Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19985 del 10/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/08/2017, (ud. 22/06/2017, dep.10/08/2017),  n. 19985

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11354/2016 proposto da:

ROLAND COSTRUZIONI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo

liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FABIO SQUARCINI;

– ricorrente –

contro

LST – LOGISTIC & SHIPPING TUSCANY SPA, in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI

CAPPELLI, BARBARA DEL SEPPIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 230/2016 della CORTE D’APPIELLO di depositata

il 26/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Roland Costruzioni s.r.l. in liquidazione propose opposizione innanzi al Tribunale di Livorno avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di L.S.T. – Logistic & Shipping Tuscany s.p.a. chiedendo in via riconvenzionale, fra l’altro, la riduzione del canone pattuito avendo avuto a disposizione solo una parte dell’intero capannone locato, con condanna alla restituzione della differenza corrisposta, ed il pagamento di fatture. Il Tribunale rigettò la domanda riconvenzionale e, previa revoca del decreto, condannò Roland Costruzioni al pagamento della somma di Euro 68.292,17. Avverso detta sentenza propose appello Roland Costruzioni s.r.l. in liquidazione. Con sentenza di data 26 febbraio 2016 la Corte d’appello di Firenze rigettò l’appello.

Osservò la Corte territoriale, circa il motivo di appello relativo all’effettivo spazio a disposizione nel capannone, che, a prescindere dalla valutazione del primo giudice nel senso della mancanza di prova del limitato godimento dell’immobile, non si comprendeva la ragione della censura posto che l’appellante aveva assunto di aver preso in locazione l’intero immobile ma di avere utilizzata solo una parte in quanto sufficiente (il teste C. aveva dichiarato che benchè il conduttore avesse fatto presente di avere bisogno solo di una parte del capannone, il locatore aveva imposto la locazione dell’intero immobile), sicchè ben sapeva che sarebbe stato sufficiente locare una parte del capannone ed invece nonostante ciò lo aveva preso in locazione per intero (invece di chiedere la riduzione del canone l’appellante avrebbe dovuto impugnare il contratto per vizio del consenso). Aggiunse il giudice di appello, con riferimento al motivo di appello della mancanza di prova del credito portato dalle fatture emesse da Roland Costruzioni, che l’appellante non aveva “provato la sussistenza del credito portato dalla documentazione in parola, prova che doveva essere fornita da chi faceva valere la pretesa creditoria dal momento che controparte ha contestato la fondatezza della pretesa stessa come riportato in sede di conclusioni”.

Ha proposto ricorso per cassazione Roland Costruzioni s.r.l. in liquidazione sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1. Osserva la ricorrente che L.S.T. non aveva mai contestato l’emissione delle fatture e che si era limitata in sede di precisazione delle conclusioni ad una generica contestazione della domanda riconvenzionale con la richiesta di rigetto della domanda perchè infondata.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di appello ha affermato che L.S.T. ha contestato la fondatezza della pretesa della controparte come riportato in sede di conclusioni. In tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. 9 agosto 2016, n. 16655). In violazione del principio di autosufficienza è mancata la trascrizione del passaggio relativo nella precisazione delle conclusioni. Aggiungasi che, sempre in violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso, la ricorrente non ha specificatamente indicato sede e contenuto delle tesi difensive dalle quali desumere la non contestazione delle circostanze di fatto poste a base della domanda, e l’esigenza è tanto più avvertita in quanto nel controricorso a pag. 4 si trascrive un passaggio del verbale di udienza del 28 novembre 2013 innanzi al Tribunale di Livorno avente ad oggetto la contestazione sollevata da L.S.T. relativamente all’esecuzione delle prestazioni indicate in fattura.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso. Osserva la ricorrente che i testimoni hanno dichiarato che il capannone era in buona parte utilizzato quale deposito per materiali e manufatti destinato ad un soggetto terzo e che dopo che era stato locato l’intero immobile ne veniva consentito l’utilizzo solo in parte.

Il motivo è inammissibile. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Anche l’omesso esame di elementi istruttori può in tesi integrare pertanto l’omesso esame circa il fatto storico. Resta tuttavia fermo che, anche per ciò che concerne la doglianza sul mancato esame degli elementi istruttori secondo la nuova disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere osservato il principio di autosufficienza del ricorso, essendo inibito al giudice di legittimità l’accesso agli atti del processo in presenza di vizio che non sia quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il contenuto della prova trascurato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; 31 luglio 2012, n. 13677; 30 luglio 2010, n. 17915). Il ricorrente si è limitato ad indicare, in base ad una propria ricostruzione del contenuto della prova, quanto sarebbe stato dichiarato dai testi, ma ha omesso di trascrivere i passaggi dai quali desumere il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito.

Va altresì aggiunto, sempre sul piano dell’ammissibilità del motivo, che il giudice di merito ha affermato che, quanto al motivo di appello relativo all’effettivo spazio a disposizione nel capannone, non si comprendeva la ragione della censura posto che l’appellante aveva assunto di aver locato l’intero immobile ma di averne utilizzata solo una parte in quanto sufficiente e che, ben sapendo che sarebbe stato sufficiente locare una parte del capannone, aveva nonostante ciò preso in locazione il capannone per intero. La circostanza di fatto dell’utilizzo parziale dell’immobile è priva di decisività a fronte di tale ratio decidendi.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2017

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