Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19992 del 24/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/07/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 24/07/2019), n.19992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 533/2013 R.G. proposto da:

F.R., C.F. (OMISSIS), rapp.ta e difesa, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Natale Clemente del Foro

di Bari e Giuseppe Raguso del Foro di Roma, elett. dom.ta presso lo

studio del secondo in Roma, via Muzio Clementi n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, rapp.ta e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale per legge è dom.ta in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– contro ricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, Sez.27 N. 89/27/2012 depositata il 14 maggio 2012, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2019

dal Consigliere Dott. Nocella Luigi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.

Rosaria F., esercente in Vieste commercio al dettaglio di materiali per l’edilizia, impugnava innanzi alla CTP di Foggia l’avviso di accertamento N. (OMISSIS), notificatole dall’Agenzia delle Entrate di Manfredonia, all’esito di contraddittorio in fase di adesione, con il quale questa, sulla scorta dell’applicazione dello studio di settore, aveva accertato per l’esercizio 2003, maggiori ricavi per Euro 75.628,00, determinando un maggior reddito IRPEF ed imponibili IRAP ed IVA, richiedendo le corrispondenti maggiori imposte ed irrogando le connesse sanzioni.

L’adita Commissione, nel costituito contraddittorio con l’Agenzia, accogliendo parzialmente il ricorso della contribuente, riduceva i maggiori ricavi accertati da Euro 75.628,00 ad Euro 35.000,00, compensando le spese di lite.

La F. ha proposto appello avverso detta decisione, lamentando ancora mancata valutazione delle proprie difese, difetto di motivazione dell’accertamento e difetto di prova circa i maggiori ricavi. L’Agenzia si costituiva, chiedeva dichiararsi inammissibile ed infondata l’impugnazione e proponeva a sua volta appello incidentale per la conferma dell’avviso; l’adita CTR pronunciava sentenza N. 89/27/2012, con la quale respingeva entrambe le impugnazioni e compensava le spese. In particolare i Giudici d’appello, disattese le questioni pregiudiziali sollevate dall’Agenzia circa l’ammissibilità dell’appello principale, premesse ampie considerazioni di principio circa il sistema di accertamento a mezzo degli studi di settore e l’efficacia probatoria degli stessi anche alla luce delle fondamentali sentenze delle SS.UU. 18.11.2009 nn. 26635 segg., ritenevano che tanto nell’avviso quanto nella sentenza impugnata fosse stato adeguatamente evidenziato, a sostegno del risultato dell’applicazione dello studio di settore, un altro elemento indiziario, l’antieconomicità reiterata dei risultati di gestione, sintomatica soprattutto in considerazione della spettanza di una quota ad un collaboratore familiare; d’altro canto ha respinto l’appello incidentale, rilevando che l’avviso, se aveva tenuto conto della territorialità e delle dimensioni dell’impresa, non aveva assolutamente considerato l’età dell’imprenditore e del suo collaboratore, che giustificava opportunamente la riduzione dei ricavi operata dalla CTP.

La contribuente ricorre per la cassazione di detta sentenza, asseritamente non notificata, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 22.12.2012 e depositato l’8.01.2013, articolando tre motivi di censura illustrati in unico contesto.

L’Agenzia delle Entrate ha notificato controricorso in data 4.02.2013.

All’udienza camerale del 12 marzo 2019, udita la relazione del Cons. Dott. Luigi Nocella, la causa è stata decisa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La F., ripercorsa sinteticamente la vicenda processuale (pagg.1-5), denuncia, con unico motivo di ricorso, violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5 in riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56,L. n. 241 del 1990, art. 3,L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 2697 c.c. e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, nonchè omessa e carente motivazione ed omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione.

La ricorrente esordisce lamentando che la motivazione della sentenza d’appello sarebbe un “simulacro” di motivazione, sottendendo una censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; ricostruisce poi la vicenda normativa dalla quale è emersa l’attuale disciplina degli studi di settore (pagg.9-12), illustra la fondamentale rilevanza, anche negli accertamenti fondati su tali strumenti, sia dell’obbligo di motivazione (pagg.12-16) che dell’adempimento dell’onere probatorio (pagg.16-20), soprattutto in relazione al presupposto della grave incongruenza; richiama, a riassumere l’esito di tutte tali vicende, il quadro concettuale elaborato da Cass. SU 18.12.2009 nn. 26635 segg. circa la valenza presuntiva degli studi di settore.

Con riferimento al presente giudizio, quindi, lamenta che nella specie l’avviso (e sulla sua scia anche la CTR) prescinderebbe del tutto dall’esame delle scritture contabili, dall’allegazione e prova di gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli ricostruiti con lo studio di settore, senza alcuna comparazione con gli esiti delle verifiche su altre omologhe imprese del settore, così rendendosi conclamata l’insanabile nullità della motivazione e l’elusione dell’onere probatorio gravante sull’Agenzia (concetti poi reiterati a pagg. 24-26 in chiusura di ricorso). Inoltre, secondo la ricorrente, la sentenza d’appello avrebbe presupposto che l’Ufficio avesse tenuto conto, nel determinare i maggiori ricavi, dell’allegata situazione di marginalità territoriale e dimensionale dell’impresa, laddove l’Ufficio aveva, all’esito del contraddittorio, confermato il risultato dello studio di settore; avrebbe inoltre omesso di valutare tale marginalità anche alla stregua dei criteri elaborati dalla stessa Agenzia nella sua Circolare n. 31/E del 2007 e Circolare n. 38/E del 2007, pressochè tutti riscontrabili nella tipologia d’impresa gestita dalla ricorrente, così incorrendo nel difetto assoluto di motivazione determinata dagli evidenziati errori di diritto.

L’Agenzia controricorrente, premessa l’inammissibilità del ricorso in quanto sottendente una nuova valutazione nel merito della controversia, sostiene la legittimità dell’operato ricorso allo studio di settore, richiamando quell’orientamento di legittimità che consente l’impiego dello stesso anche a fronte di comportamenti contrari ai canoni dell’economia, o in contrasto con l’id quod plerumque accidit, come nel caso di esercizio antieconomico dell’impresa. Quindi evidenzia la gravità dello scostamento contestato, in considerazione sia dell’entità dello stesso che della non coerenza dell’indice di ricarico e della protratta antieconomicità dei risultati a fronte di volumi d’affari di tutto rilievo; ricorda che l’unico elemento di marginalità non considerato dall’Ufficio era stato ampiamente valutato dalla CTP con la riduzione dell’accertato e che gli altri elementi invocati sono o irrilevanti o già contemplati dallo studio di settore.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Va infatti rilevato che la F. ha inteso formulare in un unico motivo una pluralità di censure, aventi natura diversa e denuncianti violazioni riconducibili, come già esposto, a tre diverse tipologie individuate dall’art. 360 comma 1 c.p.c..

Peraltro deve darsi atto che dal tenore del ricorso non appare esattamente riconoscibile quali sarebbero le violazioni di legge denunciate, nè sotto quali profili le norme enunciate nell’intestazione del motivo sarebbero state violate; mentre le argomentazioni vengono sviluppate in modo confuso ed indistinto, sì da non consentire di distinguere quali parti tendano a sostenere la dimostrazione dell’uno o dell’altro vizio; senza considerare che, nei passaggi nei quali si denunciano i pretesi vizi, l’oggetto della censura non appare tanto la sentenza impugnata, quanto l’avviso di accertamento. In sintesi, tale essendo la struttura della complessa doglianza, dovrebbe la Corte enucleare e distinguere, dall’informe materiale di critica, gli argomenti che potrebbero comporre e sostenere ogni singolo motivo di ricorso, così di fatto sostituendosi al compito della ricorrente. Tale situazione integra una specifica ipotesi di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. Sez. II 23.10.2018 n. 26790; Cass. Sez. VI-II ord. 14.05.2018 n. 11603; a contrario, Cass. Sez. V ord. 11.04.2018 n. 8915 nonchè Cass. SU 6.05.2015 n. 9100; Cass. Sez. VI-III ord. 17.03.2017 n. 7009; Cass. Sez.VI-V ord. 22.09.2014 n. 19959).

Peraltro anche con riferimento all’unica censura, quella di omessa motivazione, che potrebbe essere enucleata nei passaggi argomentativi esposti a pagg.20-22 e reiterati a pagg.24-26, la stessa appare chiaramente infondata, laddove si consideri che la CTR si è fatta carico di evidenziare, sia pure con cenni essenziali, che l’Agenzia aveva motivato anche circa la sussistenza di elementi indiziari ulteriori rispetto agli scostamenti dallo studio di settore (in particolare l’antieconomicità della gestione per un apprezzabile arco temporale e l’estremamente basso livello di redditività residua, una volta depurata quella complessiva della quota spettante al collaboratore familiare). E’ evidente che tale motivazione, per quanto scarna, rende bene ragione del convincimento raggiunto dal Giudice dell’appello e non consente di ritenere assolutamente carente il profilo motivazionale criticato; mentre i residui profili della censura si risolvono nel riprospettare la pretesa irragionevolezza o carenza della motivazione, e quindi nell’attribuire inammissibilmente rilevanza o ad altri elementi indiziari ritenuti maggiormente significativi o alla mancata considerazione di insussistenti presupposti di legittimità del ricorso allo studio di settore.

Tuttavia deve rilevarsi che l’unico motivo di ricorso, così come articolato, è viziato altresì da inammissibilità per la più assoluta carenza di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in ragione della pretermissione totale dell’indicazione degli atti e documenti dai quali dovrebbero trarsi i riscontri delle circostanze di fatto poste a fondamento del motivo, del loro contenuto rilevante e della loro collocazione nel fascicolo d’ufficio; donde l’impossibilità per la Corte di valutare la fondatezza della censura senza la necessità di far ricorso alla consultazione di fonti esterne al ricorso medesimo e, quindi, ad elementi o atti o fonti del pregresso giudizio di merito (cfr. da ultimo Cass. Sez. V ord. 15.01.2019 n. 777; Cass. Sez. V 13.11.2018 n. 29093; Cass. Sez.VI ord. 20.11.2017 n. 27475; Cass. Sez. V 18.11.2015 n. 23575; Cass. Sez. V 15.07.2015 n. 14784).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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