Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19986 del 27/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 19986 Anno 2018
Presidente: LOCATELLI GIUSEPPE
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23447/2013 R.G. proposto da
Gianluca Pontiggia, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Cerasi e
dall’avv. Antonio Tomassini, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma,
via Dei Due Macelli n.66;

ricorrente

contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata
dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

contro ricorrente-

avverso la sentenza n.22/24/13 della Commissione Tributaria Regionale
della Lombardia, emessa in data 22/1/2013, depositata in data 25/2/2013
e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 giugno 2018 dal
Consigliere Andreina Giudicepietro;

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Data pubblicazione: 27/07/2018

RILEVATO CHE:
1. Gianluca Pontiggia ricorre con cinque motivi contro l’ Agenzia delle
Entrate per la cassazione della sentenza n.22/24/13 della Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia, emessa in data 22/1/2013, depositata
in data 25/2/2013 e non notificata, che, in controversia concernente
l’impugnativa degli avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2005, con i

contribuente, determinava un maggior reddito da lavoro autonomo, nonché
le relative maggiori imposte e sanzioni, ha rigettato l’appello del
contribuente;
2. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo
con controricorso;
3. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio del
15/6/2018 ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc.
civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016,
n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

CONSIDERATO CHE:
1.1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art.53 d.lgs. n.546/1992, in relazione all’art.360, comma
1, n.3, c.p.c.;
secondo il ricorrente, la C.T.R. della Lombardia avrebbe erroneamente
ritenuto l’inammissibilità dell’appello per la mancata proposizione di motivi
specifici di impugnazione da parte dell’appellante, che si sarebbe limitato a
riproporre le questioni già trattate con il ricorso, senza formulare specifiche
critiche alla sentenza impugnata;
1.2. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
1.3. giova premettere che, per ormai costante orientamento di questa
Corte, “qualora il giudice, definito il giudizio con una statuizione in rito di
inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), inserisca
nella decisione anche delle argomentazioni di merito rese “ad
abundantiam”, la parte soccombente non ha l’onere, né l’interesse, a
richiedere, con il mezzo di impugnazione, un sindacato in ordine a tale parte

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quali l’Ufficio, in esito al controllo delle movimentazioni bancarie del

di motivazione, siccome ininfluente ai fini della decisione” (Cass. sent.
n.101/17);
conseguentemente sarebbe

ammissibile l’impugnazione che si

rivolgesse alla sola statuizione pregiudiziale ed invece inammissibile, per
difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretendesse un
sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta

ad

è stato, però, rilevato che tali principi sono inapplicabili nel caso in cui il
rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità
dei motivi di impugnazione per difetto di specificità, sia avvenuto

ad

abundantiam e costituisca un mero obiter dictum, che non ha influito sul
dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi è, in realtà, rappresentata
dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure;
in tal caso “è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per
cassazione con il quale si contesti esclusivamente il rilievo da parte del
giudice di appello dell’inammissibilità dei motivi di impugnazione” (Cass.
sent. n. 30354/17);
nel caso di specie, il giudice di appello ha preliminarmente rilevato
l’inammissibilità dell’appello, per difetto di specificità dei motivi,
successivamente ritenendo comunque infondato il ricorso nel merito,
dichiarando esplicitamente di voler prescindere dalla rilevata
inammissibilità;
in particolare, si legge nella sentenza impugnata che, “anche a voler
prescindere dalla assoluta genericità dell’atto di impugnazione, che si limita
a riproporre le questioni già trattate con il ricorso e non si perita di
formulare precise critiche alle argomentazioni della sentenza, sicchè
l’appello è inammissibile, va rilevato che il contribuente non ha affatto
giustificato i versamenti … “;
il giudice di appello, quindi, dopo aver riassunto e fatto proprie le
motivazioni adottate dalla C.T.P. nel ritenere che il contribuente non avesse
fornito adeguata prova contraria alla presunzione di legge, nel dispositivo ha
rigettato l’appello nel merito;

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abundantiam nella sentenza gravata (Cass. S.U. n. 3840/07);

in

conclusione,

nella

sentenza

impugnata

il

riferimento

all’inammissibilità dei motivi di appello (sebbene investa una questione
pregiudiziale all’esame del merito) appare un’argomentazione svolta

ad

abundantiam e costituente obiter dicta, del tutto ininfluente ai fini della
decisione e per la quale il ricorrente non ha interesse all’impugnazione;
2.1. con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa

n.3, c.p.c.;
secondo il ricorrente, il giudice di appello non avrebbe tenuto in alcun
conto le prove documentali contrarie, fornite dal contribuente ed idonee a
vincere la presunzione di cui all’art. 32 citato, applicando in maniera
automatica la stessa senza alcuna distinzione tra prelevamenti e
versamenti;
2.2. il motivo è fondato nei termini che seguono;
2.3. invero, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora
l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti
correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto,
secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi
risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della
prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non
generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi
desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni
imponibili” (Cass. sent. n. 15857/16; n.23041/15);
si è anche detto che “in tema di accertamento, resta invariata la
presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con
riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o
lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico
l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno,
all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014,
l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale
limitatamente

ai

prelevamenti

sui

conti

correnti” (Cass.

sent.

n.16697/2016);
con la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, infatti, la

k.\
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applicazione dell’art.32 d.p.r. n.600/73, in relazione all’art.360, comma 1,

novella dell’art. 32 d.p.r. 600/73 è stata dichiarata costituzionalmente
illegittima, non reggendo, per il lavoro autonomo, la correlazione logicopresuntiva tra costi, ricavi e movimenti bancari che è tipica, invece, del
reddito d’impresa;
pertanto, non solo è venuta meno la modifica dell’art. 32 operata dalla
“finanziaria 2005”, ma non è più proponibile l’equiparazione logica tra

posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità
anteriori (cfr. Cass. sent. n. 23041/15);
alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, deve
ritenersi che il secondo motivo di ricorso sia in parte fondato, relativamente
all’insussistenza nei confronti del ricorrente, libero professionista
(commercialista), della presunzione che i prelevamenti costituiscano
operazioni imponibili, gravando sull’Amministrazione l’onere della prova dei
maggiori ricavi non dichiarati;
lo stesso motivo deve, invece, ritenersi infondato relativamente alla
presunzione sui versamenti, che è sicuramente operante ed è stata
correttamente applicata dal giudice di appello, il quale ha ritenuto che non
fosse superata dalla prova contraria offerta dal contribuente;
3.1. in conseguenza del parziale accoglimento del secondo motivo,
relativamente all’insussistenza nei confronti del ricorrente, libero
professionista (commercialista), della presunzione che i prelevamenti
costituiscano operazioni imponibili, deve ritenersi assorbito il quinto;
3.2. invero, con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione di
legge e l’illegittimità costituzionale della presunzione di imponibilità delle
operazioni di prelevamento, se applicata ai titolari di reddito da lavoro
autonomo;
4.1. passando al terzo motivo, il ricorrente censura l’omessa ed
insufficiente motivazione, ex art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., in ordine ad un
fatto decisivo e controverso, con particolare riferimento alla circostanza che
il giudice di appello si sarebbe limitato a ribadire le valutazioni espresse dal
giudice di prime cure in ordine all’insufficienza della prova contraria del
contribuente;

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attività d’impresa e attività professionale fatta, ai fini della presunzione

sul punto, con il quarto motivo, il ricorrente ha denunziato la nullità
della sentenza impugnata per la totale assenza di motivazione, quale error

in procedendo, censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c.,
nonché la violazione degli artt. 53 d.lgs. n.546/92, 100 e 112 c.p.c., in
relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
4.2. i motivi, esaminati congiuntamente perché connessi, sono infondati

versamenti, mentre devono ritenersi assorbiti dall’accoglimento parziale del
secondo, nella parte in cui deducono la sussistenza del vizio di motivazione
con riferimento ai prelievi;
4.3. in particolare, la C.T.R. della Lombardia ha ritenuto, con
ragionamento analitico ed esente da vizi logici, che la prova fornita dal
contribuente non fosse idonea a superare la presunzione legale in favore del
fisco, perché non univoca ed in parte inammissibile;
in particolare, il giudice di appello ha rilevato la mancanza di prova del
finanziamento alla Servizi Gestionali s.r.I., l’inammissibilità della prova
documentale, richiesta e non prodotta in sede amministrativa, nonché della
prova testimoniale in ordine alle somme provenienti da Fedeli e Croci;
la motivazione, che non è sindacabile in sede di legittimità in ordine alle
valutazioni di merito espresse dal giudice di appello, risulta sufficiente,
logica e coerente;
in conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto, limitatamente
all’insussistenza nei confronti del ricorrente, libero professionista
(commercialista), della presunzione che i prelevamenti costituiscano
operazioni imponibili, e la sentenza impugnata, che non si è uniformata al
principio sopra richiamato, deve essere cassata, con rinvio della causa alla
Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione,
la quale, applicando il principio di diritto enunciato, procederà a nuovo
esame relativamente ai soli prelevamenti e provvederà anche in ordine alle
spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti indicati in

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nella parte in cui denunziano il vizio di motivazione con riferimento ai

motivazione, assorbito il quinto; dichiara inammissibile il primo e rigetta il
terzo ed il quarto nei limiti di cui in motivazione, dichiarandoli assorbiti per il
resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo parzialmente
accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria
regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 15 giugno 2018

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