Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19997 del 10/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/08/2017, (ud. 05/07/2017, dep.10/08/2017),  n. 19997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16148-2016 proposto da:

ITALTRAS DI TOZZI & PASTA S.N.C. (C.F. (OMISSIS) e P.I.

(OMISSIS)) in persona del legale rappresentante pro tempore, ed in

qualità di soci C.M.E., P.C.,

P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23, presso

lo studio dell’avvocato GRAZIANO DE GIOVANNI, rappresentati e difesi

dall’avvocato AUGUSTO COLATEI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona dei Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 6989/6/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 22/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Italtras di Tozzi & Pasta snc, nonchè C.M.E., P.E. e P.C., in qualità di soci della ITALTRAS DI TOZZI & PASTA S.N.C. propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che si costituisce al solo di partecipare all’udienza di discussione), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 6989/6/2015, depositata in data 22/12/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento, emesso a seguito di rideterminazione dei ricavi per IVA ed IRAP dovute dalla società il periodo d’imposta 2005 sulla base dell’applicazione degli studi di settore della L. n. 427 del 1993, ex art. 62 bis, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso dei contribuenti, ed è stata dichiarata infondata l’eccezione preliminare di inammisibilità dell’appello, proposta dall’Agenzia.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; i ricorrenti hanno depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I contribuenti lamentano, con il primo motivo di ricorso, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per motivazione apparente e/o illogica ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, poichè i giudici del gravame, partendo dal presupposto che la società ricorrente svolgesse l’attività di trasporto di rifiuti, hanno ritenuto corretta l’applicazione di un codice attività (avente ad oggetto il “recupero e preparazione per il riciclaggio di cascami e rottami metallici”), giustificando tale conclusione in considerazione della “peculiarità della normativa che disciplina tale attività economica”.

2. La prima censura è infondata.

Questa Corte, a Sezioni Unite, ha di recente chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione)”.

Nella fattispecie de qua, invero, la C.T.R. ha espresso, sia pur succintamente, le ragioni giuridiche poste a fondamento delta propria decisione, non potendo conseguentemente prospettarsi sotto tale profilo, alcun vizio comportante a nullità della pronuncia medesima che non può sussistere in relazione alla statuizione su alcuni dei motivi di impugnazione. I ricorrenti invocano peraltro l’apparente motivazione solo con riguardo al profilo della non corretta applicazione dello studio di settore in relazione all’attività svolta dall’impresa di “trasporto di rifiuti”.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) nonchè al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo i giudici della CTR ritenuto che le risultanze derivanti dall’applicazione dello studio di settore costituiscono, esse stesse, prova a sè stante della omesse dichiarazione dei ricavi senza bisogno di ulteriore integrazione. Con terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto storico rappresentato dalla effettiva attività svolte dalla contribuente, rilevante ai fini dell’applicazione, da parte dell’Ufficio, dello studio di settore corretto.

4. I motivi secondo e terzo, da trattare congiuntamente, in quanto connessi, sono fondati.

Va premesso che, come ribadito di recente da questa Corte (Cass. 9484/2017; Cass. 11633/2013; Cass. 27822/2013), “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area de; soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelta e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

Ora, la C.T.R. espressamente afferma nella sua pronuncia che “lo scostamento tra il reddito d’impresa dichiarato dal contribuente e quanto accertato in applicazione degli studi di settore, deve assumere il connotato della grave incongruenza”, aggiungendo che “l’amministrazione è tenuta alla verifica in contraddittorio della situazione economica del contribuente, al fine di accertare la compatibilità tra l’effettiva capacità reddituale del contribuente e gli elementi desumibili dagli studi”. I giudici d’appello concludono rilevando che, nella ipotesi de qua, dalla corretta applicazione de parte dell’Ufficio del contraddittorio, era emerso che “i rappresentanti della società ITALTRAS non hanno prodotto elementi idonei e confutare i dati emersi con l’applicazione dello studio di settore”.

La C.T.R. poi afferma la correttezza dello studio di settore applicato: svolgendo la società attività di “trasporto di rifiuti”.

I ricorrenti lamentano di avere “nel corso del giudizio” evidenziato l’errore compiuto nell’indicazione in dichiarazione, ai fini dell’applicazione degli studi di settore, di un codice di attività relativo a “recupero e preparazione per il riciclaggio di cascami e rottami metallici”), non corrispondente a quella effettivamente svolta (trasporto di rifiuti), codice corretto dalla società contribuente solo partire dalla dichiarazione anno 2007, presentata nel 2008, me deducono di avere, altresì, esposto ciò all’Amministrazione finanziaria ín sede di contraddittorio.

La C.T.R., da un lato, non chiarisce se l’Ufficio avesse nella motivazione dell’accertamento dato conto delle ragioni per le qual; non aderiva alle richieste della contribuente sullo studio di settore applicabile in relazione all’effettiva attività svolta e, dall’altro lato” non risulta neppure avere esaminato il fatto storico rappresentato dalla prospettata applicazione di un codice errato, non rispondente all’attività realmente svolta dalla società.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, respinto il primo, va cessata la sentenze impugnata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo dei ricorso, respinto primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. del Lazo in diversa composizione, cui demanda di provvedere nche sule spese del presente giudizio di legittimità.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2017

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