Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19989 del 21/09/2010

Cassazione civile sez. I, 21/09/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 21/09/2010), n.19989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Ferrante Mariano per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma in data 16 gennaio

2007, nella causa iscritta al n. 53969/2005 R.G. affari diversi;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5

maggio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato della ricorrente:

IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. A.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto asseritamente depositato il 16 gennaio 2007 (ma nella copia in atti del decreto impugnato non si rinviene la data di deposito), con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 500,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo instaurato davanti al Tribunale di Nola, quale giudice del lavoro, con ricorso depositato in data 1^ giugno 1998 e definito con sentenza di primo grado del 7 marzo 2001, impugnata in appello con ricorso depositato il 12 aprile 2001, a cui ha fatto seguito sentenza depositata il 13 aprile 2004;

1.1. il Ministero intimato non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda nella misura di Euro 500,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di un anno al termine ragionevole;

3. la ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo sedici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (primo motivo); la mancata considerazione della natura previdenziale della causa, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata del processo (secondo motivo); il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento e senza specifica motivazione, al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio (terzo e quarto motivo);

3.2. il mancato rispetto, con carente motivazione, dei parametri europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (quinto, sesto e settimo motivo); il mancato riconoscimento, ancora senza motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia (ottavo, nono e decimo motivo);

3.3. l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, e senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e dalla Corte di cassazione in sede di annullamento senza rinvio (motivi da undici a sedici);

4. i motivi di cui al punto 3.1., esaminati congiuntamente, appaiono manifestamente infondati, in quanto la Corte di appello, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata, si è attenuta ai criteri di valutazione indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in conformità ai parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo un ragionevole criterio di valutazione che resiste alle infondate critiche del ricorrente, considerato comunque che. attesa la natura ordinatoria dei termini previsti dal codice di rito per la trattazione delle controversie di lavoro e di previdenza e assistenza, la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dall’accertata inosservanza dei termini medesimi, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 2004/6856; 2005/19204; 2005/19352); inoltre è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

4.1. appare invece manifestamente fondata la censura relativa al mancato rispetto, con carente motivazione, dei parametri europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale, in quanto la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 500,00, avuto riguardo alla determinazione nella specie del periodo di superamento del termine ragionevole di durata del processo, sembra configurarsi irragionevolmente in misura inferiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei parametri stabiliti dalla CEDU;

appaiono manifestamente infondate le altre censure di cui al punto 3.2. in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare, con un proprio apprezzamento discrezionale – nella specie effettuato con sufficiente motivazione – se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno;

4.2. restano assorbite le censure di cui al punto 3.3., dovendosi comunque procedere alla riliquidazione delle spese del giudizio di merito in ragione dell’accoglimento del ricorso sotto il profilo in precedenza rilevato.

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati ai punti 4., 4.1. e 4.2. si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio – rilevata preliminarmente la tempestività del ricorso, notificato il 22 gennaio 2008, risultando dalla certificazione della cancelleria della Corte d’appello di Roma, rilasciata in data 13 gennaio 2010 e acquista agli atti, che il decreto impugnato è stato depositato il 16 gennaio 2007 – ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, meritino accoglimento, nei termini di cui in motivazione, i motivi da cinque a sette, rigettati quelli da uno a quattro e da otto a dieci, con assorbimento dei restanti motivi, e che il decreto impugnato debba essere annullato in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; in particolare, determinato in un anno il periodo di durata non ragionevole, secondo la valutazione del giudice di merito da confermarsi in questa sede, essendo stata rigettata la censura svolta sul punto dalla ricorrente, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di un anno, l’indennizzo di Euro 750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero della Giustizia soccombente;

B1) le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle spese in favore dei difensori della ricorrente nel giudizio di merito, avvocati Mariano e Maria Ferrante, e di quello nel giudizio di cassazione, avv. Mariano Ferrante, dichiaratisi antistatari;

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi da uno a quattro e da otto a dieci.

Accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da cinque a sette, assorbiti i motivi da undici a sedici. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 750,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 775,00, di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 230,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore dei rispettivi difensori della ricorrente, dichiaratisi antistatari.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2010

 

 

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