Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19981 del 10/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/08/2017, (ud. 06/04/2017, dep.10/08/2017),  n. 19981

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29900/2011 proposto da:

P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

P.A., giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CASSA NAZIONALE PREVIDENZA ASSISTENZA FORENSE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE RAFFAELLO SANZIO 9,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 707/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/08/2011 R.G.N. 743/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BOER PAOLO;

udito l’Avvocato LUCIANI MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si discute del diritto dell’avv. P.A. al ricalcolo della pensione col sistema retributivo o, in subordine, col metodo del pro-rata e, quindi, col metodo retributivo dall’1.1.1990 al 2004 e con quello contributivo per il periodo successivo, sulla base della lamentata illegittimità dell’art. 4 del Regolamento generale della Cassa Forense per effetto del quale la pensione in esame era stata liquidata a decorrere dall’1.10.2008 col sistema contributivo, contestato dall’odierno ricorrente.

Con sentenza dell’1.7 – 11.8.2011, la Corte d’appello di Genova ha respinto l’impugnazione del P. avverso la sentenza di primo grado, con la quale gli era stata rigettata la domanda, dopo aver ribadito la legittimità dell’operazione eseguita dalla Cassa Forense e l’insussistenza della lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative come quelle delineate dal ricorrente.

Per la cassazione della sentenza ricorre l’avv. P. con cinque motivi.

Resiste con controricorso la Cassa Nazionale Forense.

Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denunzia l’omessa pronunzia in ordine all’eccezione con la quale si era sostenuto che la normativa primaria di riferimento (art. 3 Cost., L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e art. 1, comma 6, e L. n. 509 del 1994) consentiva sì alla Cassa di introdurre la pensione contributiva, ma per tutti gli iscritti e non solo per una parte di essi, cioè quelli che vantavano un periodo contributivo superiore ai cinque anni, ma inferiore ai trenta. In ogni caso, secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe contraddittoria e carente laddove la Corte d’appello afferma che la Corte di Cassazione ha ritenuto la legittimità della disposizione censurata, sia con riferimento ai principi costituzionali che a quelli normativi ed in particolare al principio del pro-rata di questa Corte nella sentenza richiamata n. 24202 del 16.11.2009.

Il motivo è inammissibile.

Anzitutto vi è una evidente contraddizione nell’affermare, da una parte, che la Corte territoriale non si è pronunziata sulla questione sopra riferita e, dall’altra, che la motivazione adottata al riguardo si presenta contraddittoria.

In realtà la Corte territoriale si è puntualmente espressa in ordine alla suddetta questione, in quanto, dopo averla esposta nei vari passaggi illustrati dalla difesa di parte ricorrente, ha citato il precedente di legittimità n. 24202/09, condividendolo ed aggiungendo, nel confermare la gravata decisione di prime cure, che l’obiettivo di assicurare l’equilibrio del bilancio non può essere un requisito di ogni singola disposizione emanata dalla Cassa, ma del sistema nel suo complesso, del quale la disposizione in esame costituisce solo un elemento. La Corte di merito ha, altresì, puntualizzato che non è normativamente imposta una proporzionalità tra contribuzione versata e importo mensile percepito, anche in considerazione del fatto che la percezione prosegue nel tempo per la vita del pensionato e che è anche rispettato il principio del pro-rata, sia per il fatto che l’introduzione del trattamento in esame è successiva al mutamento del sistema pensionistico da retributivo a contributivo, sia per il fatto che il contribuente può comunque optare per il sistema retributivo o misto, continuando a versare i contributi sino a maturare il diritto alla pensione ordinaria.

Ne consegue che l’impugnata motivazione non merita nemmeno la censura di motivazione carente e contraddittoria.

2. Col secondo motivo si denunzia la violazione di legge per errata e falsa applicazione degli artt. 36 e 38 Cost., nonchè la violazione del principio di proporzionalità tra contributi versati ed ammontare della pensione liquidata, oltre che il vizio di motivazione.

Si contesta, in pratica, quanto affermato dalla Corte territoriale sulla insussistenza di una norma che imponga una proporzionalità tra contribuzione versata e importo mensile percepito, anche in considerazione del fatto che la percezione prosegue nel tempo per la vita del pensionato, assumendosi che si tratterebbe di affermazione non dimostrata e contraria all’ordinamento pensionistico improntato al principio di proporzionalità.

3. Col terzo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e dei principi in materia di delegificazione, oltre che per motivazione carente ed illogica, il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui la Corte di merito afferma che l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio non può essere un requisito di ogni singola disposizione emanata dalla Cassa, ma del sistema nel suo complesso, del quale la disposizione in esame costituisce solo un elemento. Sostiene in contrario il ricorrente che l’art. 4 del citato Regolamento, nella parte in cui introduce la pensione contributiva, non rappresenta un elemento inserito in un più complesso sistema, bensì vive di vita propria, dispiegando i suoi effetti illegittimi ed ingiusti, senza apportare alcun contributo all’equilibrio di bilancio ed alla stabilità della gestione previdenziale della Cassa.

4. Col quarto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e dell’art. 4, comma 4, del regolamento della Cassa, nonchè per vizio di motivazione, il ricorrente lamenta il rigetto della richiesta di applicazione, in via subordinata, del pro-rata nel calcolo della pensione.

Per ragioni di connessione il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente.

Tali motivi sono infondati.

Invero, la questione all’esame è già stata oggetto di disamina da parte della giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav. n. 24202 del 16.11.2009 e n. 12209 del 2011), che ha enunciato al riguardo il principio secondo cui, in materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati, nell’esercizio della propria autonomia, che li abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell’obbiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, possono adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati, con abrogazione della precedente disposizione di cui alla L. n. 570 del 1980, art. 21, nel rispetto dei limiti dell’autonomia degli enti (quali la previsione tassativa dei tipi di provvedimento che gli enti sono abilitati ad adottare ed il principio del pro-rata), senza che ne consegua la lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. Al riguardo è stato, infatti, osservato che è coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo (in quanto comportante un palese ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa) la contestuale previsione (art. 4, comma 1, del regolamento della Cassa) della non restituibilità dei contributi medesimi; pertanto, al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità dei contributi risulta rispettosa dei limiti dell’autonomia degli enti previdenziali privatizzati e, come tale, idonea ad abrogare tacitamente la contraria previsione (di cui alla L. n. 570 del 1980, art. 21) del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici. Nè può derivarne la lesione di diritti quesiti (presupponente la loro maturazione prima del provvedimento ablativo), ovvero di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, posto che la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati risulta coerente, da un lato, con la regola generale e, dall’altro, con la previsione contestuale della facoltà di optare, a condizioni di maggior favore, per il sistema contributivo di calcolo della pensione.

Inoltre, per quel che concerne la questione della lamentata mancata applicazione del principio del pro-rata si osserva che, con argomentazione logico-giuridica immune da rilievi di legittimità, la Corte di merito ha posto in evidenza che tale principio risultava rispettato, sia per il fatto che l’introduzione del trattamento in esame era successiva al mutamento del sistema pensionistico da retributivo a contributivo, sia per il fatto che il contribuente poteva comunque optare per il sistema retributivo o misto, continuando a versare i contributi sino a maturare il diritto a pensione ordinaria.

D’altra parte, nella sentenza di legittimità n. 24202/09 si è precisato che “rispettosa dei limiti – imposti all’autonomia degli enti – risulta la disposizione (intitolata Restituzione dei contributi e pensione contributiva) – adottata nell’esercizio dell’autonomia ed applicabile, ratione temporis, alla dedotta fattispecie (art. 4 del regolamento della Cassa, nel nuovo testo risultante dalla Delib. 28 febbraio 2004, adottata dal Comitato dei delegati, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 25 e 26, ed approvata dai Ministeri vigilanti, cit.) che sancisce testualmente:

“1. Tutti i contributi versati legittimamente alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense non sono restituibili all’iscritto o ai suoi aventi causa, ad eccezione di quelli relativi agli anni di iscrizione dichiarati inefficaci ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 22, u.c..

2. Gli iscritti che abbiano compiuto il 65°anno di età e maturato più di cinque anni ma meno di trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che non si siano avvalsi dell’istituto della ricongiunzione ovvero della totalizzazione, hanno diritto a chiedere la liquidazione di una pensione calcolata con il criterio contributivo, salvo che intendano proseguire nei versamenti dei contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianità o maturare prestazioni di tipo retributivo.

3. La pensione contributiva decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

4. Il calcolo della pensione contributiva e effettuato secondo i criteri previsti dalla L. n. 335 del 1995, e successive modificazioni in rapporto al montante dei contributi soggettivi versati entro il tetto reddituale di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 10, comma 1, lett. a), nonchè delle somme corrisposte a titolo di riscatto o di ricongiunzione, con esclusione del diritto alla pensione minima garantita. (….)”. Fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la disposizione in esame (comma 2) – sulla falsariga di quanto stabilito, per l’assicurazione generale obbligatoria e le forme sostitutive ed esclusive della stessa (dall’art. 1, comma 23 in relazione alla L. n. 335 del 1995, commi 12 e 13, cit.) introduce la facoltà di optare – per la liquidazione del trattamento pensionistico con le regole dei sistema contributivo – stabilendone, contestualmente, i requisiti – meno rigorosi e, perciò, di maggior favore per gli iscritti – e mutuandone (comma 4) i criteri di calcolo (dalla stessa L. n. 335 del 1995, cit.). Evidente ne risulta, quindi, non solo la riconducibilità ad uno dei tipi di provvedimento previsti dalla legge – e, segnatamente, al criterio di determinazione del trattamento pensionistico, con riferimento alla pensione contributiva istituita contestualmente (immutato restando, invece, il regime della pensione retributiva) – ma anche il rispetto del principio del pro rata. La permanente applicazione del sistema retributivo si coniuga, infatti, con il riconoscimento agli iscritti – in relazione alla medesima anzianità pregressa della ulteriore facoltà di optare – a condizioni, appunto, di maggior favore – per la pensione contributiva. Nè sembrano configurabili violazioni di principi costituzionali. Coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo (se non, addirittura, corollario di essa) – in quanto comporta, all’evidenza, un palese ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa (estendendola, appunto, alla pensione contributiva) – risulta, poi, la previsione contestuale (art. 4, comma 1 del regolamento della Cassa, cit.) della non restituibilità dei contributi medesimi. Al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità dei contributi risulta, quindi, rispettosa dei prospettati limiti – all’autonomia degli enti previdenziali privatizzati – e, come tale, idonea ad abrogare – tacitamente – la contraria previsione di legge (di cui alla L. 20 settembre 1980, n. 570, art. 21m Riforma del sistema previdenziale forense) del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici (sul punto, vedi, per tutte, Cass. n. 5098/03, 10458/98). La stessa coerenza con la facoltà di optare per il sistema contributivo, tuttavia, concorre – con la regola generale della inesistenza di un diritto alla restituzione di contributi previdenziali legittimamente versati ed il carattere affatto eccezionale, che ne consegue, della (eventuale) previsione di tale diritto (in tal senso, vedi Corte cost. 439/2005, 404/2000; Cass. 13382/2001, 1839 16259/2004) – a sostegno della esclusione di qualsiasi contrasto – con la costituzione – per la previsione di non restituibilità dei contributi medesimi (di cui all’art. 4, comma 1 del regolamento della Cassa, cit.). Non ne risulta, invero, la lesione di diritti quesiti – in quanto presuppone la loro maturazione, prima del provvedimento ablativo (vedi, per tutte, Corte cost. n. 446/2002 e giurisprudenza ivi citata) nè di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, che sembrano costituzionalmente garantiti in prossimità della loro maturazione (oltre la sentenza testè citata, vedi, per tutte, Corte cost. n. 822/88, 573/90, 39/93, 6 e 16/94, 50 e 432/97, 525/2000; vedi, altresì. Corte giust. 10 settembre 2009, in causa n. 201/08, e giurisprudenza ivi citata). Infatti la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati (di cui all’art. 4, comma 1 del regolamento della Cassa, cit.).risulta coerente, da un lato, con la regola generale – nel medesimo senso – e, dall’altro, con la previsione contestuale della facoltà di optare – a condizioni di maggior favore – per il sistema contributivo di calcolo della pensione”.

Il Collegio condivide il testè ricordato orientamento, dal quale non ravvisa ragioni per discostarsi, per cui le censure sopra richiamate non scalfiscono la validità della decisione impugnata che si è attenuta ai suddetti principi.

5. Col quinto motivo il ricorrente si duole della condanna alle spese denunziandone l’illegittimità ed il difetto di motivazione, stante la novità della questione trattata ed il danno economico subito per effetto del rigetto del gravame, per cui la Corte d’appello avrebbe dovuto compensare le spese del secondo grado.

Anche quest’ultimo motivo è infondato in quanto la condanna al pagamento delle spese del giudizio d’appello è stata emessa in ossequio al generale principio della soccombenza ed, oltretutto, la Corte di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Pertanto il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2017

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