Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19988 del 06/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 06/10/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 06/10/2016), n.19988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16948/2013 proposto da:

B.G., (OMISSIS), L.P.G. (OMISSIS),

R.B. (OMISSIS), C.M.R. C.,

A.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI

55, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MASTROSANTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ISABELLA CASALES MANGANO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dott.

S.L. Direttore Centrale prestazioni a Sostegno del reddito,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO,

ANTONINO SGROI giusta procura speciale in calce al controricorso;

CO.AN., F.A., CO.MA.TE.,

CO.AN., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE

ZIINO giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 26/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 1998, l’Inps convenne in giudizio D.S.M., C.S., L.P.G., S.F., R.B., Co.Sa., Ru.An., B.G., M.M., T.M. e G., per sentirli condannare in solido tra loro al della somma 1.796.828.403 quale ammontare delle previdenziali erogate, oltre interessi e rivalutazione.

Espose l’attrice che i convenuti erano componenti della commissione locale per la mano d’opera agricola di (OMISSIS) e tutti furono rinviati a giudizio per rispondere di una serie di irregolarità finalizzate all’inserimento di non aventi titolo negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli ed alla creazione dei presupposti per consentire loro il godimento di prestazioni previdenziali l’Inps. La responsabilità dei convenuti era stata definitivamente accertata in sede penale e per questo erano stati condannati, in solido, al risarcimento del danno in favore dell’Inps da liquidarsi in separata sede.

I convenuti, in parte costituitosi in giudizio, eccepirono da un lato la prescrizione del diritto dell’attore e dall’altro facendo rilevare l’infondatezza della pretesa. Chiesero, inoltre, di chiamare in causa i soggetti che si erano arricchiti con riferimento alle erogazioni provenienti dall’attore. In seguito, tuttavia, a causa del notevole importo delle somme necessarie alla chiamata, vi rinunziarono.

Il Tribunale di Palermo accolse la domanda dell’Inps e condannò, in solido, D.S., C., L.P., S., R., Co., Ru., M. e i contumaci T.M. e G., al pagamento della somma di Euro 1.269.036,00. Condannò inoltre B., in solido con gli altri convenuti, al pagamento in favore dell’istituto della somma di Euro 1.257.709,00. Condannò di S. e i T., sempre a favore dell’attrice, in solido al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 45.300,00.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 26 del 15 gennaio 2013.

3. Avverso tale decisione, L.P.G., R.B., B.G., A.F. (quale unica crede di S.F.), C.M.R. (quale tutore dell’interdetto C.S.) propongono ricorso in Cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resistono con controricorsi autonomi l’Inps e F.A., Co.Ma.Te., An. e An.; in particolare gli ultimi tre hanno dedotto l’inammissibilità del ricorso nei loro confronti perchè ad essi notificato sull’erroneo presupposto che siano eredi di Co.Sa., sebbene abbiano rinunciato all’eredità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., art. 2945 c.c., comma 2, art. 2947 c.c., comma 3, art. 2962 c.c., nonchè dell’art. 74 c.p.c. e art. 78 c.p.c., comma 1 e degli artt. 151, 183 e 185 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Lamentano che la Corte d’Appello ha errato laddove nella sentenza impugnata ha ritenuto non prescritta l’azione risarcitoria proposta dall’Inps rilevando che entro i cinque anni dal provvedimento di amnistia riguardante il reato di truffa (…), ossia il (OMISSIS), è intervenuta la costituzione di parte civile con la quale l’istituto ha chiesto, nell’ambito della vicenda complessivamente considerata, il risarcimento del danno subito (…). Ma la Corte d’Appello non ha tenuto presente che la costituzione di parte civile, effettuata successivamente all’entrata in vigore del decreto di concessione dell’amnistia relativo al reato di truffa, non produce alcun effetto c.d. interruttivo-sospensivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno generato dal reato estinto. Pertanto la prescrizione deve ritenersi compiuta.

4.2. Con il secondo motivo, denunciano la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2946 c.c., art. 2947 c.c., comma 3, artt. 2953 e 2962 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

I ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello ha errato laddove non ha considerato che per una pretesa risarcitoria, intercorrente tra le stesse parti, è inconcepibile il concorso dell’ordinario termine di prescrizione decennale e del termine di prescrizione quinquennale, dovendosi ritenere il diritto già estinto per effetto della prescrizione più breve (pag. 14 ricorso).

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi infondati.

I ricorrenti non colgono la ratio decidendi che sta alla base della sentenza impugnata.

Come correttamente motivato dal giudice del merito, ai ricorrenti sono state contestate le condotte di falso ex artt. 476 e 479 c.p. (pag. 2 sentenza) e per tali reati sono stati riconosciuti colpevoli e condannati anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi i

separata sede. per tali reati, si è costituita parte civile il (OMISSIS) e cioè entro i cinque anni dal provvedimento di amnistia per il reato di tifa, con conseguente effetto interruttivo della prescrizione. Tale punto della sentenza è passata in giudicato (pag. 4 sentenza).

L’attività di falsificazione ha costituito l’indispensabile presupposto dell’erogazione delle indebite prescrizioni economiche a nulla rilevando, al fine di escludere il nesso causale tra le due attività, la circostanza che detta erogazione non rappresenta il momento consumativo del reato di falso, ma un momento successivo e consequenziale.

Ha poi ritenuto il giudice del merito che in caso di condanna generica al risarcimento del danno, l’azione diretta alla determinazione del quantum si prescrive in dieci anni ex art. 2953, con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta definitiva, ciò anche nel caso in cui la sentenza di condanna generica sia stata emessa nel corso di un procedimento penale.

Tale rafia decidendi, quella relativa alla condanna generica al risarcimento per i reati di falsificazione e conseguente applicabilità della prescrizione decennale prevista per l’actio indicati, non è stata impugnata. E’ principio consolidato che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatotio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. SU. n. 7931/2013).

E nel caso di specie il giudice del merito ha pronunciato la condanna al risarcimento non sulla base delle conseguenze del reato di truffa che è stato amnistiato ma su quella del reato di falso, in relazione al quale era stata pronunciata sentenza di condanna al risarcimento del danno in forma generica in sede penale (pag. 4 sentenza).

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 97 Cost., degli artt. 1227, 2043, 2056 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 277 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello non ha esaminato le difese svolte dagli stessi con riguardo alla condotta tenuta dall’Inps in relazione alla vicenda per cui è causa e comunque per non avere ritenuto che tale condotta, complessivamente considerata, integri i presupposti del concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione e nell’aggravamento del danno. Infatti gli atti di causa e le difese svolte nel giudizio di merito, mostrano con chiarezza l’ingiustificata inerzia dell’Inps che per lungo tempo non si è in alcun modo attivata per impedire i danni lamentati e/o ridurne l’entità.

Il motivo è infondato. La sentenza è ben motivata dove afferma che non risultano profili di colpa da parte dell’Inps in considerazione della successione dei tempi con cui sono stati effettuati gli accertamenti, i rapporti informativi e i rinvii a giudizio. Ed infatti non avrebbe potuto attivarsi in alcun modo per impedire la verificazione del danno.

Ed in ogni caso, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti.

5. In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese processuali nei confronti dell’INPS.

6. E’ appena il caso di aggiungere con riguardo alla posizione dei controricorrenti F.A., Co.Ma.Te., An. e An. che nulla è da provvedere, posto che, da un lato, non è stato fatto valere alcun motivo di ricorso nei loro confronti e, dall’altro, nessun motivo di impugnazione è contenuto nel controricorso. Ciò comporta la compensazione del spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra i ricorrenti e i predetti controricorrenti.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

8 Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente Inps che liquida in complessivi Euro 17.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Spese compensate tra i ricorrenti e F. e Co..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2016

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