche nel caso per cui è processo (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26407 del 19/10/2018; Ordinanza n. 9144 del 2/04/2021) che il vizio dell’atto impositivo emesso in lingua italiana nei confronti di soggetto appartenente alla minoranza linguistica tedesca privo dell’informazione sul diritto di sollevare eccezione di nullità per la mancata traduzione ai sensi del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 8, è in concreto sanato ove il destinatario abbia comunque promosso, in sede amministrativa o giurisdizionale, un procedimento volto alla difesa dei propri diritti;

– in terzo luogo, quanto al difetto motivazionale, il motivo è difettoso (esso si) di autosufficienza, in quanto parte ricorrente non trascrive nel proprio atto la motivazione dell’avviso di accertamento e neppure lo produce in questa sede di Legittimità, né indica il locus processuale nel quale detto provvedimento dell’Amministrazione Finanziaria è stato depositato in giudizio; in tal modo la Corte è privata della possibilità di verificare la fondatezza o meno del motivo. Infatti, questa Corte ritiene con giurisprudenza costante (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9536 del 19/04/2013; Sez. 5, Ordinanza n. 16147 del 28/06/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 28570 del 06/11/2019) che in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso. Di qui la sua inammissibilità;

– il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia, violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (erroneamente indicato come comma) per avere la CTR reso motivazione apodittica;

– il motivo è inammissibile;

– le considerazioni svolte nella sentenza gravata, peraltro censurate in quanto viziate da “carenza di approfondimento della materia e degli specifici argomenti trattati nel ricorso” (che qualificano il motivo di ricorso come censura relativa alla insufficienza motivazionale) risultano comunque costituire motivazione che si colloca al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” richiesto ai fini della resistenza della sentenza impugnata al motivo di ricorso; e ciò anche in considerazione del fatto che secondo questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che qui trova applicazione in quanto la sentenza gravata è stata depositata in data successiva all’11 settembre 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

– sotto questo profilo, quindi, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la CTR ha osservato in modo adeguato i principi indicati da questa Corte con la pronuncia impugnata;

– il terzo motivo si incentra sulla nullità della sentenza, l’error in procedendo e sulla omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR, omettendo di pronunciarsi sulla questione meramente richiamando la pronuncia in materia della Corte costituzionale, comunque erroneamente ritenuto il CTD soggetto passivo del tributo;

– il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione alla violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ravvisare il presupposto territoriale del tributo;

– il quinto motivo censura la sentenza gravata di nullità per omessa pronuncia in relazione alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione Europea di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, nonché la violazione del principio di legittimo affidamento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR disapplicato il D.Lgs. n. 540 del 1998, art. 3;

– tutti i ridetti motivi sono infondati, poiché in ogni caso le questioni, anche ad assumerne (che non è stante quanto appena illustrato riguardo il rispetto del canone di “minimo costituzionale” della motivazione impugnata) la pretermissione, non sono decisive;

– tali questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. n. 8907-8911/2021, n. 9079-9081/2021, n. 9144-9153/2021, n. 9160/2021, n. 9162/2021, n. 9168/2021, n. 9176/2021, n. 9178/2021, n. 9182/2021, n. 9184/2021, n. 9160/2021, n. 9516/2021, n. 9528-9537/2021, n. 9728-n. 9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.. Merita di essere specificamente sottolineato, peraltro, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso. La Corte costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. L’attività consiste, infatti, nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale;

– entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte (v. anche Cass. 27 luglio 2015, n. 15731), neppure attagliandosi al rapporto tra il bookmaker e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo Cass. n. 26489/2020);

– né viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva. In forza di tale articolato percorso la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e bookmaker, di poter procedere alla traslazione dell’imposta. Per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. La suddetta ragione di incostituzionalità non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;

– va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così citata Cass. n. 15731 del 2015), attività, queste, tutte svolte in Italia. Neppure è condividibile l’interpretazione propugnata della sentenza della Corte Cost. n. 27/2018, né è configurabile, alla stregua dei principi da essa affermati, una irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge. Il profilo di censura, del resto, postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge;

– quanto alle prospettate frizioni con il diritto unionale, attenzione specifica va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso ed ulteriormente approfonditi in sede di memoria; in particolare, la ricorrente ha prospettato la violazione del diritto di non discriminazione, di parità di trattamento e del principio di affidamento;

in memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;

– la linea difensiva seguita dalla ricorrente, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione; – premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 TFUE, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato.

Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07). Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83);

– orbene, la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri. Anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”. Ne’ vi è incongruenza, poi, tra i punti 17, 26 e 28 di quella sentenza. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che, “…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, si conclude col punto 24, “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”. Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), ma ciò non toglie – punto 28 – che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro;

– la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della citata sentenza in causa C-788/18); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 644), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia;

– le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi e l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;

– la ricorrente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame;

– la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che la ricorrente era stata “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni… e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;

– il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale la ricorrente ha dovuto operare;

– a parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;

– in ultimo, quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente” la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del bookmaker estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento;

– il sesto motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione della Dir. CE n. 112 del 2006, art. 401, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR disapplicato la normativa di cui al D.Lgs. n. 504 del 1998, in ragione della sua contrarietà al divieto di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’IVA, tributo armonizzato;

– anche questo motivo non ha fondamento;

– il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolata senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Non rilevano quindi i soli fatti consistenti nella proporzionalità, nell’esser riscossa a ogni fase e nella sua traslazione in capo al consumatore, evidenziati in ricorso, anche perché (come con evidente contraddizione logica e giuridica si ammette proprio in ricorso per cassazione) proprio la disciplina IVA che si cita da parte del ricorrente, Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 2, proclama esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d’affari. Effetto del tutto risolutivo e dirimente ha sul punto, il chiaro dictum del Giudice Unionale (CGUE, sent. n. 24 ottobre 2013 in causa n. C-440/2012), Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft (haftungsbeschrankt) secondo il quale “in forza della Dir. IVA, art. 401, “le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)”. La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari (v., in tal senso, la sentenza dell’8 luglio 1986, Kerrutt, 73/85, Racc. pag. 2219, punto 22)”. Secondo la ridetta pronuncia, quindi, la Dir. del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con la stessa, art. 135, paragrafo 1, lett. i), deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari; inoltre, sempre secondo tal sentenza, l’art. 1, paragrafo 2, prima frase, e la Dir. n. 112 del 2006, art. 73, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile;”

– è pure infondato il settimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, perché il giudice d’appello non ha applicato l’esimente data dalle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si si riferiscono. Ritiene la Corte che limitatamente al periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010, la stessa Corte costituzionale abbia dato adeguato conto di come la sussistenza di tale incertezza è stata espressamente riconosciuta dall’Agenzia autonoma dei monopoli di Stato. Il motivo è pertanto – in questa fattispecie – infondato in quanto la controversia è relativa ad un provvedimento impositivo emesso con riguardo a operazioni di gioco risalenti al 2011, periodo successivo alla L. d’interpretazione autentica n. 220 del 2010, la quale ha appunto sciolto ogni incertezza;

– conclusivamente, il ricorso principale è rigettato;

– il solo motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, e dalla sentenza della Corte Cost. n. 27 del 2018, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente escluso la debenza del tributo, sussistendone i presupposti di legge, in capo alla società contribuente per l’anno 2010;

– per le ragioni illustrate in sede di decisione dei motivi precedenti, il motivo in parola articolato dall’Amministrazione Finanziaria è fondato;

– sul punto, quindi, in accoglimento del ricorso incidentale e limitatamente a quanto ivi dedotto, la sentenza è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo di ricorso incidentale accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità. Sussistono i presupposti processuali rispetto al ricorso principale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

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