Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19994 del 21/09/2010

Cassazione civile sez. I, 21/09/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 21/09/2010), n.19994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 21 aprile

2007, nella causa iscritta al n. 1665/2006 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5

maggio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata al difensore del ricorrente:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. C.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso i decreto della Corte di appello di Napoli in data 21 aprile 2007 in materia di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2;

1.1. la Presidenza del Consiglio dei Ministri intimata non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

3. il secondo, terzo e quarto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4. il quinto motivo appare manifestamente infondato, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (compresa l’entità degli interessi in gioco Cass. S.U., 2004/1339), le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU, dai quali si è discostato in misura modesta e ragionevole in considerazione della natura del diritto fatto valere e del comportamento processuale parte che non ha presentato istanza di prelievo;

5. appare invece manifestamente fondata la censura in ordine all’erronea applicazione della tariffa relativa alla volontaria giurisdizione, anzichè di quella attinente al contenzioso (Cass. 2008/25352), mentre possono ritenersi manifestamente infondate le ulteriori censure relative alla liquidazione delle spese processuali, in quanto parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325; 2006/9082), nè ha dimostrato specificamente l’attribuzione di importi inferiori ai minimi inderogabili (Cass. 2007/5318), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza delle tariffe professionali vigenti, nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciale in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle.

6. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”; B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione, con la precisazione che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397); ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo, vanno respinti i motivi da due a cinque e accolti nei termini di cui in motivazione i motivi da sei a dodici e che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alla censura accolta;

B1) ritenuto che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione in favore del procuratore del ricorrente medesimo, dichiaratosi antistatario;

ritenuto altresì che le spese del giudizio di cassazione – da liquidarsi come in dispositivo con compensazione nella misura dei due terzi, atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso e limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito – vanno poste a carico della Presidenza soccombente, con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo. Respinge i motivi da due a cinque e accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da sei a dodici. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, compensate per due terzi, che si liquidano per l’intero in euro in Euro 330,00, di cui Euro 230.00 per onorari, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore dei difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2010

 

 

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