Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19994 del 23/09/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 19994 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 2213-2009 proposto da:
POSTE ,ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014

contro

2494

t

PULCINELLI

NICOLETTA

C.F.

PLCNLT69E63C745H,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIBIA 58,
presso

lo

studio dell’avvocato

DOMENICO FERRI,

Data pubblicazione: 23/09/2014

rappresentatici.. e difesa, dall’avvocato VANIA MOLINI,
giusta delega in atti;
– controri corrente –

,

avverso la sentenza n. 846/2007 della CORTE D’APPELLO
,

di PERUGIA, depositata il 18/01/2008 r.g.n. 15/2007;

udienza del 10/07/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per:
in via principale inammissiilità, in subordine
rigetto.

s
,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
Pubblica udienza del 10 luglio 2014
n. 29 del ruolo – R.G. n. 2213/2009
Presidente Lamorgese – Relatore Amendola

FATTO E DIRITTO
ha confermato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro
subordinato stipulato tra Poste Italiane Spa e Nicoletta Pulcinelli per il
periodo 5 ottobre 1998 – 31 gennaio 1999, ai sensi dell’art. 8 del CCNL del
1994 integrato dall’accordo del 25 settembre 1997 e successivi, con
accertamento della sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dalla
stipulazione di detto contratto e, in parziale riforma della pronuncia di primo
grado, ha condannato la società al risarcimento del danno ragguagliato alle
retribuzioni di fatto che sarebbero spettate alla Pulcinelli a far tempo dal 9
settembre 2005 sino alla riammissione in servizio, oltre accessori.
2.— Il ricorso di Poste Italiane Spa ha domandato la cassazione della
sentenza per quattro motivi, conclusi da quesiti, illustrati da memoria. Ha
resistito l’intimata con controricorso.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
3.— I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così
sintetizzati:
3.1.- difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., circa
l’idoneità o meno del comportamento della Rulcinelli tenuto nel lungo lasso
temporale trascorso tra la cessazione del rapporto e l’impugnazione del
termine a far ritenere consensualmente risolto il rapporto ai sensi dell’art.
1372, comma 1, c.c. (primo motivo);
3.2.- violazione degli artt. 1362, 1363 c.c. e seguenti nonché carenza di
motivazione, in ragione dell’interpret2zione dell’art. 8 del CCNL 26.11.94 e
dell’accordo integrativo 25.9.97 accolta dal giudice di merito. In particolare,
il giudice di merito avrebbe ignorato che gli accordi successivi a quello del
25.9.97 (fino a quello del 18.01.01) avevano valenza ricognitiva delle

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1.— La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 18 gennaio 2008,

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
condizioni legittimanti il ricorso al contratto a termine, senza circoscrivere il
ricorso a tale strumento solo ad un certo periodo temporale (secondo
motivo);
3.3.- violazione degli artt. 1206 e 1217 c.c. nonché omessa ed
alla Rulcinelli dalla dichiarazione di messa in mora giunta alla datrice di
lavoro in epoca successiva alla notifica del ricorso (terzo motivo);
3.4.- omessa motivazione circa l’eccezione di aliunde perceptum
opinando che il giudice del merito avrebbe dovuto ammettere l’esibizione del
libretto di lavoro e delle buste paga al fine di consentire una corretta
determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti dalla lavoratrice per
attività svolte nell’interesse di terzi (quarto motivo);
3.5.- Poste Italiane, poi, nelle note ex art. 378 c.p.c.. ha invocato,
subordinatamente all’accoglimento del ricorso, l’applicazione dello ius
superveniens rappresentato dall’art. 32 della legge 4.11.10 n. 183.
4.- Il ricorso non può essere accolto.
4.1.- Quanto al primo motivo, la giurisprudenza della Corte di
cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti;
da ultimo, Cass. n. 14690 del 2014) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato
ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata
— sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché, alla stregua delle modalità di tale conclusione,
del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative
— una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato
e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non

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insufficiente motivazione in relazione al risarcimento del danno riconosciuto

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Sezione lavoro

sussistono vizi logici o errori di diritto”.
La Corte d’appello ha rilevato che “non vi è stato alcun comportamento
del lavoratore che possa far presumere una sua acquiescenza alla
risoluzione del rapporto … e certamente il lasso di tempo intercorso tra la
modo interpretarsi come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo
consenso”.
Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali
non censurabili in sede di legittimità, non essendo stato evidenziato con il
ricorso per cassazione il fatto decisivo che sarebbe stato trascurato dalla
Corte territoriale e che avrebbe con giudizio di certezza, e non di mera
probabilità, condotto ad un esito diverso.
4.2.- Quanto al secondo motivo la società censura la sentenza
impugnata (sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione)
nella parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de
quo in quanto stipulato (“…per esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza
ultima fissata dagli accordi attuativi dell’accordo nazionale del 25 settembre
1997 ed all’uopo sostiene l’insussistenza di tale scadenza e la natura
meramente ricognitiva di detti accordi.
Per consolidato orientamento di questa Corte la doglianza è infondata
(da ultimo v. Cass. n. 13865 del 2014).
Sulla scia di Cass. S.U. n. 4588 del 2006 è stato precisato che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità
del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di

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cessazione di detto rapporto ed il tentativo di conciliazione non può in alcun

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze
aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in
concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a
termine” (v. fra le altre Cass. 8-7-2009 n. 15981, Cass. 4-8-2008 n. 21063,
n. 14011).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine
(v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass.
14-2-2004 n. 2866), per cui, come ripetutamente affermato da questa Corte,
deve ritenersi che “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali,
con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto
in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla
data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art.
1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n.
20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della
volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita
all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza
dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già
perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare
autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria

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v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97
(scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è
comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei
lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti
autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in
precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori
del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel
complesso legislativo-collettivo costituito dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56
e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla legge n.
230 del 1962.
Nella specie il contratto è stato stipulato per il periodo 5 ottobre 1998 31 gennaio 1999, per cui il secondo motivo deve essere rigettato.
4.3.— Con il terzo motivo Poste Italiane Spa, formulando quesito ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c. pro tempore vigente, interroga la Corte sul “se,
attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in applicazione del
principio generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni, sia da
ritenersi valida e tempestiva la dichiarazione di messa in mora giunta alla
datrice in data successiva alla notifica del ricorso”.
Con il quarto motivo, poi, la ricorrente, denunciando promiscuamente
violazioni di legge e vizi di motivazione, formula il seguente quesito di diritto:
“dica la Suprema Corte se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad
acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a
supporto delle proprie domande ed eccezioni – e segnatamente per la prova
dell’aliunde perceptum – il giudice debb valutare le richieste probatorie con
minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse
possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza

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avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
processuale”.
Come noto, la funzione propria del quesito di diritto è di far
comprendere alla Corte di legittimità, dall’immediata lettura di esso, l’errore
di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo
2009). Per tale ragione esso deve compendiare (ex multis: Cass. SS.UU. n.
2658 del 2008; Cass. n. 19769 del 2008; n. 7197 del 2009; n. 22704 del
2010): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al
giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata
dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si
sarebbe dovuto applicare al caso di specie (in termini, da ultimo, Cass. n.
12248 del 2013). La carenza anche di uno solo di tali elementi comporta
l’inammissibilità del ricorso (Cass. n. 24339 del 2008).
Dal punto di vista della formulazione il quesito deve essere strutturato
in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così
da consentire al giudice di legittimità di enunciare una

regula iuris

suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello
deciso dalla sentenza impugnata (Cass. n. 1416 del 2014). Esso poi non può
essere desunto dal contenuto del motivo (Cass. n. 20409 del 2008).
Una volta che sia correttamente formulato comunque occorrerà
verificare che il quesito sia congruo e pertinente in relazione al caso di
specie, altrimenti difettando di decisività (Cass. SS.UU. n. 28536 e n. 27347
del 2008), risultando inammissibile un motivo di ricorso sorretto da quesito
del tutto inidoneo ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo
(Cass. n. 7197 del 2009; n. 19792 del 2011; n. 27901 del 2011).
Orbene gli esposti quesiti appaiono del tutto generici e non pertinenti
rispetto alla fattispecie concreta, in quanto si traducono in enunciazioni
astratte, senza contenere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto
sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di
diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso

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la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. n. 8463 del

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del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare al caso di specie.
L’esposizione del terzo motivo è poi carente dal punto di vista
dell’autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la messa in
mora, senza che si riporti il contenuto dell’atto.
specifico viene indicato dalla ricorrente nel motivo sia sul come e sul quando
sia stata proposta l’eccezione, riportando il contenuto degli atti processuali
che la contenevano, sia in punto di allegazione e prova dedotta e richiesta
nel giudizio di merito, se non un generico riferimento ad una istanza di
esibizione dal contenuto esplorativo.
Pertanto entrambi i motivi in esame devono essere dichiarati
inammissibili.
4.4.— Dall’inammissibilità dei motivi di ricorso che riguardano le
conseguenze economiche della declaratoria della nullità del termine apposto
al contratto di lavoro subordinato deriva che nel presente giudizio non può
operare lo ius superveniens rappresentato dall’art. 32, commi 5, 6 e 7 della 1.
n. 183 del 2010.
Ormai consolidato l’indirizzo che le citate disposizioni siano applicabili
a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (sul punto v. ab imo
Cass. n. 2112 del 2011: conformi: Cass. n. 1409 del 2012, n. 1411 del 2012,
n. 3305 del 2012), ma a determinate condizioni.
In via generale costituisce condizione necessaria per applicare nel
giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di
censura nel ricorso, atteso che i principi generali dell’ordinamento in materia
di processo per cassazione richiedono che il motivo di impugnazione, con cui
è investito, anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina
sopravvenuta, sia ammissibile secondò il regime suo proprio (v. ex aliis Cass.
n. 16266 del 2011, n. 10547 del 2006, n. 4070 del 2004).

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Parimenti per quanto concerne l’aliunde perceptum, alcunché di

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Con particolare riguardo alla sopravvenienza della 1. n. 183 del 2010 i
giudici di legittimità hanno già avuto modo di statuire, per ammetterne
l’applicabilità, che i motivi del ricorso devono investire specificamente le

conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine (Cass. n. 16266
propria individualità rispetto alla questione concernente la natura a tempo
indeterminato del rapporto dedotto in giudizio, potendo riguardare l’offerta o
meno delle prestazioni da parte del lavoratore, la manifestazione o meno di
una espressa disponibilità a rientrare al lavoro, la sussistenza di fatti idonei
a limitare la responsabilità risarcitoria del datore (Cass. n. 65 del 2011).
Specificamente è stato affermato che i motivi concernenti la decorrenza
della mora accipiendi del datore di lavoro si ripercuotono direttamente sulle
conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine per cui la 1. n.
183 del 2010 va applicata anche nel giudizio di cassazione (Cass. n. 3305 del
2012).
In tale contesto è tuttavia necessario che il motivo di ricorso che

investe, anche indirettamente, la disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, deve essere altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria
(v., per tutte, Cass. n. 80 del 2011).
Ammissibilità che nella specie, per quanto sopra esposto, non sussiste.
5.— Il criterio della soccombenza governa le spese del presente giudizio
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità liquidate in curo 3.500,00 per compensi
professionali, curo 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 luglio 2014
Il Presidente

Il Cons gliere estensore

del 2011 e n. 14996 del 2012) e che le statuizioni risarcitorie hanno una

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