Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19981 del 27/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 19981 Anno 2018
Presidente: LOCATELLI GIUSEPPE
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24240/2011 R.G. proposto da
Gianluca Pontiggia, rappresentato e difeso dall’avv. Bruno Giuffrè e dall’avv.
Antonio Tomassini, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, via Dei
Due Macelli n.66;
ricorrente

contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata
dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

contro ricorrente-

avverso la sentenza n.36/06/11 della Commissione Tributaria Regionale
della Lombardia, emessa in data 20/1/2011, depositata in data 28/2/2011
e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 giugno 2018 dal
Consigliere Andreina Giudicepietro;

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Data pubblicazione: 27/07/2018

RILEVATO CHE:
1. Gianluca Pontiggia ricorre con cinque motivi contro l’Agenzia delle
Entrate per la cassazione della sentenza n.36/06/11 della Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia, emessa in data 20/1/2011, depositata
in data 28/2/2011 e non notificata, che, in controversia concernente
l’impugnativa degli avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2003 e

l’Ufficio, in esito al controllo delle movimentazioni bancarie del contribuente,
determinava un maggior reddito da lavoro autonomo, nonché le relative
maggiori imposte e sanzioni, previa riunione dei distinti ricorsi, ha rigettato
gli appelli principali del contribuente ed accolto l’appello incidentale
dell’Amministrazione;
2. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo
con controricorso;
3. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio del
15/6/2018 ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc.
civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016,
n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

CONSIDERATO CHE:
1.1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art.32 d.p.r. n.600/73, in relazione all’art.360, comma 1,
n.3, c.p.c.;
secondo il ricorrente, il giudice di appello non avrebbe tenuto in alcun
conto le prove documentali contrarie, fornite dal contribuente ed idonee a
vincere la presunzione di cui all’art. 32 citato, applicando in maniera
automatica la stessa, senza alcuna distinzione tra prelevamenti e
versamenti;
1.2. il motivo è fondato nei termini che seguono;
1.3. invero, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora
l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti
correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto,
secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi

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2004, notificati rispettivamente in data 1/12/2008 e 21/12/2009, con i quali

risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della
prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non
generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi
desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni
imponibili” (Cass. sent. n. 15857/16; n.23041/15);
si è anche detto che “in tema di accertamento, resta invariata la

riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o
lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico
l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno,
all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014,
l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale
limitatamente

ai

prelevamenti

sui

conti

correnti”

(Cass.

sent.

n.16697/2016);
con la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, infatti, la
novella dell’art. 32 d.p.r. 600/73 è stata dichiarata costituzionalmente
illegittima, non reggendo, per il lavoro autonomo, la correlazione logicopresuntiva tra costi, ricavi e movimenti bancari che è tipica, invece, del
reddito d’impresa;
pertanto, non solo è venuta meno la modifica dell’art. 32 operata dalla
“finanziaria 2005”, ma non è più proponibile l’equiparazione logica tra
attività d’impresa e attività professionale fatta, ai fini della presunzione
posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità
anteriori (cfr. Cass. sent. n. 23041/15);
alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, deve
ritenersi che il primo motivo di ricorso sia in parte fondato, relativamente
all’insussistenza nei confronti del ricorrente, libero professionista
(commercialista), della presunzione che i prelevamenti costituiscano
operazioni imponibili, gravando sull’Amministrazione l’onere della prova dei
maggiori ricavi non dichiarati;
lo stesso motivo deve, invece, ritenersi infondato relativamente alla
presunzione sui versamenti, che è sicuramente operante ed è stata
correttamente applicata dal giudice di appello, il quale ha ritenuto che non

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presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con

fosse superata dalla prova contraria offerta dal contribuente;
2.1. in conseguenza del parziale accoglimento del primo motivo,
relativamente all’insussistenza nei confronti del ricorrente, libero
professionista (commercialista), della presunzione che i prelevamenti
costituiscano operazioni imponibili, devono ritenersi assorbiti il quarto e
quinto;

violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360,
comma 1, n. 3, c.p.c., per l’irretroattività della presunzione di imponibilità
delle operazioni di prelevamento di cui all’art. 32, comma 1, n.2, d.p.r.
n.600/73;
con il quinto motivo, invece, il ricorrente denunzia la violazione di legge
e l’illegittimità costituzionale della presunzione di imponibilità delle
operazioni di prelevamento, se applicata ai titolari di reddito da lavoro
autonomo;
3.1. passando al secondo motivo, il ricorrente censura l’omessa ed
insufficiente motivazione, ex art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., in ordine ad un
fatto decisivo e controverso, con particolare riferimento alla mancata prova
della concreta erogazione del finanziamento alla società Servizi Gestionali
s.r.I., risultante dal bilancio di quest’ultima depositato presso il Registro
delle Imprese;
sul punto, con il terzo motivo, il ricorrente ha denunziato la nullità della
sentenza impugnata per la totale assenza di motivazione, quale error in

procedendo, censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c., nonché
la violazione degli artt. 53 d.lgs. n.546/92, 100 e 112 c.p.c., in relazione
all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
3.2. i motivi, esaminati congiuntamente perché connessi, sono infondati
nella parte in cui denunziano il vizio di motivazione con riferimento ai
versamenti, mentre devono ritenersi assorbiti dall’accoglimento parziale del
primo, nella parte in cui deducono la sussistenza del vizio di motivazione
con riferimento ai prelievi;
3.3. in particolare, la C.T.R. della Lombardia ha esaminato la
documentazione per ogni versamento contestato ed ha ritenuto, con

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2.2. invero, con il quarto motivo, il ricorrente ha denunziato la

ragionamento analitico ed esente da vizi logici, che la prova documentale
fornita dal contribuente non fosse univoca, sia in relazione agli affitti
(giustificativi dei versamenti da

1 a 6, per i quali il giudice di merito

evidenziava numerose e rilevanti incongruenze, relative alla identificazione
degli affittuari, all’assenza del contratto di affitto, alla non corrispondenza
degli importi dovuti a quelli versati, etc.), sia in relazione ai versamenti

per questi ultimi, il giudice di appello ha ritenuto, con motivazione
esaustiva e logicamente coerente, che il contribuente non avesse fornito
adeguata prova che i versamenti in suo favore costituissero la restituzione
di finanzia menti precedentemente erogati;
in particolare, la C.T.R. ha considerato insufficiente, ai fini della prova
gravante sul contribuente, la produzione del bilancio della società Servizi
Gestionali s.r.I., che indicava i versamenti nelle poste passive, poiché il
contribuente comunque non era riuscito a giustificare il finanziamento, per
un importo elevato, non essendo mai stato socio della società , né avendo
esibito il contratto di finanziamento avente data certa;
la motivazione del giudice di appello, che non è sindacabile in sede di
legittimità in ordine alle valutazioni di merito, risulta sufficiente, logica e
coerente e non evidenzia alcuna omissione di pronuncia, ex art. 360, co.1,
n.4, c.p.c., né alcun vizio riconducibile alle censure di cui all’art. 360,
comma 1, n.5 c.p.c. ;
in conclusione, il ricorso va accolto, limitatamente all’insussistenza nei
confronti del ricorrente, libero professionista (commercialista), della
presunzione che i prelevamenti costituiscano operazioni imponibili, e la
sentenza impugnata, che non si è uniformata al principio sopra richiamato,
deve essere cassata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria
regionale della Lombardia, in diversa composizione, la quale, applicando il
principio di diritto enunciato, procederà a nuovo esame relativamente ai soli
prelevamenti e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio
di legittimità;

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti indicati in

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della società Servizi Gestionali s.r.l. (giustificativo 7);

motivazione, assorbiti il quarto ed il quinto motivo; rigetta il secondo ed il
terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, dichiarandoli assorbiti
per il resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
parzialmente accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Commissione
tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma il 15 giugno 2018

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