Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19988 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 29/09/2011), n.19888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, e presso

di essa domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

CENTRO INSOSSO PELLI srl in liquidazione, rappresentata e difesa

dall’avv. PERILLO GERARDO ed elettivamente domiciliata in Rema presso

l’avv. Ada De Marco in piazza della Libertà n. 20;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 56/48/07, depositata l’il giugno 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 giugno 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco.

La Carte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 56/48/07, depositata l’11 giugno 2007, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Napoli (OMISSIS), ha confermato l’annullamento dell’avviso di rettifica parziale dell’IVA per l’anno 1999 emesso nei confronti della srl Centro ingrosso Pelli in relazione a violazioni all’acquisto e alla vendita per somme rilevate dalle movimentazioni bancarie su conti personali dei soci C. G. e C.B., nonchè su conti nella disponibilità di uno di essi.

La srl Centro Ingrosso Pelli, in persona dell’ultimo liquidatore R.S., resiste con controricorso.

Con il primo ed il terzo motivo, l’amministrazione ricorrente denuncia vizio di motivazione, rispettivamente, in ordine alla ritenuta mancanza di prove dell’acquisto di merci senza fattura dalla spa Sipa, ed in ordine ai rilievi formulati sulla base degli accertamenti bancari nei confronti dei soci.

I motivi, così come formulati, non appaiono idonei rispetto a quanto prescritto dal codice di rito, ove si consideri che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass. sezioni unite, 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. n. 8897 del 2008).

Con il secondo motivo, rispondente ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., l’amministrazione ricorrente, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2″, censura la decisione appellata per aver negato che potessero utilizzarsi i conti correnti bancari, posti a base della rettifica di maggiori redditi a carico della società, perchè formalmente intestati a propri soci, ed assume che, in base alla presunzione legale stabilita dalla disposizione in rubrica, possono essere utilizzati legittimamente non solo i conti bancari intestati direttamente al contribuente, ma anche quelli intestati a terzi privi del potere di amministrazione e di rappresentanza (quali i soci, i congiunti dell’amministratore o i terzi prestanome), che, secondo presunzioni semplici, possano ritenersi inerenti all’attività d’impresa dello stesso contribuente.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di accertamento dell’IVA, la presunzione, stabilita dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili: la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, tale cioè da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (Cass. n. 28324 del 2005, n. 1739 del 2007, n. 9146 del 2010).

In particolare, questa Corte ha affermato che in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziar tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. n. 27032 del 2007, n. 374 del 2009;

Cass. n. 1023 del 2008).

La ratio decidendi della sentenza impugnata – secondo la quale l’ufficio può procedere alla rettifica della dichiarazione annuale solo se i documenti a base della pretesa costituiscano prova certa e diretta della infedeltà, con la conseguenza che se i documenti costituiscono solo prove presuntive, non è possibile l’accertamento senza preventiva verifica, e secondo la quale le violazioni all’acquisto e alla vendita per somme rilevate dalle movimentazioni bancarie di C.G. e C.B., soci della società, non sono suffragate da riscontri contabili certi, precisi e concordanti, e secondo cui nell’accertamento basato sulla documentazione raccolta in sede di ispezioni bancarie, il maggior imponibile determinato è il risultato di una presunzione legale relativa che rende ammissibile la prova contraria, ed in particolare nella specie, in cui si è illegittimamente attribuito alla società quanto risultante dai conti correnti dei soci della stessa, estranei però all’amministrazione e rappresentanza della società – non è conforme ai principi sopra enunciati.

In conclusione, si ritiene che, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto il secondo motivo è manifestamente fondato, mentre il primo ed il terzo appaiono inammissibili”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide ì motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, mentre il primo ed il terzo motivo devono essere dichiarati inammissibili, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibili il primo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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