Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2000 del 29/01/2020

Cassazione civile sez. II, 29/01/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 29/01/2020), n.2000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23294-2015 proposto da:

T.A., rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELA PATRIZIA

GIUCA;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DELL’EDIFICIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO

MAGNANO SAN LIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELA ROSARIA

MAZZOLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1067/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

T.A. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 1067/2014 della Corte d’appello di Catania, depositata il 15 luglio 2015.

Il Condominio (OMISSIS), resiste con controricorso.

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 24 febbraio 2009, accolse la domanda avanzata il 10 ottobre 2006 dal Condominio (OMISSIS), dichiarando contrario ai limiti posti dall’art. 1127 c.c., comma 2, il manufatto realizzato sulla terrazza di copertura dell’edificio, comunicante con il sottostante appartamento di proprietà di T.A., e perciò ordinando la conseguente rimessione in pristino.

Sul gravame formulato da T.A., la Corte d’appello di Catania considerò come il manufatto realizzato sulla terrazza avesse una superficie di 42 mq e fosse costituito da un vano con bagno e ripostiglio, cui si accede tramite scala a chiocciola che si eleva tramite una foratura praticata nel solaio. I giudici di secondo grado qualificarono, quindi, la nuova opera come “sopraelevazione”; evidenziarono come le L.R. Sicilia L.R. n. 37 del 1985 e L.R. n. 4 del 2003 attenessero alla sola materia urbanistica, senza poter incidere nelle prescrizioni della legislazione antisismica; richiamarono le conclusioni della CTU in ordine alla “presunzione di instabilità”, ovvero circa il potenziale pregiudizio delle condizioni statiche dell’edificio condominiale – risalente alla fine degli anni Settanta – per il mancato svolgimento di indagini e verifiche dinamiche prima della costruzione dell’opera in sopraelevazione, onde redigere un eventuale progetto di adeguamento.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

I. Il primo motivo di ricorso di T.A. si struttura in due distinti paragrafi così rubricati: “a.1. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c., comma 2, – Violazione della L.R. n. 26 del 1986, art. 7, comma 2” e “a.2. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c., comma 2, – Violazione della L.R. n. 26 del 1986, art. 7, comma 2″ – Violazione e falsa applicazione della L. n. 457 del 1978, art. 43, che fissa i parametri minimi relativamente all’altezza degli edifici – violazione del decreto ministeriale sanità 5 luglio 1975 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”. Con la prima parte della censura si assume che fosse sufficiente alla legittimità del manufatto la dichiarazione di un tecnico attestante la mancanza di pregiudizio statico; con la seconda parte si sottolinea come il manufatto realizzato dalla condomina T. non avesse le caratteristiche necessarie per ottenere la certificazione di abitabilità.

Il secondo motivo si ricorso di T.A. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo, consistente nel documento relativo alla dichiarazione di mancanza di pregiudizio statico a firma dell’ingegnere C.R..

Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dei principi in materia di lealtà e probità processuale, essendo stata l’azione promossa dal Condominio a distanza di quindici anni dalla realizzazione della sopraelevazione, non avendo lo stesso Condominio intentato analoghe controversie per perseguire manufatti similari insistenti sulle terrazze del fabbricato, e non essendosi verificata alcuna criticità strutturale del fabbricato nel lasso di tempo intercorso dall’epoca della costruzione. Si fa richiamo a documenti nuovi prodotti dalla ricorrente, relativi ad una trattativa transattiva intercorsa fra le parti.

II. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano infondati.

La Corte d’appello di Catania ha correttamente qualificato come “sopraelevazione”, agli effetti dell’art. 1127 c.c., il manufatto dell’altezza variabile da m. 2,10 a m. 2,40 realizzato da T.A. sulla terrazza di copertura dell’edificio condominiale, vano avente una superficie di mq 42, cui si accede dall’appartamento di proprietà esclusiva T. mediante scala a chiocciola innestata nel solaio.

Ai fini dell’art. 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale è, infatti, costituita dalla realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche (Cass. Sez. 2, 24/10/1998, n. 10568; Cass. Sez. 2, 10/06/1997, n. 5164; Cass. Sez. 2, 24/01/1983, n. 680; Cass. Sez. 2, 07/09/2009, n. 19281). Nella definizione enunciata da Cass. Sez. U, 30/07/2007, n. 16794, la nozione di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. comprende, peraltro, non solo il caso della realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche quello della trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie, seppur indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato.

L’art. 1127 c.c. sottopone, poi, il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di arie e luce per i piani sottostanti. Il limite segnato dalle condizioni statiche si intende dalla giurisprudenza di questa Corte, in particolare, come espressivo di un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all’esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo il fabbricato a sopportare il peso della nuova costruzione. Ne consegue che le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un limite all’esistenza stessa del diritto di sopraelevazione, e non già l’oggetto di verificazione e di consolidamento per il futuro esercizio dello stesso, limite che si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. Sez. 2, 30/11/2012, n. 21491). E’ parimenti consolidato l’orientamento secondo il quale il divieto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell’edificio, previsto dall’art. 1127 c.c., comma 2, debba interpretarsi non nel senso che la sopraelevazione sia vietata soltanto se le strutture dell’edificio non consentano di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture siano tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica. Pertanto, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da considerarsi integrative dell’art. 1127 c.c., comma 2, e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità della sopraelevazione, che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente sull’autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico. La domanda di demolizione può essere, perciò, paralizzata unicamente da tale prova di adeguatezza della sopraelevazione e della struttura sottostante rispetto al rischio sismico; sicchè, ove detta prova non sia acquisita, il diritto di sopraelevare non può sorgere. La condizione di liceità della sopraelevazione eseguita dalla T., era, dunque, subordinata alla verifica che il fabbricato Condominio (OMISSIS) fosse stato reso conforme alle prescrizioni tecniche dettate dalla legislazione speciale (L. n. 64 del 1974, art. 14), dovendosi acquisire elementi sufficienti a dimostrare scientificamente la sicurezza antisismica della sopraelevazione e dell’edificio sottostante, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se, come nel caso in esame, congruamente motivato. Soltanto la presentazione di una progettazione antisismica dell’opera eseguita e dell’intero edificio, conseguente ad una verifica della struttura complessiva e delle fondazioni del fabbricato, permette di ottemperare alla presunzione di pericolosità derivante dall’inosservanza delle prescrizioni tecniche dettate dalla normativa speciale. La Corte d’Appello ha motivatamente spiegato le ragioni della propria adesione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, indicando come la sopraelevazione fosse stata realizzata dalla T. in assenza di preventive indagini conoscitive e verifiche tecniche circa l’incidenza sui carichi permanenti e sui sovraccarichi accidentali dell’edificio, con conseguente pregiudizio statico.

Non hanno perciò rilievo dirimente, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, nè il conseguimento della concessione edilizia relativa al corpo di fabbrica elevato sul terrazzo dell’edificio (Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10082; Cass. Sez. 2, 11/02/2008, n. 3196), nè, al contrario di quanto assume la ricorrente, la certificazione redatta da un tecnico attestante l’idoneità statica delle opere eseguite, sufficiente per il conseguimento della concessione in sanatoria di costruzioni in zone sismiche (in base al combinato disposto di cui alla L.R. Sicilia 10 agosto 1985, n. 37, art. 26 ed alla L.R. Sicilia 15 maggio 1986, n. 26, art. 7), e neppure la carenza della condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità, poste a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie nonchè degli interessi urbanistici, e dunque funzionali a verificare l’idoneità dell’immobile ad essere “abitato”, o più generalmente ad essere frequentato dalle persone fisiche. Si tratta, infatti, di atti che attengono all’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, e cioè all’aspetto formale dell’attività edificatoria, e che non sono invece di per sè risolutivi del conflitto tra i proprietari privati interessati in senso opposto alla costruzione, conflitto da dirimere pur sempre in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e i limiti posti dall’art. 1127 c.c..

Quanto in particolare al secondo motivo di ricorso, circa l’omesso esame della dichiarazione di mancanza di pregiudizio statico a firma dell’ingegnere C.R. (allegata come documento 7 al fascicolo di parte del giudizio davanti al Tribunale di Catania), l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive o gli elementi istruttori. Sono inammissibili le considerazioni svolte nei primi due motivi di ricorso che propugnano apprezzamenti di fatto difformi da quelli operati dalla Corte di Catania, e così invocano la Corte di Cassazione a scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute dalla ricorrente più idonee a dimostrare i fatti in discussione, auspicando un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la complessiva ingiustizia della sentenza impugnata. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita nel giudizio di legittimità. Il secondo motivo deduce che la legittimità della sopraelevazione sotto il profilo del pregiudizio statico risulterebbe ex se dalla dichiarazione di mancanza di pregiudizio statico a firma dell’ingegnere C.R. del 19 dicembre 2006, documento che, però, non è stato affatto trascurato dalla Corte d’appello, ed anzi è stato esaminato nella sentenza impugnata (in particolare, a pagina 14), negandosi che esso attestasse l’idoneità statica dell’intero fabbricato, giacchè limitato alla verifica del solaio su cui poggia la struttura.

II.E’ inammissibile il terzo motivo di ricorso. Esso innanzitutto deduce per la prima volta nel giudizio di cassazione una questione che ha contenuto di puro merito, attenendo alla valutazione di fatto del comportamento della parte. La censura si basa su circostanze non dedotte davanti alla Corte d’appello e infatti poggia anche su documenti di una trattativa transattiva (in particolare, la corrispondenza scambiata tra il 3 novembre 2014 e il 21 aprile 2015) prodotti senza il rispetto dei limiti di cui all’art. 372 c.p.c., in quanto volti non a dimostrare la sopraggiunta carenza d’interesse all’impugnazione, quanto la fondatezza delle doglianze della ricorrente.

Peraltro, la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., che la ricorrente ipotizza per ottenere il rigetto dell’avversa pretesa di merito, porta semmai conseguenze sotto il profilo disciplinare in capo ai difensori, oppure, ove configuri un vero e proprio abuso della “potestas agendi” (ovvero un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sè legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte), può giustificare l’irrogazione di una condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, (cfr. Cass. Sez. U, 13/09/2018, n. 22405).

Nè possono comunque, neppure in astratto, costituire ipotesi di violazione del dovere di lealtà e probità delle parti, così come disciplinato dall’art. 88 c.p.c.: 1) la proposizione, a distanza di quindici anni dalla realizzazione della sopraelevazione, dell’azione volta ad accertare il pregiudizio per le condizioni statiche dell’edificio, essendo essa imprescrittibile (Cass. Sez. 2, 05/10/2012, n. 17035; Cass. Sez. 2, 19/10/1998, n. 10334); 2) l’esistenza di altri manufatti analoghi sulle terrazze del fabbricato tollerati dal condominio, potendo anche il singolo condomino, e non soltanto l’amministratore, agire nei riguardi di colui che abbia effettuato la sopraelevazione per ottenere le conseguenziali pronunzie di riduzione dei luoghi nel pristino stato (Cass. Sez. 2, 11/11/1982, n. 5958); 3) la mancata verificazione di concrete situazioni di criticità strutturale del fabbricato nel periodo intercorso dalla costruzione in sopraelevazione, non deponendo il decorso del tempo a tranquillizzare circa l’idoneità dell’edificio a resistere alle sollecitazioni di un eventuale evento tellurico.

III. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna della ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2020

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