Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20002 del 14/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2021, (ud. 24/05/2021, dep. 14/07/2021), n.20002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3255/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

P.V., P.D., P.R.,

S.F., tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a

margine del controricorso, dall’avv. Domenico Antonio Ferrara, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabio Viglione, in Roma,

alla via Paolucci de’ Calboli, n. 44;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 272/3/13 della Commissione tributaria

regionale della Basilicata depositata il 11 dicembre 2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 maggio 2021

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale, Dott. De Augustinis Umberto, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, rettificò, con distinti atti impositivi, il reddito d’impresa, relativo agli anni d’imposta 2003, 2004 e 2005, dichiarato dalla società contribuente Errepi s.a.s. e, per l’effetto, i redditi di partecipazione dichiarati dai soci P.V., S.F., P.R. e P.D., contestando l’utilizzo di fatture passive fittizie afferenti operazioni inesistenti emesse dalla ditta R.V.A..

2. La società ed i soci proposero distinti ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che, previa riunione, li accolse, motivando che l’Ufficio non aveva assolto all’onere probatorio, dal momento che gli avvisi di accertamento risultavano fondati solo sulle dichiarazioni rese da R.V.A. in sede di interrogatorio nell’ambito del processo penale a suo carico e che le fatture emesse erano state saldate con assegni bancari incassati per lavori effettivamente realizzati.

3. All’esito dell’appello dell’Ufficio finanziario, che replicò che R.V.A. non aveva personale dipendente e strutture atte alla realizzazione dell’opificio costruito, all’udienza del 5 giugno 2012 la Commissione tributaria regionale dichiarò interrotto il giudizio nei confronti della società, essendo stata questa cancellata dal registro delle imprese in data 9 dicembre 2010, e rinviò la causa ad altra udienza, concedendo termine all’Ufficio per il deposito di memorie.

L’Agenzia delle entrate depositò memorie con le quali chiese la cessazione della materia del contendere limitatamente agli avvisi di accertamento emessi a carico della società per gli anni 2003 e 2004 e agli avvisi di accertamento a carico dei soci S.F., P.D. e P.V. per l’anno 2005, insistendo per il resto per l’accoglimento dell’appello e la conferma degli atti impositivi.

I giudici di appello, dopo avere rilevato che il difensore della società contribuente in udienza aveva dichiarato l’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese in data 9 dicembre 2010, alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione n. 6071 del 12 marzo 2013 e n. 7327 del 12 maggio 2012, dichiararono inammissibile l’appello perché non notificato nei confronti del soggetto fiscalmente responsabile, sottolineando che l’Ufficio avrebbe dovuto preventivamente accertarsi dell’esistenza della società. Poiché l’appello era stato erroneamente notificato nei confronti della società, dichiararono l’Ente impositore decaduto da qualsiasi azione nei confronti dei soci, ancorché responsabili ai sensi dell’art. 2495 c.c..

4. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello, con tre motivi.

I soci P.V., P.D., P.R. e S.F. hanno depositato controricorso tardivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, artt. 53 e 61 nonché degli artt. 299,300,328 e 330 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

Nell’evidenziare che la società si è estinta il 9 dicembre 2010 dopo il deposito della sentenza della C.T.P. (27 maggio 2010), in pendenza del termine per appellare e prima della notifica dell’appello erariale, spedito a mezzo del servizio postale con raccomandata del 23 giugno 2011, fa rilevare che l’estinzione della società è stata dichiarata dal suo difensore soltanto all’udienza di discussione dinanzi alla C.T.R. e che, con atto di controdeduzioni datato 23 aprile 2012, si erano costituiti in appello sia la società sia i soci.

Di conseguenza, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., ai sensi degli artt. 299 e 300 c.p.c., l’avvenuta estinzione della società risulta irrilevante e la notifica dell’atto di appello effettuata alla società presso il suo procuratore costituito in primo grado, nel domicilio eletto, deve ritenersi perfettamente valida, in ossequio alla regola della ultrattività del mandato alla lite, come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15295 del 2014, applicabile anche all’evento estintivo costituito dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

2. Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2312,2313,2324,2495 c.c., nonché degli artt. 110,299 e 300 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, artt. 14 e 61 la ricorrente deduce che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori, ivi compresi i debiti tributari, facenti capo all’ente, non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente.

Nella fattispecie l’atto d’appello era stato pacificamente notificato a tutti i soci, litisconsorti necessari, e, al contempo, successori ex art. 110 c.p.c. della società estinta, che si erano anche costituiti in grado di appello, sicché risultava ultronea l’interruzione del giudizio, dichiarata d’ufficio dalla C.T.R., e si imponeva anzi la prosecuzione del giudizio d’appello anche con riguardo agli atti impositivi emessi nei confronti della società estinta, non definiti ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12.

3. Con il terzo motivo, censurando la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la ricorrente lamenta che la C.T.R. avrebbe pronunciato esclusivamente sulla controversia riguardante la società, dichiarando inammissibile l’appello, ma sugli avvisi notificati ai soci, incorrendo in tal modo nel vizio denunciato che fa obbligo al giudice di merito di pronunciarsi su tutti i capi della domanda.

4. Il primo motivo è fondato.

4.1. La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (salva l’ipotesi eccezionale di fictio iuris contemplata dall’art. 10 L. Fall.) e, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. sez. U, 12/03/2013, n. 6070).

4.2. Le Sezioni unite, chiamate a pronunciarsi sugli effetti processuali conseguenti al verificarsi di uno degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., hanno riaffermato la perdurante operatività della regola dell’ultrattività del mandato difensivo (Cass., sez. U, 4/07/2014, n. 15295).

Rivisitando la vexata quaestio ad esse sottoposta e all’esito di una complessa ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi nel corso del tempo, nei quali prevaleva l’esigenza di mediare tra la tutela della “giusta parte” (che, dopo l’evento, è un soggetto nuovo e diverso da quello che era stato fino ad allora nel processo) e il problema della conoscibilità dell’evento stesso, con quanto ne consegue in termini di protezione di chi lo abbia incolpevolmente ignorato, le Sezioni unite hanno enunciato il principio di diritto secondo cui l’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c. è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell’ipotesi in cui, nella successiva fase d’impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l’evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l’evento sia documentato dall’altra parte (come previsto dalla novella di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 300 c.p.c., comma 4.

Ne deriva che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell’art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace; b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell’ambito del processo ancora in vita e capace; c) è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1 presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell’evento.

Avendo l’arresto monofilattico in esame una portata generale, deve sicuramente escludersi che il dictum delle Sezioni unite, che trae origine proprio da un’ordinanza di rimessione che si interrogava sulla estensibilità, alle vicende successorie delle persone fisiche, dei principi affermati dalla sentenza n. 6070 del 2013 espressamente in materia societaria, debba intendersi circoscritta ai soli eventi espressamente menzionati nell’art. 299 c.p.c., con esclusione, dunque, dell’evento estintivo costituito dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

4.3. Tornando al caso di specie, come si desume dalla lettura della sentenza impugnata, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, il difensore della società contribuente costituitasi in appello ha dichiarato soltanto in udienza l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, come consentito dall’art. 300 c.p.c., e, dal momento di tale dichiarazione, il processo si è interrotto nei confronti della società.

Come rilevato dall’Agenzia delle entrate, la notifica dell’atto di appello è stata, quindi, ritualmente effettuata alla società presso il suo procuratore costituito in primo grado, in ossequio alla regola della ultrattività del mandato alla lite (con applicazione del fenomeno processuale ricostruito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 15295 del 2014 e in materia tributaria anche da Cass., sez. 5, 17/12/2014, n. 26495), poiché essa ha avuto notizia dell’intervenuta estinzione della società (risalente al 9 dicembre 2010) soltanto nel corso del giudizio di secondo grado, a nulla rilevando la conoscibilità aliunde di tale evento.

La sentenza gravata, dichiarando inammissibile l’appello dell’Agenzia delle entrate sul presupposto che l’estinzione della società era avvenuta tra il giudizio di primo grado e quello di secondo grado e che l’appello non poteva essere notificato alla società ormai cancellata dal registro delle imprese, non si è uniformata ai superiori principi.

L’accoglimento del primo motivo consente di dichiarare assorbiti i restanti motivi.

5. In conclusione, accolto il primo motivo e dichiarati assorbiti i restanti motivi, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2021

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