Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1998 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2022, (ud. 05/10/2021, dep. 24/01/2022), n.1998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25374-2017 proposto da:

ENI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI n. 47, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIA LUCREZIA TURCO, ARMANDO TURSI;

– ricorrente –

contro

G.R., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, n. 18, presso lo STUDIO GREZ

& ASSOCIATI, rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTO LAMMA;

– controricorrenti –

e contro

SOCIETA’ PADANA ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati MAURO MAZZONI, LUCIANO GIORGIO PETRONIO;

– controricorrente –

e contro

V.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 387/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/04/2017 R.G.N. 273/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/10/2021 dal consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 387/2017 aveva rigettato l’appello proposto da Società Padana energia spa ed Eni Spa avverso la decisione con cui il Tribunale di Modena aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti delle dipendenti attuali controricorrenti, della cessione del ramo di azienda Eni spa a Società Padana Energia spa e la persistenza dei rapporti di lavoro in esame in capo ad Eni spa con condanna di quest’ultima a ripristinare i rapporti di lavoro reintegrando i lavoratori nei posti e nelle mansioni pregresse.

La Corte territoriale, ribadito l’interesse ad agire dei dipendenti, aveva escluso l’adesione tacita di questi alla cessione in questione, non essendo a tal fine rilevante la dedotta inerzia dei lavoratori. La Corte aveva anche ritenuto non provate, nel caso in esame, le condizioni necessarie per la cessione, quali la preesistenza del ramo di azienda e la autonomia del ramo ceduto, anche ponendo in rilievo, a tale ultimo riguardo, il distacco di taluni dipendenti Eni presso la cessionaria.

Avverso detta decisione Eni spa proponeva ricorso affidato a 5 motivi cui resistevano con controricorso i lavoratori in epigrafe indicati.

La società Padana Energia Spa proponeva controricorso in adesione al ricorso di Eni spa.

Erano depositate dalle parti memorie successive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1406 e 1235 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente lamenta la valutazione del giudice di appello circa la accettazione della cessione dei contratti e la novazione soggettiva degli stessi avvenuta per fatti concludenti. Ritiene erronea la decisione allorché esclude che la prestazione svolta presso altro datore di lavoro per un lungo periodo e la assenza di offerte di prestazione alla originaria società cedente non abbiano significato di accettazione di fatto della cessione del rapporto di lavoro.

Si osserva preliminarmente che questa Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di causa (Cass. n. 8758/0171 n. 8721/2018).

La censura in esame incorre nel vizio evidenziato poiché, attraverso la denuncia di violazione delle disposizioni richiamate, in realtà mira a sostenere ed offrire una interpretazione diversa ed opposta dei fatti del processo, per come valutati dalla corte territoriale.

Non può che intendersi in tale maniera la differente prospettazione data alla inerzia del lavoratore quale sintomo di aderire tacitamente alla avvenuta cessione. La sentenza impugnata ha valutato tale circostanza ed ha espresso un giudizio articolato, coerente con i principi in materia, secondo cui “In caso di cessione di ramo d’ azienda, l’azione diretta a far dichiarare l’invalidità della cessione per violazione dell’art. 2112 c.c., si configura come azione di nullità ex art. 1418 c.c., per contrasto con norme imperative, per sua natura imprescrittibile, senza che rilevi l’inerzia del lavoratore atteso che il tempo trascorso (nella specie, tre anni) tra il trasferimento del ramo d’azienda e la sua impugnazione giudiziale, e quindi dal momento in cui il diritto alla tutela giurisdizionale è sorto alla sua concreta attivazione, costituisce un elemento di per sé neutro se non accompagnato da altre circostanze significative di una chiara e certa volontà di rinunciarvi” (Cass. n. 13791/2016).

E’ stato anche di recente soggiunto che “In tema di trasferimento d’azienda, il lavoratore ha interesse ad accertare in giudizio che nel complesso di beni oggetto di trasferimento non è ravvisabile un ramo d’azienda, e, quindi, in difetto del suo consenso, l’inefficacia nei suoi confronti del trasferimento stesso, non essendo per lui indifferente, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore-datore di lavoro, che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei suoi diritti. Tale interesse non viene meno né in caso di svolgimento, in via di mero fatto, di prestazioni lavorative per il cessionario, che non integra accettazione della cessione del contratto di lavoro, né per effetto dell’eventuale conciliazione intercorsa tra lavoratore e cessionario all’esito del licenziamento del primo, né, in genere, in conseguenza delle vicende risolutive del rapporto con il cessionari” (Cass. n. 18948/2021).

Il motivo proposto, contrapponendo al giudizio espresso dal giudice in coerenza con i principi richiamati, una diversa “lettura” dei fatti del processo ed una differente interpretazione, chiede, in sostanza una rivalutazione del merito, estranea al giudizio di legittimità. Il motivo è pertanto inammissibile.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, allorché la corte di appello ha accertato la carenza di autonomia preesistente del ramo d’azienda. Anche in questa censura il vizio denunciato sostanzialmente mira a confutare l’accertamento compiuto dal giudice d’appello. A pg. 15 della sentenza la corte territoriale ha statuito chiaramente sulla carenza del requisito della preesistenza del ramo aziendale (ramo Cavone) oggetto di cessione, rilevando come “l’articolazione sia stata assemblata ad hoc” al fine della operazione. Nello svolgere la valutazione La Corte si è attenuta ai principi dettati da questa Corte anche in plurimi e recenti arresti (Cass. n. 22249/21; Cass. n. 19034/2017), e, pertanto, il motivo deve essere ritenuto inammissibile.

3) Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2112 c.c., dell’art. 2104 c.c., e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.), con riguardo alla valutazione dell’autonomia del ramo di azienda effettuata in riferimento ad un parametro ritenuto errato quale il distacco di taluni lavoratori della cedente presso la cessionaria.

Il motivo è inammissibile poiché non coglie nella sua interezza la decisione assunta dalla corte bolognese, basata su plurime ragioni, tra le quali l’avvenuto distacco, oggetto di censura, è solo un argomento ulteriore posto a dimostrazione della carenza di autonomia, già affermata rispetto ad altri parametri, come sopra rilevati.

4) E’ fatto valere, quale ulteriore doglianza, l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quale la valenza della comunicazione scritta di cessazione del rapporto con Eni e di prosecuzione con altra società. Assume la società ricorrente che, se pur si fosse qualificata, detta comunicazione, quale licenziamento, la sua mancata e tempestiva impugnazione determinava l’attuale carenza di interesse rispetto al giudizio intrapreso.

La censura contiene altresì rilievi alla motivazione della sentenza con riguardo alla omessa indicazione ed analisi della pregressa organizzazione del ramo “Cavone”.

Con riguardo al vizio denunciato questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016)

Ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017).

La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta polché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio. Siffatti presupposti non sono presenti nella censura poiché non rappresentata la assoluta decisività delle asserite omissioni, rispetto all’affermato interesse dei lavoratori all’accertamento della nullità della cessione ed alla valutazione della illegittimità di quest’ultima.

5) Con ultimo motivo è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; si deduce la contraddittorietà della decisione con riguardo alla valutazione dell’autonomia del ramo ceduto, fatta solo con riferimento al momento antecedente la cessione e non al risultato del ramo ceduto.

Questa Corte ha rilevato che “Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4),” (Cass. n. 13928/2015).

La enuncia di tale vizio è per tali ragioni inammissibile. Peraltro, deve aggiungersi che il giudice d’appello ha fondato la decisione in punto di carenza di autonomia su più ragioni, anche affermando la necessaria preesistenza della autonomia funzionale e dunque escludendo che l’analisi di tale requisito fosse da incentrarsi sul risultato e quindi sulle caratteristiche di autonomia successive alla cessione (in conformità si veda da ultimo Cass. n. 22259/2021).

Il ricorso, per le esposte ragioni, è inammissibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

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