Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20 del 03/01/2020

Cassazione civile sez. II, 03/01/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 03/01/2020), n.20

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26244/2015 proposto da:

FIMAK SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TEPEDINO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARCO DE CRISTOFARO;

– ricorrente e controricorrente all’incidentale –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

38, presso lo studio dell’avvocato MARIO MONZINI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANTONIO BERTOLI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1229/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La FIMAK s.r.l. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 1229/2015 della Corte di Appello di Venezia con atto fondato su tre ordini di motivi e resistito con controricorso di M.G..

Quest’ultimo ha interposto ricorso incidentale fondato su tre motivi e resistito con controricorso della società ricorrente principale.

L’impugnata decisione della Corte territoriale ebbe a rigettare sia l’appello principale della stessa società odierna ricorrente che l’appello incidentale dell’odierna parte controricorrente avverso l’ordinanza ex art. 702 bis n. 1800/12 del Tribunale di Padova.

Quest’ultimo, adito con ricorso di R.I., poi deceduta nelle more del giudizio e dante causa dell’odierno controricorrente, aveva – all’esito di istruttoria sommaria – provveduto a condannare la FIMAK al rilascio in favore della ricorrente delle porzioni di terreno in atti individuate; aveva, inoltre ed in accoglimento della riconvenzionale avanzata dalla medesima società, disposto la condanna della R. al rilascio in favore della società medesima di altra individuata porzione di terreno, il tutto con declaratoria di inammissibilità del capo della domanda della R., ritenuto inammissibile, teso all’accertamento del contenuto di precedente sentenza n. 556/07 del Tribunale di Padova.

Con tale decisione, passata in giudicato e successivamente seguita da due conclusi procedimenti esecutivi, lo stesso Tribunale – a definizione di giudizio di regolamento di confini – aveva accertato e dichiarato, come da atti, l’esatta linea di confine fra le proprietà delle parti in causa.

Sia la società ricorrente che la parte controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si censura il vizio di “violazione e falsa applicazione dell’art. 702 ter c.p.c.”.

Parte ricorrente lamenta l’applicazione del rito sommario. Il motivo non può essere accolto.

Innanzitutto non risulta che sia mai stato contestato tempestivamente tale aspetto in precedenza ovvero prima del giudizio innanzi alla Corte di Appello.

Quest’ultima, peraltro, spiega puntualmente (v. pp. 8 ss. della sentenza oggetto di ricorso) le plurime ragioni di inammissibilità e di infondatezza della doglianza oggi riproposta innanzi a questa Corte.

La Fimak non aveva mai rilevato o esposto che, perle difese svolte, era necessaria una istruttoria non sommaria.

Inoltre ed ancor più a ragione deve ribadirsi il principio per cui non è l’oggetto della causa o la matura delle domande a giustificare la necessità o meno dell’adozione del rito sommario, ma la valutazione che il Giudice del merito svolge circa le caratteristiche dell’istruttoria.

Il motivo è, quindi, infondato e va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., relativamente al secondo motivo di appello.

Il motivo non è fondato giacchè la Corte distrettuale non è incorsa nel lamentato vizio di omessa pronuncia sul detto motivo di appello, nè ha pronunciato ultra petita.

Risulta, viceversa, che con la sentenza per cui è ricorso sia stato esaminato il secondo motivo di appello e la questione, con lo stesso posta circa la natura della domanda svolta all’epoca dalla R., questione risolta in modo da comportare l’inesistenza di ogni forma di ultrapetizione. Il motivo va, dunque, respinto.

3.- Il terzo motivo del ricorso è così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 295 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

Il motivo non può essere accolto.

Parte ricorrente si duole che il Giudice di appello abbia ritenuto l’inammissibilità della questione dell’intervenuto usucapione della proprietà delle porzioni immobiliari per cui è causa.

Senonchè la sollevata questione dell’intervenuta usucapione innanzitutto non poteva che ritenersi come svolta per la prima volta in appello al cospetto della ininfluente pretesa della società ricorrente che non si era al cospetto di una questione nuova poichè “la Fimak aveva sempre contestato la proprietà delle fasce di terreno controverse” e che le stesse erano occupate da “siepe di lauro e ligustro di sua proprietà”.

Inoltre risulta infondato l’ulteriore e collegato profilo di doglianza relativo alla inevasa necessità di sospendere il procedimento ex art. 702 bis c.p.c., ai sensi dell’art. 295 c.p.c., ed in dipendenza di altra giudizio avente ad oggetto domanda di usucapione.

Al riguardo deve evidenziarsi che non sussistevano le ragioni della sospensione, che non vi era una situazione di concreto conflitto di intervenuti giudicati e che la Corte distrettuale ha deciso in punto facendo buon governo dei principi di diritto già enunciati da questa Corte.

Al riguardo non possono che richiamarsi le note pronunce date con Ord. n. 17936/2018 e con sentenza n. 12999/2019.

Con la prima è stato affermato che:

“quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, sicchè, ove il giudice abbia provveduto ex art. 295 c.p.c., il relativo provvedimento è illegittimo e deve essere, dunque, annullato, ferma restando la possibilità, da parte del giudice di merito dinanzi al quale il giudizio andrà riassunto, di un nuovo e motivato provvedimento di sospensione in base al menzionato art. 337 c.p.c., comma 2 (in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato il provvedimento con cui il Tribunale aveva disposto la sospensione del giudizio nel quale era stata chiesta la restituzione di un immobile detenuto senza titolo dal convenuto in seguito alla avvenuta pronuncia di risoluzione, in altro procedimento, di un contratto preliminare perchè, contro tale pronuncia, pendeva ricorso in cassazione)”.

Con la seconda si è ribadito che:

“la sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicchè può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336 c.p.c., comma 2, sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la pregiudizialità soltanto logica tra il giudizio sull’inefficacia della cessione di “leasing” ed il riconoscimento di parte del risarcimento per il godimento del bene da restituire e l’opposizione a decreto ingiuntivo, fondato sulla pronuncia di inefficacia del contratto, concernente altra parte delle somme dovute per la mancata restituzione del bene)”.

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

4.- Con il primo motivo del ricorso incidentale si prospetta il vizio di “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è ammissibile per più ragioni.

Innanzitutto, a mente del vigente testo ed applicabile testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non vi è più la possibilità di sindacare la mera carenza motivazionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).

Quanto poi al preteso addotto fatto omesso nella motivazione esso sarebbe costituito – secondo la prospettazione della stessa parte ricorrente incidentale, dal “rigetto (rectius: inammissibilità) della domanda formulata sugli effetti del giudicato” pregresso.

Palese è, quindi, che non si tratta di omessa valutazione di un fatto o documento in senso ontologico, ma dell’essenza stessa di un capo della decisione su valutazione in diritto.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

5.- Il secondo motivo del ricorso incidentale prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e del principio del ne bis in idem in relazione al rigetto (rectius inammissibilità) dell’appello incidentale in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo (articolato in quattro righi di esposizione) rinvia alle “argomentazioni dedotte in relazione al motivo che precede”.

Il motivo deve, quindi, ritenersi del tutto inammissibile.

6.- Il terzo motivo del ricorso incidentale è relativo alla pretesa “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alla liquidazione delle spese”.

Il motivo (che consta di cinque righi di esposizione) è svolto in modo del tutto ipotetico con riguardo alle “spese dei precedenti gradi del giudizio” ed alla eventuale revisione della regolamentazione delle spese in assenza di ogni puntuale censura avverso quella che la stessa oarte ricorrente identifica come la “conseguente censurabilità della sentenza della Corte Veneta”.

Anche tale motivo è, pertanto, del tutto inammissibile.

7.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso principale va rigettato ed in ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

8.- Le spese, data la reciproca soccombenza, vanno compensate.

9.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, ex art. 13 cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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