Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19997 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 06/10/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 06/10/2016), n.19997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24711/2013 proposto da:

N.I., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI VALERI N 1, presso lo studio dell’avvocato CARMINE PELLEGRINO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GAIA

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA S.P.A. a mezzo della propria e rappresentante

GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A. in persona dei legali

rappresentanti P.V. e D.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. D’AREZZO 32, presso lo studio

dell’avvocato MATTEO MUNGARI, rappresentata e difesa dall’avvocato

VINCENZO SALI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 202/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 26/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato ALBERTO CAVALIERE per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2003 N.I. convenne dinanzi al Tribunale di Oristano, sezione di Macomer, la società Assitalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale dapprima in INA Assitalia s.p.a., e quindi in Generali Italia s.p.a.; d’ora innanzi, per brevità “l’Assitalia”), chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo che assumeva dovutole in forza di polizza infortuni, deducendo di avere patito l’accorciamento di un arto inferiore in seguito ad un intervento chirurgico.

2. Il Tribunale di Oristano, sezione di Macomer, con sentenza 12.1.2011 n. 2 rigettò la domanda, ritenendo che il grado di invalidità permanente residuato all’infortunio (stimato dal Tribunale nella misura del 6%) fosse inferiore al minimo indennizzabile ai sensi di polizza (fissato nella misura del 33%).

3. La sentenza venne appellata dalla soccombente.

La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza 26.3.2013, rigettò il gravame, ritenendo corrette le valutazioni del primo giudice ed infondate le censure mosse dall’appellante alla consulenza tecnica d’ufficio eseguita in primo grado.

4. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione da N.I., con ricorso fondato su tre motivi.

Ha resistito con controricorso l’Assitalia, per il tramite della propria mandataria Generali Business Solutions soc. coop. p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Col proprio controricorso la società GBS (nella qualità di mandataria della società Generali, olim Assitalia) fa rilevare che il ricorso per cassazione è stato notificato ad essa GBS, e non alla controparte contrattuale della ricorrente (Generali, quale successore di Assitalia).

La società controricorrente non trae tuttavia alcuna conclusione espressa da questo rilievo.

1.2. Ove con l’annotazione di cui sopra la società GBS abbia inteso far valere una causa di inammissibilità del ricorso, essa è infondata.

Il ricorso è stato infatti notificato alla GBS nella sua “qualità di mandataria” dell’Assitalia. E poichè, per quanto risulta dagli atti, alla GBS è stato conferito un mandato generale ad negotia, essa era legittimata a ricevere in tale sua qualità gli atti sostanziali e processuali in nome e per conto della mandante Assitalia.

2.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 2909 e 2934 c.c.; artt. 167 e 416 c.p.c..

Deduce che la Assitalia, nel giudizio di primo grado, si era limitata ad eccepire la prescrizione del diritto dell’assicurata all’indennizzo, ma non aveva formulato contestazioni di merito.

Pertanto, una volta rigettata – con statuizione ormai passata in giudicato l’eccezione di prescrizione, il giudice di merito avrebbe dovuto condannare l’assicuratore al pagamento dell’indennizzo, in mancanza di serie contestazioni sulla validità, efficacia ed operatività del contratto.

2.2. Il motivo è infondato.

Il rigetto, con sentenza non definitiva passata in giudicato, dell’eccezione di prescrizione lasciò impregiudicato il problema dell’esistenza del credito e del suo ammontare, noto essendo che l’accertamento della prescrizione avviene si vera sunt exposita, ovvero a prescindere da qualsiasi indagine circa a effettiva sussistenza del diritto (ex multis, in tal senso, Sez. L, Sentenza n. 13815 del 18/10/2000, Rv. 541033; Sez. L, Sentenza n. 10333 del 02/12/1994, Rv. 488986).

Escluso, dunque, che il giudicato sulla prescrizione potesse estendere la propria efficacia oggettiva al diverso problema della esistenza e del contenuto del diritto all’indennizzo preteso dall’assicurata, resta da esaminare se effettivamente la GBS non abbia contestato l’esistenza di tale diritto: ma ciò deve escludersi. La GBS, infatti, costituendosi negò l’esistenza del diritto dell’assicurata all’indennizzo: formulò, quindi, una c.d. “mera difesa”, ovvero una pura negazione della pretesa attorea, la quale non richiedeva alcuna ulteriore precisazione.

3.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.; art. 41 c.p.; art. 112 c.p.c..

Nell’illustrazione del motivo si formula una censura così riassumibile:

-) la Corte d’appello ha ritenuto non dovuto alcun indennizzo, sul presupposto che l’obesità da cui l’attrice era affetta già prima dell’intervento chirurgico cui si sottopose nel (OMISSIS), fu la causa dei postumi a quell’intervento residuati;

-) tale statuizione è tuttavia erronea in quanto:

-) la Assitalia non sollevò mai alcuna eccezione in tal senso;

-) l’accorciamento dell’arto (ovvero l'”infortunio” a termini di polizza) era stato causato dall’intervento chirurgico, non dall’obesità;

-) nessuna prova l’assicuratore aveva mai fornito circa la preesistenza (AL della dismetria degli arti inferiori all’intervento chirurgico del (OMISSIS).

3.2. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, prescinde del tutto dalla effettiva ratio decidendi posta a fondamento della sentenza d’appello.

La Corte d’appello non ha mai affermato quel che la ricorrente pretende di farle dire: ovvero che l’accorciamento di uno degli arti inferiori fosse preesistente all’intervento, o comunque non sia stato causato da quest’ultimo.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda a causa dell’esistenza d’una franchigia contrattualmente pattuita, così argomentando:

(-) il contratto di assicurazione prevedeva l’indennizzabilità dei soli postumi permanenti eccedenti il 33% della complessiva validità dell’individuo;

(-) nel caso di specie i postumi permanenti stimati dal c.t.u. erano pari ad una invalidità del 6%;

(-) tale stima del consulente tecnico doveva ritenersi corretta, avuto riguardo alle pregresse condizioni di salute dell’assicurata.

Queste ultime, pertanto, sono state richiamate dalla Corte d’appello, nella logica della motivazione, non quali cause dell’infortunio, ma quali “preesistenze” in senso medico legale, delle quali tenere conto nella stima dell’invalidità permanente e che giustificavano nel caso di specie la determinazione di quest’ultima nella misura del 6%.

Ne consegue che la Corte d’appello non ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: infatti, una volta negato dall’Assitalia il diritto dell’assicurata all’indennizzo, il giudice poteva e doveva anche d’ufficio accertare i fatti costitutivi della pretesa, ivi compreso il grado di invalidità permanente residuato all’infortunio.

Nè è ovviamente sindacabile in questa sede il giudizio col quale la Corte d’appello ha accertato la natura e l’entità dei postumi permanenti, e stimato il grado di invalidità residuato all’infortunio, trattandosi di un tipico accertamento di fatto.

4.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 1341, 1342, 1366 e 1370 c.c.; artt. 112, 167 e 414 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce, al riguardo, che la clausola contrattuale la quale prevedeva la indennizzabilità nel solo caso di invalidità superiori al 33% era vessatoria e quindi nulla per difetto di doppia sottoscrizione, in ogni caso essa si sarebbe dovuta interpretare in senso sfavorevole al predisponente, ai sensi dell’art. 1370 c.c..

4.2. Il motivo è infondato.

In primo luogo, va sgombrato il campo di qualsiasi questione relativa al canone interpretativo dell’interpretatio contra proferentem di cui all’art. 1370 c.c.. Tale criterio interpretativo, infatti, soccorre dinanzi a clausole dal testo o dal senso ambiguo, mentre nel nostro caso il contratto è cristallino là dove sancisce la non indennizzabilità degli infortuni che abbiano causato postumi permanenti inferiori al 33%.

In secondo luogo, nel contratto di assicurazione non possono mai dirsi vessatorie le clausole che delimitano il rischio. Esse, infatti, concernendo la “quantità di sicurezza” che l’assicurato acquista dall’assicuratore, pertengono all’oggetto del contratto, la cui delimitazione è lasciata dalla legge alla libera contrattazione delle parti, e non può mai dar luogo ad un giudizio di vessatorietà.

5. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

-) condanna N.I. alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di N.I. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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