Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20003 del 22/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 22/09/2010), n.20003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., C.C., M.F., M.

S., M.M.C., M.M.V., nella

qualità di eredi di M.R., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo

studio dell’avvocato GULLO ALESSANDRA, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI CASARANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 444/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/03/2006 R.G.N. 3104/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 21.3.2001 gli eredi di M.R., come in epigrafe riportati, chiedevano al Giudice del Lavoro di Lecce, in contraddittorio delle parti appellate (INPS e Ministero dell’Economia e delle Finanze), il riconoscimento in loro favore dei ratei della indennità di accompagnamento spettante al de cuius, oltre accessori.

Controparte costituita eccepiva, tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva.

Il Tribunale di Lecce, quale Giudice del Lavoro, con sentenza del 7.10.2004, riteneva la legittimazione passiva dell’INPS e, sulla base delle risultanze della C.T.U. espletata, accoglieva in parte la domanda nel merito, riconoscendo il diritto degli eredi alla chiesta prestazione con decorrenza dall’1.6.2000 sino alla data del decesso (20.2.2003).

Proponevano appello gli eredi M. con ricorso del 30.11.2004 e contestavano le valutazioni espresse dal C.T.U., fatte proprie dal giudice di primo grado, con riferimento alla decorrenza; chiedevano, pertanto, la rinnovazione delle indagini peritali e l’accoglimento integrale della domanda, con il riconoscimento del diritto sin dalla domanda amministrativa (192.90).

Il Ministero resisteva, mentre l’INPS non si costituiva.

Veniva disposta nuova C.T.U., quindi, con sentenza del 21 febbraio- 2 marzo 2006, l’adita Corte d’appello di Lecce, ribadito il difetto di legittimazione passiva del Ministero – la cui relativa statuizione doveva ritenersi ormai passata in giudicato in mancanza di impugnazione- e ritenute corrette le valutazioni del nominato consulente, rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono gli eredi M., formulando due motivi, ulteriormente illustrati da memoria. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, nonchè violazione della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 e L. 21 novembre 1988, n. 508, nonchè del D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 6, dopo aver richiamato la rado e i termini di applicabilità delle normative sopra indicate, con particolare riferimento al presupposto della indennità di accompagnamento consistente nella necessità di assistenza continua per la deambulazione e per il compimento degli atti quotidiani della vita, e non anche necessariamente nella totale inabilità, sostiene, in riferimento alle malattie denunciate ed esaminate dal consulente tecnico di ufficio, l’avvenuta maturazione del requisito sanitario per la riconosciuta prestazione già alla data della domanda amministrativa (19 febbraio 1990), e censura la decisione dei giudici di merito per l’avvenuto spostamento al giugno 2000 del diritto alla prestazione.

Con il secondo motivo, denunciandosi violazione ed erronea applicazione della L. n. 18 del 1980, art. 1 e L. n. 508 del 1988 e D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 6, si insiste nel sostenere che la Corte di appello, relativamente alla data di insorgenza del diritto, si sarebbe limitata a richiamare le conclusioni del proprio CTU facendole proprie, non accertando la detta data di insorgenza rispetto alla ratio normativa.

Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è infondato.

La Corte territoriale, con valutazione in fatto priva di vizi logici e giuridici e quindi incensurabile in sede di legittimità, ha accertato, sulla base della c.t.u. alla quale si è riportato, che le malattie denunziate e già passate al vaglio della Commissione medica, non privavano la ricorrente, evidentemente anche con non poche difficoltà, della possibilità di attendere ai bisogni quotidiani della vita, ponendo, tuttavia, la maturazione del diritto alla prestazione richiesta solo all’evolversi in senso negativo del complesso delle riscontrate malattie.

In particolare il Giudice a quo, riportandosi alla relazione del C.T.U., ha precisato che questi, sulla base della documentazione sanitaria allegata, oltre che di una accurata visita personale, fornendo congrua ed esauriente motivazione in ordine al giudizio espresso, aveva riconosciuto il beneficio reclamato solo dal giugno 2000, motivando il suo giudizio in maniera specifica.

Il C.T.U., infatti, – ha chiarito la Corte territoriale – aveva accertato che il de cuius era affetto in vita da “grave broncopneumopatia cronica ostruttiva; cardiopatia sclero-degenerativa con F.A. cronica; diverticolosi della vescica, in esito di TURBPT” , concludendo – conformemente al C.T.U. di primo grado, Dott. F. – per la sussistenza del beneficio reclamato solo a decorrere dal giugno 2000.

La Corte territoriale ha, inoltre, tenuto a puntualizzare – e così mostrando di non recepire pedissequamente le conclusioni della relazione tecnica – che le valutazioni e conclusioni del predetto C.T.U., risultavano ineccepibili sul piano tecnico-scientifico, oltre che logico, peraltro concordanti con quelle del primo C.T.U., per cui esse andavano pienamente accettate.

Ha poi soggiunto, quale ulteriore motivo a sostegno del decisum, che le blande osservazioni critiche formulate dalla difesa degli appellanti appaiono alquanto generiche limitandosi, in linea di massima, a riproporre questioni già esaminate e vagliate in sede peritale, senza addurre nuovi probanti elementi obiettivi. Infondata è, poi, la censura a mezzo della quale i ricorrenti denunciano pretesi vizi dell’elaborato peritale che, condiviso dal Giudicante, si sarebbero comunicati alla sentenza impugnata.

In particolare, lamentano che il perito d’ufficio e, per lui, il Giudice d’appello non avrebbe adeguatamente valutato il quadro clinico in relazione alla tipologia di prestazione richiesta e la situazione degli ultra sessantacinquenni. Anche questo profilo di censura, tuttavia, non può essere condiviso.

Invero, “ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento è necessario che l’avente diritto abbisogni di un’assistenza continua per il compimento degli atti della vita quotidiana o che si trovi nell’assoluta impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore. Le citate norme (L. n. 18 del 1988, art. 1 e L. n. 508 del 1988, art. 1 n.d.r.), con l’uso degli aggettivi qualificativi “continua” e “permanente “, intendono precisare che l’incapacità del soggetto di deambulare e di compiere gli atti quotidiani della vita al fine di pretendere il diritto all’indennità di accompagnamento deve essere assoluta e non già transitoria o di entità non grave o tale, comunque, da tradursi in una persistente difficoltà anzichè in un’assoluta impossibilità di deambulazione o di compimento degli atti quotidiani della vita” (Cass. 30 gennaio 2006, n. 2009). Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni poichè il D.Lgs. n. 509 del 1988, art. 6 (che ha aggiunto la L. n. 118 del 1971, art. 2, comma 3), lungi dal configurare un’autonoma ipotesi di attribuzione dell’indennità, pone solo le condizioni perchè detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi” Contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, pertanto, il perito d’ufficio ha globalmente valutato il quadro clinico esaminato, giungendo alla conclusione che il gradiente dell’invalidità non sia stato raggiunto.

Il giudizio del perito d’ufficio, lungi dal costituire una sottovalutazione del quadro clinico, consiste piuttosto in una attenta disamina della patologie riscontrate e in un ponderato vaglio della loro incidenza sullo stato di salute in termini normativamente significativi.

Da quanto esposto discende che l’attuale prospettazione del ricorrente si pone nell’ambito del mero dissenso diagnostico con riflesso solo sulla data di decorrenza del diritto, in termini cioè insuscettibili di costituire motivo di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c..

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2010

 

 

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