Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20003 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 06/10/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 06/10/2016), n.20003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21966/2014 proposto da:

R.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PIERPAOLO MOTTOLA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO SCIAUDONE giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1240/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta

infondatezza ex art. 360 bis, n. 1 (Cass. Sent. n. 2236/95),

condanna aggravata alle spese e statuizioni sul C.U..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. agì per il rilascio di un fondo rustico affittato a R.S., intimando a quest’ultimo sfratto per finita locazione e convenendolo per la convalida avanti alla Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Nola.

R. si costituì eccependo

l’inammissibilità della domanda in quanto la stessa avrebbe dovuto essere proposta secondo il rito del lavoro.

La Sezione Agraria, disattesa tale eccezione e rilevato che l’opposizione non era fondata su prova scritta, convalidò lo sfratto senza disporre in ordine all’ulteriore corso del giudizio.

Avverso l’ordinanza propose appello il R., denunciando la nullità del provvedimento e contestando – nel merito – la fondatezza della domanda in relazione alla data di cessazione del rapporto.

Disposto il mutamento del rito e concessi i termini per il deposito di memorie integrative, la Corte di Appello di Napoli, Sezione Specializzata Agraria ha dichiarato la nullità dell’ordinanza

impugnata e – esaminato il merito della controversia – ha accolto la domanda del C., affermando che il contratto di affitto era cessato il (OMISSIS) e fissando per il rilascio la data del (OMISSIS).

Ricorre per cassazione il R., affidandosi a quattro motivi; resiste l’intimato a mezzo di controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente censura la sentenza deducendo:

– la violazione della L. n. 203 del 1982, art. 47 e della L. n. 29 del 1990, art. 9;

– la falsa applicazione dell’art. 657 c.p.c.;

– la “violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, del giusto processo, del diritto di difesa, del contraddittorio, della parità delle parti (art. 101 c.p.c. e artt. 3 e 111 Cost.), del principio della disponibilità e del regime delle prove (art. 115 c.p.c.)”;

– la “falsa applicazione dell’art. 439 c.p.c.”, nonchè il “vizio di ultrapetizione” e la “violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c.”.

Più specificamente, il ricorrente deduce che:

– la Corte di Appello (come in precedenza il Tribunale) ha errato nel ritenere applicabile il procedimento di convalida di cui all’art. 657 c.p.c., alle controversie di natura agraria: la giurisprudenza richiamata dalla Corte territoriale non afferma tale applicabilità, ma si limita ad escludere la competenza del Pretore – investito col procedimento di convalida – in ordine alle cause agrarie; al contrario, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che alle controversie agrarie si applica esclusivamente il rito del lavoro (e ciò anche in riferimento alla fese iniziale, senza possibilità di seguire il procedimento sommario di convalida);

– la L. n. 29 del 1990, art. 9 e, prima ancora, la L. n. 203 del 1982, art. 47, comportano l’abrogazione tacita dell’art. 657 c.p.c., peraltro confermata dalla disposizione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 11;

– la mancata applicazione del rito del lavoro esegnatamente dell’art. 415 c.p.c. – comporta un grave pregiudizio alla difesa del convenuto, soprattutto in relazione alla possibilità di esaminare la documentazione prodotta ex adverso e a quella di proporre domande riconvenzionali;

– la Corte non avrebbe potuto disporre il mutamento del rito ex art. 439 c.p.c., in quanto tale norma “prevede il mutamento del rito del lavoro solo in favore del rito ordinario e viceversa e non per quelli a cognizione sommaria”;

– attesa la nullità di tutti gli atti del processo, la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre la rimessione della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., “in dipendenza della violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio verificatisi nei confronti del R., ed al fine di garantire a quest’ultimo il diritto di ricorrere ai mezzi di tutela processuali consentiti dall’ordinamento, quali, tra l’altro, la possibilità della proposizione della domanda riconvenzionale, esperibili solo in primo grado”;

– risulta integrata anche la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto l’appellante non ha “inteso accettare il contraddittorio con la controparte” e non ha “fatto espressa ed apposita domanda ai Giudici di trattenere la causa per pronunciarsi nel merito della controversia sulla scadenza del contratto agrario”, nè contrariamente a quanto affermato dalla Corte – ha mai effettivamente affrontato le questioni di merito.

2. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui denuncia vizi fondati sulla violazione di norme processuali senza prospettare anche le ragioni per cui l’erronea applicazione delle regole processuali avrebbe comportato, per il R., una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito, alla stregua del principio secondo cui “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione” (Cass. n. 26831/2014).

Il ricorrente si è – infatti – limitato a lamentare plurimi vizi di attività senza indicare specificamente il pregiudizio che gliene sarebbe concretamente derivato in termini di effettiva possibilità di svolgere le proprie difese (segnatamente, di esaminare i documenti prodotti dalla controparte e di proporre domande riconvenzionali); nè ha spiegato perchè, a fronte del mutamento del rito disposto dalla Corte di Appello e della concessione del termine per l’integrazione degli atti (ex artt. 439 e 426 c.p.c.), non abbia utilizzato tale termine per il compimento delle attività che assume essergli state in precedenza precluse (cfr. Cass. n. 3696/2012 e Cass. n. 21242/2006).

Ogni questione relativa all’esperibilità del procedimento per convalida nelle controversie agrarie e peraltro superata dal fatto che la Corte ha dichiarato la nullità dell’ordinanza di convalida e ha deciso nel merito la domanda del C., previa applicazione del rito del lavoro.

2.1. Il ricorso è – invece – infondato in relazione alle dedotte violazioni dell’art. 354 c.p.c. (atteso che non ricorreva alcune delle ipotesi che comportano la rimessione della causa al primo giudice) e dell’art. 112 c.p.c. (atteso che la Corte ha evidentemente provveduto sulla domanda del C. e che l’esame del merito non era precluso dal fatto che il R. avesse prospettato questioni di rito).

3. Le spese di lite seguono la soccombenza.

4. Trattandosi di controversia agraria, non ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. n. 6227/2016).

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.

Dà atto che, trattandosi di ricorso esente, non sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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