Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19990 del 13/07/2021

Cassazione civile sez. III, 13/07/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 13/07/2021), n.19990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34496-2018 proposto da:

COMUNE ROMETTA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

18, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GENOVESE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’Avvocato GIUSEPPE ZANGHI’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 782/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 17/09/2018;

2303 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

del 09/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per danno temuto del 10 febbraio 1998, S.A. adì il Pretore di Rometta, esponendo che nell’ottobre del 1996 il muro perimetrale e di sostegno del cimitero del Comune di Rometta era rovinato su un fondo di sua proprietà. Chiese, pertanto, la condanna del Comune a ricostruire il muro crollato, a ripristinare lo stato dei luoghi, a prestare idonea garanzia per gli eventuali danni futuri e a risarcire il danno e, in via istruttoria, che fosse disposta c.t.u..

Il Comune di Rometta si costituì, chiedendo il rigetto della domanda.

A seguito dell’espletamento della c.t.u., il Pretore adito, con ordinanza del 7 febbraio 2000, ordinò al Comune di eseguire le opere indicate dal consulente, condannò la parte convenuta al pagamento delle spese del giudizio e non fissò alcun termine per l’introduzione del giudizio di merito.

Con atto di citazione del 13 marzo 2000, S.A. adì il Tribunale di Messina, chiedendo la conferma dell’ordinanza emessa dal Pretore; reiterò la domanda di condanna del Comune di Rometta al ripristino dello stato dei luoghi, alla ricostruzione delle opere crollate, e al risarcimento dei danni, anche per il mancato godimento del fondo.

Si costituì il Comune di Rometta, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo; nel merito, sostenne che le cause del crollo del muro fossero da addebitarsi alla stessa S., per alcuni lavori svolti nei pressi dello stesso.

Il Tribunale di Messina, espletata prova testimoniale e nuova c.t.u., con sentenza del 23 aprile 2009, dichiarò inammissibili, in quanto coperte da giudicato, le domande proposte dall’attrice e compensò tra le partì le spese di lite.

Avverso detta sentenza la S. propose appello del quale, costituendosi in secondo grado, il Comune di Rometta chiese il rigetto, riproponendo anche l’eccezione di difetto di giurisdizione.

La Corte di appello di Messina, con sentenza n. 782/2018, pubblicata il 17 settembre 2018, accolse il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò il Comune di Rometta, responsabile in misura pari al 90% dei danni arrecati al terreno di proprietà della S. e lo condannò al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni in favore della predetta, dell’importo di Euro 19.875,83, compensò le spese del primo grado e condannò l’appellato alle spese del secondo grado del giudizio.

Avverso detta sentenza il Comune di Rometta ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi.

La S. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324,279,669-octies c.p.c. (formulazione ante D.L. n. 35 del 2005), art. 1172 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, il ricorrente critica la sentenza della Corte di appello per non aver ritenuto precluso dal giudicato l’esame della domanda di risarcimento del danno proposta dalla S..

In particolare, il Comune censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che, “indipendentemente dal fatto che al provvedimento del 07/02/2000 si voglia dare valenza di ordinanza oppure di sentenza definitiva”, possa “affermarsi che l’atto di citazione del 13/3/2000 possa essere considerato non solo come introduttivo della successiva fase di merito ma anche come atto autonomo a se stante ed idoneo all’avvio di un nuovo giudizio” nonché nella parte in cui quella medesima Corte ha aggiunto che la richiesta di condanna del Comune al risarcimento dei danni non si può ritenere coperta da giudicato in quanto sulla stessa il giudice non si era pronunciato.

Assume il ricorrente, richiamando anche giurisprudenza di legittimità (Cass. 3/06/2014, n. 12416 nonché Cass. 19/08/2007, n. 14281), che il procedimento possessorio anche dopo la novella di cui alla L. n. 353 del 1990 resta caratterizzato da una duplice fase, la prima, di natura sommaria, limitata all’emanazione dei provvedimenti immediati, la seconda, a cognizione piena, avente ad oggetto il merito della pretesa possessoria, e da concludersi con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie; peraltro, nel caso in cui il giudice adito concluda il procedimento possessorio con ordinanza – provvedendo anche al relativo regolamento delle spese processuali – senza procedere alla fissazione dell’udienza di prosecuzione del giudizio di merito, il provvedimento ha natura sostanziale di sentenza.

Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto né del fatto che la S., con l’atto introduttivo del giudizio di merito, aveva chiesto la condanna del Comune convenuto al risarcimento dei danni subiti e subendi e che, già nel ricorso al Pretore di Rometta, aveva proposto domanda risarcitoria senza adoperare alcuna riserva di separata azione, il che avrebbe consentito di introdurre uno specifico giudizio senza violare il giudicato, né che la citazione innanzi al Tribunale di Messina recava espressa richiesta di conferma dell’ordinanza emanata dal Pretore.

Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito, per giustificare il superamento del giudicato, avrebbe erroneamente ritenuto l’atto del 13 marzo 2000 non come introduttivo del giudizio di merito bensì come atto introduttivo di un autonomo giudizio, ma tale decisione non sarebbe corretta, in quanto, oltre ad essere in contrasto con il tenore letterale dell’intestazione dell’atto, non terrebbe conto del fatto che la stessa S., oltre a formulare le domande già azionate con il ricorso per danno temuto, premette a tali domande la richiesta di conferma dell’ordinanza del 7 febbraio 2000.

1.1. Si osserva che le modifiche introdotte dalla L. 26 novembre 1990 n. 353, ed in particolare, la nuova formulazione dell’art. 703 c.p.c., non incidono sulla struttura del procedimento possessorio che resta caratterizzato da una duplice fase, la prima, di natura sommaria, limitata all’emanazione dei provvedimenti immediati, la seconda, a cognizione piena, avente ad oggetto il merito della pretesa possessoria, e da concludersi con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie, non rilevando in contrario il testuale rinvio all’art. 669-bis e ss. contenuto nel cit. art. 703, comma 2 che ha lo scopo di consentire l’estensione delle norme sui procedimenti cautelari a quelli possessori, esclusivamente nei limiti consentiti dalle caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi; pertanto, concesse o negate dal Pretore, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio deve proseguire innanzi allo stesso giudice all’udienza da questi all’uopo fissata, per l’esame del merito della pretesa possessoria e dell’eventuale domanda accessoria di risarcimento del danno (Cass., sez. un., 24/02/1998, n. 1984).

Questa stessa Corte ha pure avuto modo di affermare che il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell’autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall’art. 703 c.p.c., comma 4, la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti alle pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittele, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento dei danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell’ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. 30/09/2014, n. 20635).

Nella specie, il ricorso che ha introdotto il giudizio innanzi al Pretore di Rometta conteneva, altresì, domanda di risarcimento del danno, anticipando, per così dire, la richiesta di tutela che è possibile ottenere solo nella susseguente fase di merito. Orbene, a prescindere dalla circostanza che il Pretore non ha fissato l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito e ha condannato il resistente alle spese, quel medesimo Giudice nulla ha disposto in relazione al chiesto risarcimento del danno, senza travalicare, sotto tale profilo, i limiti del contenuto del provvedimento interdittale.

Pertanto, alcun giudicato si è formato sul punto e ben poteva la S. riproporre la domanda in un autonomo giudizio di merito, atteso, peraltro, che le domande risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena (arg. ex Cass. 30/09/2014, n. 20635), come pure evidenziato dalla Corte di appello.

Peraltro, l’interpretazione e qualificazione dell’atto di citazione del 13 marzo 2000, quale “atto autonomo a se stante ed idoneo all’avvio di un nuovo giudizio”, operata dalla Corte del merito, nell’esercizio del suo potere di interpretazione e qualificazione della domanda – che non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta – risulta del tutto plausibile ed è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass., ord., 21/05/2019, n. 13602), il che non ricorre nella specie.

1.2. Alla luce di quanto precede il motivo va disatteso.

2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione del D.L. n. 80 del 1998, art. 34 e 35 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, il ricorrente propone, in sostanza, due distinte censure.

La prima è volta a far valere l’omessa pronuncia del giudice dell’impugnazione sull’eccezione di difetto di giurisdizione, che si assume sollevata dal Comune di Rometta per la prima volta innanzi al Tribunale di Messina, e in quella sede rigettata, e, quindi, fatta oggetto di gravame.

La seconda, invece, attiene alla violazione del D.L. n. 80 del 1998, artt. 34 e 35 che, a detta dell’ente ricorrente, avrebbero trasferito alla giurisdizione amministrativa la competenza a conoscere degli atti e dei comportamenti della Pubblica Amministrazione in conseguenza di carenza di potere e/o di occupazione illegittima.

2.1. La censura, complessivamente considerata, è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stato riportato in quali esatti termini sia stata riproposta in appello l’eccezione di difetto di giurisdizione.

3. Con il terzo motivo è denunciata la “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2967 e 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tre le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe deciso la causa sulla base di una prova testimoniale inattendibile e di una c.t.u. priva di rilevanza e specificità scientifica, in quanto rinvierebbe alla c.t.u. espletata in sede cautelare e ne recepirebbe acriticamente il contenuto.

Il ricorrente deduce, altresì, che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto delle specifiche censure sollevate dal suo C.T.P. alla c.t.u., e, anzi, avrebbe, in assenza di puntuale motivazione, disatteso la ripartizione delle concause del crollo del muro, che il C.T.U. aveva attribuito per l’80% al Comune di Rometta, per il 10% ad eventi piovosi di portata eccezionale e per il residuo 10% a caratteristiche proprie del terreno in questione, avendo, invece, la Corte di appello posto la responsabilità per il 90% a carico del comune e per il 10% residuo a carico degli eventi piovosi eccezionali, trascurando la componente dovuta alla natura franosa del terreno.

Inoltre, il Comune di Rometta censura la quantificazione dei danni operata dalla Corte di merito e sostiene che quest’ultima avrebbe maggiorato di IVA le somme determinate dal consulente d’ufficio, senza tener conto che non vi fosse prova dell’esecuzione dei lavori di ripristino e del reintegro di piante da frutto e che non vi fossero fatture emesse da persona o impresa soggetta a IVA, sicché l’operata maggiorazione sarebbe ingiusta.

3.1. La censura è in parte inammissibile, in parte infondata.

E’ inammissibile nella parte in cui viene contestata la valutazione di attendibilità dei testimoni svolta dal giudice del merito: la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova (v., ex multis, Cass., ord., 8/08/2019, n. 21187).

Nel resto il motivo è comunque inammissibile sia perché difetta, almeno in parte, di specificità, non essendo stata riportata la prova testimoniale che si assume assunta in data 4 marzo 2004, (v. ricorso p. 10), né essendo state sufficientemente riportate le argomentazioni del C.T.U, sicché non è possibile ricostruire in modo sufficiente il ragionamento svolto dall’ausiliare del giudice e, quindi, comprendere l’effettiva incidenza delle questioni sollevate dal ricorrente, né precisandosi quando, in quali atti nel corso del giudizio di merito le questioni ora proposte siano state sollevate nel corso del giudizio di merito, non essendo sufficiente il generico riferimento a “successivi scritti difensivi di entrambi i gradi del giudizio” (v. ricorso p.11-12), sia perché, tende, complessivamente, ad una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.

Quanto, infine, alle doglianze relative alla considerazione, nella liquidazione dei danni, anche dell’IVA, la doglianza risulta infondata alla luce dei principi già affermati da questa Corte in tema di risarcimento dei danni con la sentenza Cass. 27/01/2010, n. 1688.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Vanno pure liquidate, come da dispositivo, in favore della controricorrente, le spese relative al procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata ex art. 373 c.p.c., conclusosi con ordinanza di rigetto della relativa istanza proposta dal Comune di Rometta.

Si precisa che la controricorrente nulla ha chiesto a titolo di esborsi.

6. Va disposta la chiesta distrazione, in favore del procuratore anticipatario di S.A., avv. Giuseppe Zanghi, delle spese di cui al p. 5.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, e agli accessori di legge; liquida, in favore della controricorrente, le spese del procedimento ex art. 373 c.p.c., in Euro 3.500,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, e agli accessori di legge; dispone l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità e del procedimento ex art. 373 c.p.c. in favore del procuratore di S.A., avv. Giuseppe Zanghi, anticipatario; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2021

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