Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19987 del 30/09/2011

Cassazione civile sez. III, 30/09/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 30/09/2011), n.19987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PAOLO EMILIO N. 71, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI

ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende, giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

L & G DI BONFINI LORELLA SAS (OMISSIS), (già L. & G.

di

Gianluigi Pezzopane) in persona del legale rappresentante sig.ra

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GALLIA 8 6,

presso lo studio dell’avvocato MANCINI MONALDO, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIULIANI GABRIELLA, VECCHIOLI PAOLO giusto

mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 08/05/2008; R.G.N.906/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato GIULIANI GABRIELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento p.q.r.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20 dicembre 2005 N.M. ha intimato alla conduttrice, s.a.s. L & G di Gianluigi Pezzopane (oggi s.a.s. L & G di Lorella Bonfini), sfratto per morosità dall’immobile di sua proprietà, con ingiunzione di pagamento della somma di Euro 1.569,24 a saldo dei canoni ancor dovuti.

Ha esposto che il canone di locazione era stato convenuto in L. 12 milioni all’anno, pagabili in rate mensili da lire un milione l’una, con decorrenza 1 giugno 1999 e per la durata di sei anni; che, a seguito degli aggiornamenti Istat, nel 2005 il canone era lievitato ad Euro 539,87 mensili; che a decorrere dal maggio 2005 la conduttrice ha corrisposto solo Euro 343,64 mensili.

L’intimata ha proposto opposizione allo sfratto assumendo che nel contratto registrato il canone risulta convenuto in L. 7.200.000 all’anno, e che il contratto prodotto in giudizio dal locatore è stato alterato nella parte relativa all’importo del canone – indicato in L. 12 milioni – mentre risulta compilato in modo diverso in altre parti. Il N. ha replicato che la conduttrice aveva sempre pagato L. 12 milioni all’anno, fino al maggio 2005, confermando con il suo comportamento la conformità agli effettivi accordi del documento da lui prodotto. Ha poi contestato l’autenticità della sottoscrizione apposta a suo nome nel documento prodotto dalla conduttrice. Il Tribunale ha respinto la domanda attrice, sul rilievo che la convenuta – non avendo contestato la sottoscrizione apposta al documento che indica in L. 12 milioni l’importo del canone – ha in realtà voluto contestare la conformità della copia prodotta all’originale e che l’attore – non avendo l’attore prodotto in giudizio l’originale – doveva essere ritenuto soccombente, in quanto la querela di falso non poteva essere proposta in mancanza dell’originale. Il Tribunale ha poi ritenuto irrilevante il contratto registrato, che indicava il canone in L. 7.200.000, prodotto dalla convenuta, perchè non sottoscritto dal locatore, bensì da altra persona (cioè dal figlio di lui), in difetto di titolo idoneo a conferire a quest’ultimo il potere di sostituzione.

Proposto appello dal N., a cui ha resistito la società, con sentenza 20 febbraio – 8 maggio 2008 n. 386 la Corte di appello dell’Aquila ha confermato la sentenza di primo grado.

Con atto notificato il 23 giugno 2009 il N. propone sei motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria.

Resiste la soc. L & G con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso per tardività, sollevata dalla resistente sul rilievo che la notificazione è stata richiesta il 23 giugno 2009, mentre il termine per l’impugnazione veniva a scadere il giorno precedente, poichè la sentenza impugnata (non notificata) è stata depositata in data 8 maggio 2008.

Il ricorrente ha dimostrato di essere residente in Comune di Cagnano Amiterno, provincia dell’Aquila, compreso nella zona nella quale è stata disposta la sospensione dei termini processuali fino al 15 settembre 2009, a causa del sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009. In ogni caso il termine di impugnazione veniva a scadere il 23 giugno 2009, tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali.

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 324 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello ritenuto provata la circostanza che il canone contrattuale era quello di Euro 7.200,00, risultante dal contratto di locazione registrato, sebbene il Tribunale avesse accertato che tale contratto era irrilevante, perchè non sottoscritto dal locatore, con decisione che, per questa parte, non è stata impugnata e che quindi è passata in giudicato.

1.1.- Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha quantificato in Euro 7.200,00 all’anno la somma dovuta a titolo di canone non in forza della pretesa efficacia probatoria del contratto registrato, prodotto dalla convenuta, bensì, a causa della mancata prova, da parte dell’attore, che l’importo del canone fosse quello di Euro 12.000,00 da lui richiesto.

Essendo stata disconosciuta l’autenticità del contratto prodotto dallo stesso attore a dimostrazione dell’importo del canone, la sua domanda è rimasta sfornita di prova e, non avendo egli provveduto a fornire altra valida dimostrazione della fondatezza delle sue ragioni, la Corte di appello ha quantificato il canone entro i limiti dell’importo che il convenuto non ha contestato, e per effetto della mancata contestazione; non in virtù dell’efficacia probatoria del documento registrato.

2.- Con il secondo motivo, deducendo violazione degli art. 2702 e 2719 cod. civ., il ricorrente lamenta che la Corte dì appello abbia qualificato l’eccezione secondo cui il documento da lui prodotto era stato contraffatto, come eccezione di non conformità della copia all’originale, ed ha negato ogni efficacia probatoria al documento, sebbene la convenuta non abbia contestato la sottoscrizione da essa apposta al documento e non abbia proposto querela di falso.

Con il terzo motivo denuncia violazione degli art. 215, 223 e 224 cod. proc. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che la querela di falso non potesse essere proposta se non dopo la produzione in giudizio del documento originale.

3.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi, non sono fondati. A fronte della contestazione della convenuta l’attore avrebbe comunque dovuto produrre il documento originale, o indicare le ragioni per cui non ne fosse in ipotesi in possesso, per consentire alla controparte di valutare la reale natura della contraffazione e così di proporre la querela di falso.

Pur se la querela può essere proposta anche prima della produzione in giudizio dell’originale del documento contestato, il conseguente giudizio di accertamento deve necessariamente svolgersi sull’originale e la parte interessata deve essere messa in condizione – prima di proporre la querela – di esaminare il documento originale, per non esporsi ad iniziative avventate.

Correttamente pertanto la Corte di appello ha tratto argomento dalla mancata produzione dell’originale da parte dell’attore per non addebitare alla convenuta gli effetti della mancata proposizione della querela di falso.

4.- Il quarto, il quinto ed il sesto motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, per avere la Corte di appello ritenuto non raggiunta la prova che il canone di locazione era stato convenuto in Euro 12.000,00 annui, sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. La norma è applicabile al presente giudizio, poichè la sentenza impugnata è stata depositata dopo il 1 marzo 2006 (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27) e prima dell’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha abrogato la disposizione (art. 47 e art. 58, comma 5).

E’ orientamento costante della Corte (cfr. di recente Cass. 25 marzo 2009, n. 7197) che il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, sì da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia. In altri termini, la formulazione corretta del quesito esige che il ricorrente dapprima indichi la fattispecie concreta a cui le norme invocate debbono essere applicate; poi la rapporti ad uno schema normativo tipico; infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Tali requisiti sono del tutto mancanti nel quesito formulato dal ricorrente in relazione al quarto motivo, che così si esprime: “Si chiede alla Suprema Corte di stabilire se la omessa considerazione e valutazione di prove di rilevante importanza ai fini della corretta decisione della causa configuri una violazione del disposto di cui art. 2697 cod. civ. artt. 115 e 116 cod. proc. civ”: proposizione che fra l’altro da per dimostrato ciò che il ricorrente dovrebbe dimostrare, facendone oggetto del quesito, cioè che vi è stata omessa valutazione di prove di rilevante importanza.

3.2.- In relazione ai motivi quinto e sesto, che denunciano vizi di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, manca del tutto un momento di sintesi delle censure, analogo al quesito di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria, o l’indicazione, delle ragioni per le quali essa è da ritenere inidonea a giustificare la decisione, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis (Cass. civ. Sez. Unite, 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. civ. Sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897).

Manca infatti un momento di sintesi delle censure, analogo al quesito di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria, e manca l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione è da ritenere inidonea a giustificare la decisione, come prescritto dalla legge al fine di non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007; Cass. Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897).

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 800,00 per onorari. Oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2011

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