Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19975 del 30/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19975 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: DE STEFANO FRANCO

PU

SENTENZA

sul ricorso 28472-2007 proposto da:
FALLIMENTO MIPA DITTA S.R.L. 00802640706, in persona
del Curatore pro-tempore avv. M. VINCENZA CENDAMO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA 91,
presso lo studio dell’avvocato GRILLO NADIA,
rappresentata e difesa dall’avvocato GRECO COSTANTINO
2013

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1501
contro

TRONU SALVATORE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA LUTEZIA 8, presso lo studio dell’avvocato

1

Data pubblicazione: 30/08/2013

CAMPAGNOLAANTONIO e ROSI FRANCESCO, rappresentato e
difeso dall’avvocato ROBERTI ERCOLE VINCENZO giusta
delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. , MASSARI SAVINO;
– intimati –

sul ricorso 31573-2007 proposto da:
FASMAT DI MASSARI SAVINO, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 190, presso lo studio
dell’avvocato STRACCIA MARCO, rappresentato e difeso
dall’avvocato TANDOI ANDREA giusta delega in atti;
– ricorrentE contro

DI MAIO ELIA, FALL. MIPA DITTA S.R.L. , FONDIARIA SAI
S.P.A. , MILANO ASSIC. S.P.A. , TRONU SALVATORE, MIPA
S.R.L.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 252/2006 della CORTE D’APPELLO
di CAMPOBASSO, depositata il 19/09/2006 R.G.N.
264+272+286/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. FRANCO
DE STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

2

FONDIARIA SAI S.P.A. , DI MAIO ELIA, MIPA S.R.L.

Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rinvio a N.R., in subordine per la cassazione della

sentenza impugnata.

3

Svolgimento del processo

l. A seguito di un grave incendio che colpì diversi
capannoni in Termoli la notte sul 15.7.91, furono
intentate, tra loro in vario modo intrecciandosi, distinte
azioni giudiziarie dinanzi al tribunale di Larino:

da cui si era originato l’incendio, la FASMAT di Massari
Savino, nei confronti della sua assicuratrice dei rischi da
incendio, la Milano ass.ni: nella quale la convenuta si
costituì, adducendo l’inoperatività della polizza per
l’addotto carattere doloso del fatto e lamentando la
reticenza di controparte in ordine all’avvenuta concessione
in locazione di parte dell’immobile;
– una seconda, da parte del proprietario di un immobile
vicino, Salvatore Tronu, nei confronti della proprietaria
del capannone da cui si era originato l’incendio, cioè la
detta FASMAT: la quale, costituendosi, negò qualsiasi sua
responsabilità e comunque chiese ed ottenne di chiamare in
garanzia la sua assicuratrice Milano ass.ni ;
– una terza, da parte del proprietario di altro immobile
vicino, Elia Di Maio quale titolare della ditta Di
Geronimo, nei confronti sia della FASMAT, proprietaria del
capannone da cui si era originato l’incendio, sia della
locataria di una sua parte, la MI.PA . srl, sia delle loro
rispettive assicuratrici contro i rischi da incendio, cioè
la Milano Ass.ni e La Fondiaria ass.ni: nel quale queste
ultime negarono l’ammissibilità di un’azione diretta del
danneggiato nei loro confronti e delle prime due ognuna

3Ins

– una prima, da parte della proprietaria del capannone

addossò

all’altra

l’esclusiva

responsabilità

nella

causazione del sinistro;
– una quarta, da parte della FASMAT, nei confronti della
MI.PA . srl e della sua assicuratrice per i rischi da
incendio, nel frattempo divenuta La Fondiaria spa: nella

diretta della danneggiata nei suoi confronti e l’altra
attribuì all’attrice ogni responsabilità nell’evento.
Disposta in più riprese la riunione delle quattro cause,
esse, istruite a mezzo di prove per interpello e testimoni,
espletata consulenza tecnica di ufficio ed acquisita
documentazione, furono decise dal tribunale con sentenza
1.6.04, con la quale, in estrema sintesi dei quindici capi
del relativo dispositivo, furono sostanzialmente accolte le
domande di risarcimento dei singoli danneggiati (FASMAT,
Tronu, Di Geronimo), ma non in danno delle assicuratrici di
altrui responsabilità, mentre queste furono condannate ora
al risarcimento del danno in favore del proprio assicurato
(Milano in favore di FASMAT), ora alla rivalsa di quanto
gli assicurati avrebbero dovuto in proprio corrispondere ai
danneggiati (Milano e Fondiaria in favore, rispettivamente,
di FASMAT e MI.PA ., queste ultime condannate, entrambe, al
risarcimento dei danni patiti dal Tronu e dal Di Maio e, la
seconda, a quelli della prima).
Avverso tale sentenza interposero separati appelli la
Fondiaria SAI spa, la Milano Ass.ni e Salvatore Tronu;
resistettero Savino Massari – quale titolare della ditta
FASMAT – ed il Di Maio, ma pure, non costituitasi la MI.PA . ,(311
srl,

la

curatela

del

fallimento

di

quest’ultima;
4

quale quest’ultima negò l’ammissibilità di una domanda

dispiegarono appelli incidentali la Milano spa, il Di Maio
ed il Tronu.
La corte di appello di Campobasso,

riunite le

impugnazioni, per quel che qui ancora rileva: escluse
essere mai stata proposta valida domanda di garanzia da

assicuratrice Fondiaria ass.ni e pertanto annullò le
condanne pronunciate ai danni di quest’ultima in favore
della prima; ritenne validamente instaurato sia il rapporto
processuale con la curatela del fallimento della MI.PA . srl
che quello con quest’ultima in proprio, nonostante l’evento
interruttivo non fosse mai stato dichiarato nel corso del
giudizio di primo grado; ritenne preclusa da giudicato
interno – anche in rapporto al tempo di formulazione della
relativa difesa da parte della curatela – l’improponibilità
delle domande proposte contro la MI.PA ., ormai fallita.
Avverso tale sentenza, pubblicata il 19.9.06 con il n.
252, ricorre oggi la Curatela del fallimento MI.PA . srl,
affidandosi a due motivi; resistono, con separati
controricorsi, Salvatore Tronu e Savino Massari, quale
titolare della FASMAT, il quale dispiega altresì ricorso
incidentale, articolato su tre motivi.
Motivi della decisione

2. In via preliminare, i due ricorsi, siccome proposti
contro la medesima sentenza, vanno riuniti, ai sensi
dell’art. 335 cod. proc. civ.
Sempre in via preliminare, non rileva l’omessa notifica
del ricorso introduttivo anche al procuratore, costituito
in secondo grado, della Fondiaria SAI spa: infatti, ritiene
5

parte dell’assicurata MI.PA . srl nei confronti della sua

fermamente il Collegio di ribadire che

il diritto

fondamentale ad una ragionevole durata del processo

(derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e
13 della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle
impone al giudice

artt. 175 e 127 cod. proc. civ.)

(ai sensi degli

di evitare e impedire

comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita
definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che
si traducono in un inutile dispendio di attività
processuali e formalità superflue perché non giustificate
dalla struttura dialettica del processo e, in particolare,
dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio,
espresso dall’art. 101 cod. proc. civ., da sostanziali
garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla
partecipazione al processo in condizioni di parità (art.
111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica
l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti:
sicché è superfluo ordinare la rinnovazione della notifica
del ricorso ad un litisconsorte necessario, quando il
ricorso si palesi manifestamente inammissibile

(cfr., per

il caso di inammissibilità del ricorso, Cass. Sez. Un.,
ord. 22 marzo 2010, n. 6826; fra le tante ad essa seguite:
Cass. 18 gennaio 2012, n. 690; Cass. 25 gennaio 2012, n.
1032; Cass., ord. 8 novembre 2012, n. 19317).
Ciò posto, va premesso pure che, essendo la sentenza
impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla
fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua
abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di
cui all’art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009,

6

libertà fondamentali)

n. 69) l’art. 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la
rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass.
27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887;
Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
2.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360
cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità,

da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice
di merito; b) la sintetica indicazione della regola di
diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di
diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta
applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez.
Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio
2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8
novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla
ratio decidendi,

perché, in contrario, difetterebbero di

decisività (sulla necessità della pertinenza del quesito,
per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347;
Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre
2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
2.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno
formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono
consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo
del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente
ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo,
chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a /
,

7

giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n.
16002; Cass. Sez. Un., 1 0 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30
dicembre 2009, ord. n. 27680);
2.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione,
nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme

imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata
dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte:
Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre
2011, n. 27649).
3. Tutto ciò posto, può procedersi ad esaminare
partitamente i singoli motivi di impugnazione.
3.1. La ricorrente principale Curatela del fallimento
della MI.PA . srl articola due motivi:
– un primo, di “violazione o comunque falsa applicazione
di norme di diritto ed in particolare dell’art. 330 cpc e
degli artt. 299 e 300 cpc”, che conclude col seguente
quesito:

dica la Ecc.ma Corte di Cassazione se in ipotesi

di fallimento della parte nel corso del giudizio di I °
grado senza che il fallimento stesso sia stato dichiarato
dal procuratore costituito e quindi senza che vi sia stata
interruzione e successiva riassunzione del giudizio, la
notifica dell’appello al curatore del fallimento sia da
ritenersi inesistente e comunque nulla o invalida dovendo
l’appello essere notificato al procuratore costituito,
circostanza che avrebbe comunque consentito l’emissione di
una sentenza non inutiliter data ma assolutamente efficace
nei confronti del fallito tornato in bonis;

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di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla

un secondo, di “violazione o comunque falsa
applicazione di norme di diritto ed in particolare
dell’art. 329 cpc anche in relazione all’art. 52 R.D.
16/3/1942 n. 267 (L.Fall.)”, che conclude col seguente
quesito: Dica la Ecc.ma Corte adita se l’accertamento di un

debba ritenersi improcedibile ai sensi degli artt. 52 e 92
e segg. della Legge Fallimentare e se la relativa questione
possa essere sollevata e rilevata anche d’ufficio dal
giudice di appello, quando il primo grado si è svolto solo
nel confronti della parte poi dichiarata fallita ed il
fallimento è stato chiamato in giudizio solo con l’atto di
appello, senza che peraltro in precedenza vi sia stata
alcuna declaratoria del fallimento stesso e alcun atto
interruttivo.

3.2. Dal canto loro, il controricorrente Savino Massari,
titolare della FASMAT, dopo avere aderito (pag. XI del
controricorso, sesto rigo dalla fine) alla richiesta di
annullamento della sentenza della corte territoriale,
dispiega tre motivi di ricorso incidentale:
un primo

(di “violazione o,

comunque,

falsa

applicazione di norme di diritto ed in particolare
dell’art. 88 c.p.c. e dell’art. 1917 cod. civ.”), che
conclude col seguente quesito:

accerti e dica l’Ecc.ma

Corte di Cassazione se nell’ipotesi in cui una Compagnia di
Assicurazione ponga in essere, d’intesa o meno col proprio
assicurato, un comportamento processuale che si dimostri in
danno della parte che ne potrebbe essere beneficiata, si

9

credito in sede ordinaria anziché in sede fallimentare

-

può o si deve configurare una responsabilità solidale o una
garanzia impropria;

un secondo (di “violazione o, comunque, falsa

applicazione di norme di diritto ed in particolare
dell’art. 106 c.p.c. e dell’art. 1917, IV ° comma cod. civ.

comma cod. civ.

erronea motivazione circa un fatto

decisivo per il giudizio”), che conclude col solo seguente
quesito:

accerti e dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se

nell’ipotesi in cui una Compagnia di Assicurazione, già
chiamata in manleva per una delle parti in causa, dopo
avere accettato il contraddittorio nei confronti di tutti i
controinteressati dell’unico processo, possa essere
considerata in manleva nei confronti degli altri e,
comunque, tenuta a rivalere il proprio assicurato dei danni
subiti dal terzi;
– un terzo (di “erronea motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio e violazione o, comunque, falsa
applicazione di norme di diritto ed in particolare
dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c.”), che
conclude coi seguenti quesiti:

l) accerti e dica l’Ecc.ma

Corte di Cassazione se vi è difetto o errore di motivazione
nell’ipotesi in cui si ritiene che una Compagnia di
Assicurazione – già chiamata in manleva dal proprio
assicurato per una delle parti in causa, dopo aver
accettato il contraddittorio nei confronti di tutti gli
altri soggetti interessati dell’unico processo

non può

dolersi della quantificazione dei danni pretesi da uno dei
terzi quando la sentenza preannuncia che l’Assicurazione
10

in considerazione di quanto previsto dall’art. 1932, II °

nulla deve rivale[re] al proprio assicurato; 2) accerti e
dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nella sentenza
impugnata vi è violazione dell’art. 2697 cod. civ. e
dell’art. 115 c.p.c. allorquando si riconosce e si
quantifica il danno lamentato dalla ditta Di Geronimo
Giovanni di Di Maio Elia senza che questi abbia dato sul

punto prova alcuna.
3.3. A sua volta, il controricorrente Salvatore Tronu:
contesta la fondatezza del primo motivo di ricorso
principale, ritenendo valida ed efficace la notifica
dell’atto di impugnazione alla curatela di una parte il cui
fallimento non sia stato dichiarato fino a quel momento;
contesta il secondo motivo, ritenendo inadempiuto onere di
controparte il dispiegamento di impugnazione specifica
quanto alla improcedibilità delle domande da sopravvenuto
fallimento.
4. Vanno esaminati dapprima i motivi addotti a sostegno
del ricorso principale.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta
l’irritualità del dispiegamento dell’atto di impugnazione
nei suoi propri confronti, nonostante la parte processuale
in primo grado, cioè la MI.PA . srl, avesse perso la sua
capacità per l’intervenuta declaratoria di fallimento.
Orbene, non attiene alla capacità processuale, ma al
diverso e successivo profilo della proseguibilità o
procedibilità della domanda dispiegata contro il fallito,
la circostanza che la pretesa, in origine rivolta nei
confronti dell’imprenditore ancora in bonis,

sia oggetto di
((1: 1
11

un gravame della condanna di quest’ultimo notificato alla
Curatela.
4.1.1. Va premesso che la giurisprudenza di questa
Suprema Corte è ormai consolidata (a partire da Cass. Sez.
Un. 28 luglio 2005, n. 15783) nel senso che qualora uno

processo si verifichi nel corso del giudizio di primo
grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima
della scadenza dei termini per il deposito delle comparse
conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del
nuovo testo dell’art. 190 cod. proc. civ.), e tale evento
non venga dichiarato né notificato dal procuratore della
parte cui esso si riferisce a norma dell’art. 300 cod.
proc. civ., il giudizio di impugnazione deve essere
comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente
legittimati.
Tale conclusione è raggiunta alla stregua dell’art. 328
cod. proc. civ., dal quale si desume la volontà del
legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle
variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai
fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione,
con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento
verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante
la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato.
Limitatamente, peraltro, ai processi pendenti alla data del
30 aprile 1995 – rispetto ai quali non opera la possibilità
di sanatoria dell’eventuale errore incolpevole
nell’individuazione del soggetto nei cui confronti il
potere di impugnazione deve essere esercitato, offerta dal
12

degli eventi idonei a determinare l’interruzione del

nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ., come sostituito
dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, nella parte in cui
consente la rinnovazione, con efficacia

ex nunc,

della

citazione (e dell’impugnazione) in relazione alle nullità
riferibili ai nn. l e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ. – il

nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato
alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo
criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che
propone l’impugnazione, essendo tale interpretazione
l’unica compatibile con la garanzia costituzionale del
diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Nello stesso senso, anche al di fuori della specifica
ipotesi del raggiungimento della maggiore età della
controparte già minorenne, opera la morte della parte
(Cass. 29 agosto 2011, n. 17692), oppure la cancellazione
della società dal registro delle imprese (Cass. Sez. Un. 12
marzo 2013, n. 6060; Cass. 22 marzo 2013, n. 7277).
4.1.2. Deve ritenersi in tal modo composta l’antinomia
tra le differenti e precedenti opzioni ricostruttive:
– una prima, secondo la quale è inammissibile l’appello,
avverso la sentenza resa anche nei confronti di un
imprenditore nelle more colpito da fallimento non
ritualmente dichiarato, proposto con atto notificato alla
curatela del fallimento (Cass. 27 aprile 1999, n. 4195);
– un’altra, secondo la quale tale notifica è solo nulla
e quindi sanabile (Cass. 18 gennaio 2002, n. 518);
– un’altra ancora, a mente della quale unico legittimo
destinatario della

vocatio in ius

in ordine alla

13 (il

dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del

-

impugnazione è proprio il curatore, ai sensi dell’art. 43
legge fall. (Cass. 17 febbraio 1998, n. 1696; Cass. 27
marzo 2003, n. 4547): il quale, anzi, non può – proprio per
questo

dolersi

della

notificazione

dell’atto

di

impugnazione nei suoi confronti o dedurre, per ciò solo,
l’irritualità della medesima.
4.1.3.

Sulla

base

di

tale

principio

generale,

correttamente l’appello avverso una sentenza recante
statuizioni di condanna nei confronti di un imprenditore
fallito nelle more – ma senza che vi sia stata in primo
grado rituale dichiarazione dell’evento interruttivo – è
notificata al suo curatore, siccome unico soggetto
legittimato, in quel momento, a stare in giudizio in ordine
all’oggetto di detta condanna.

4.1.4. Pertanto,
principale, essendo

è infondato il primo motivo di ricorso
stata l’impugnazione

proposta appunto

contro la curatela della parte fallita in primo grado, ma
con evento non dichiarato in quella sede.
4.2. Quanto al secondo motivo di ricorso principale, va
ricordato come il principio di irrilevanza degli eventi
interruttivi verificatisi dopo la chiusura dell’udienza di
discussione o comunque non dichiarati, attiene alla sola
possibilità dell’interruzione del processo, non anche al
distinto profilo dell’opponibilità al fallimento della
decisione che venga comunque pronunciata nei confronti del
debitore, perché l’inopponibilità deriva dalla perdita di
legittimazione processuale di questo, che si verifica in
modo del tutto automatico, ai sensi dell’art. 43 legge
fall., per effetto della dichiarazione di fallimento.
14

4.2.1. Al riguardo, è radicalmente ed irrimediabilmente
inopponibile alla massa fallimentare qualunque condanna
pronunziata nei confronti di chi sia stato, nelle more tra
domanda e sentenza e senza dichiarazione del relativo
evento interruttivo, dichiarato fallito

2010, n. 24963); infatti,

(Cass. 10 dicembre

in difetto di tale dichiarazione

o notificazione il processo prosegue tra le parti
originarie e l’eventuale sentenza pronunciata nei confronti
del fallito non è nulla, né inutiliter data, bensì soltanto
inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali il
giudizio in tal modo proseguito costituisce res inter allos

acta (Cass. 20 giugno 2000, n. 8363; Cass. 22 giugno 2001,

n. 8530; Cass. 6 luglio 2001, n. 9164; Cass. 4 aprile 2013,
n. 8238); e restano salve la proseguibilità della stessa,
ma solo nei confronti del fallito, ovvero l’opponibilità
della pronuncia in danno di quest’ultimo, ove risulti in
modo inequivocabile che la sua controparte abbia inteso
proseguirla per azionarla nei confronti di lui, ove tornato

in bonis (tra le molte, v. Cass. 28 giugno 2006, n. 14981).

Infatti, nel sistema delineato dagli artt. 52 e 95 legge
fall., qualsiasi ragione di credito nei confronti della
procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto
della regola del concorso, con le forme dell’insinuazione
al passivo: qualora pertanto, a seguito della dichiarazione
di fallimento, la parte che aveva agito in giudizio nei
confronti del debitore coltivi la propria azione nei
confronti del curatore, subentrato all’originaria parte ai
sensi dell’art. 43 legge fall., la domanda dev’essere
dichiarata improcedibile, in quanto inidonea a condurre ad
15

una pronuncia di merito opponibile alla massa, a meno che
il creditore non dichiari espressamente di voler utilizzare
tale titolo, dopo la chiusura del fallimento, per agire
esecutivamente nei confronti del debitore ritornato
bonis

in

(giurisprudenza fermissima; da ultimo: Cass. 22

Cass. 26 giugno 2012, n. 10640).
4.2.2. Tale improcedibilità, poi, non soggiace ad alcun
limite preclusivo, se non – a tutto concedere e per mera
ipotesi – il giudicato interno, correttamente inteso.
Infatti, le questioni concernenti l’autorità giudiziaria
dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei
confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche
se impropriamente formulate in termini di competenza, sono,
in realtà (e prima ancora), questioni attinenti al rito.
Pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle
forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta, invece,
al regime del concorso, il giudice (erroneamente) adito è
tenuto a dichiarare (non la propria incompetenza ma)
l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda,
siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto
come necessario dalla legge, trovandosi in presenza di una
vicenda litis ingressus impediens,

concettualmente distinta

da un’eccezione d’incompetenza. Pertanto, la relativa
questione, non solo non soggiace alla preclusione prevista
dall’art. 38 primo comma cod. proc. civ. (nella sua
formulazione in vigore dopo il 30 aprile 1995) per le
eccezioni di incompetenza, ma può essere dedotta o rilevata
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 23
16

dicembre 2005, n. 28481; Cass. 5 agosto 2011, n. 17035;

aprile 2003, n. 6475; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5063;
sulla prima parte, v. pure Cass. 12 maggio 2011, n. 10485).
4.2.3. E di giudicato interno non può parlarsi in alcun
modo nella fattispecie, perché non vi è stata nessuna
pronuncia, nemmeno implicita, sulla proseguibilità delle

curatela (o sulla conseguente opponibilità delle condanne
della prima anche alla massa fallimentare): nella sentenza
oggetto di appello la relativa questione non era stata
affrontata o presupposta, nemmeno per implicito, né avrebbe
potuto esserlo, visto che l’evento non era stato dedotto neppure irritualmente, a quanto consta – nel corso del
giudizio di primo grado ed era restato del tutto ignoto al
decidente. Mentre non vi è alcun onere di deduzione
dell’evento stesso entro termini perentori o comunque
prestabiliti, attesa la ricostruzione della stessa sua
dichiarazione nei termini di cui

sub

4.2.2, quale

sollecitazione del riscontro ufficioso del rito
indefettibilmente applicabile.
4.2.4. Pertanto, erra la corte territoriale quando
esclude la ritualità (“proponibilità”) dell’eccezione di
improponibilità (o,

recte,

improcedibilità, visto che le

domande erano state ritualmente dispiegate al momento
dell’instaurazione del giudizio) da sopravvenuto fallimento
non dichiarato in primo grado; e tanto in applicazione del
seguente principio di diritto:

la non proseguibilità di una

domanda in origine dispiegata nei confronti di un soggetto
poi fallito, il cui fallimento non sia stato dichiarato nel
corso del giudizio di primo grado, integra, siccome vicenda

domande contro la MI.PA . srl anche nei confronti della

ingressus litis impediens,

questione legittimamente

proponibile dalla curatela in sede di appello e senza
alcuna preclusione, non potendo formarsi giudicato, nemmeno
implicito, su di un fatto o di una questione che non sono
stati in alcun modo affrontati, né presupposti, né presi

5. Quanto ai motivi di ricorso incidentale, in
applicazione dei principi ricordati sopra al paragrafo 2:
5.1. è inammissibile il primo motivo, perché assistito
da quesito di diritto assolutamente generico ed astratto,
privo non solo di qualsiasi riferimento al caso concreto,
ma articolato sulla prospettazione di una violata

regula

luris dal tenore talmente indistinto e vago da risultare

evanescente e del tutto insuscettibile di descrivere una
fattispecie astratta; e tanto a prescindere
dall’insuperabile rilievo dell’impossibilità di configurare
la legittimazione passiva in una domanda mai formulata da
colui che vi era legittimato (correttamente essendo stata
esclusa l’azione diretta del danneggiato nei confronti
dell’assicuratrice per i danni, al di fuori del campo della
responsabilità civile autoveicoli), solo in dipendenza
delle modalità tecniche di difesa in cause connesse e
riunite, ognuna delle quali mantiene pur sempre la sua
piena autonomia ed invidivualità: e come se fosse possibile
anche solo ipotizzare il dispiegamento di una domanda
giudiziale per facta concludentia;
5.2. è inammissibile la doglianza di vizio motivazionale
formulata, in uno ad altra, nel secondo motivo, perché non

18

comunque in considerazione, dalla sentenza appellata.

assistita da alcun autonomo momento di riepilogo o sintesi,
tanto meno dai rigorosi requisiti di cui al paragrafo 2.2;
5.3. è inammissibile la doglianza di violazione di norme
di diritto, formulata anch’essa col secondo motivo, per
l’eccessiva genericità della formulazione della

regula

riferimenti alla manleva, all’accettazione del
contraddittorio, ai controinteressati, o ad un obbligo di
rivalsa; ed anche in tal caso a prescindere dalla
lapalissiana impossibilità di configurare la legittimazione
passiva di manleva o rivalsa in una domanda mai formulata
da colui che vi era legittimato;
5.4. è inammissibile la duplice doglianza di vizio
motivazionale di cui al terzo motivo: in primo luogo,
perché i momenti di sintesi o riepilogo, così formulati,
sono con tutta evidenza privi dei rigorosi requisiti di cui
al precedente paragrafo 2.2; in secondo luogo, perché la
doglianza di cui al primo profilo pare involgere, più che
altro, una questione di interesse ad impugnare, che non è con tutta ed immediata evidenza – questione di fatto,
mentre quella di cui al secondo profilo chiede, con diretto
ed inammissibile interpello, a questa Corte di verificare
la completezza o meno del materiale probatorio sulla
specifica domanda di una delle parti (il Di Maio), senza
oltretutto riportare in ricorso compiutamente i passaggi
degli atti di merito in cui la tesi dell’incompletezza od
insussistenza della prova del danno di quella era stata, da
esso ricorrente (e non dalla litisconsorte Milano, la
previsione del rigetto delle domande nei cui confronti bene
19

iuris che si assume violata, restando insanabilmente vaghi

é

ha eliso l’interesse all’accertamento della relativa
doglianza, formulata soltanto dall’assicuratrice).
6. In definitiva, è infondato il primo motivo di ricorso
principale e sono inammissibili tutti i motivi di quello
incidentale; è fondato, invece, il secondo motivo di

tale accolta censura, la gravata sentenza va cassata.
In merito all’eccezione di improponibilità di ogni
domanda nei confronti della Curatela MI.PA . srl, ritiene
tuttavia il Collegio possibile pronunciare nel merito, non
apparendo necessari altri accertamenti di fatto. Infatti,
l’eccezione stessa è fondata, per quanto argomentato al
punto 4.2, non risultando essere mai stata dispiegata
alcuna domanda nei confronti dell’imprenditrice fallita per
il caso che essa torni

in bonis:

e va dichiarata allora

l’improcedibilità (essendo il fallimento sopravvenuto alla
rituale instaurazione della domanda dell’imprenditrice
quando era ancora in bonis) di qualsiasi domanda dispiegata
nel corso del giudizio nei confronti della Curatela della
MI.PA . srl.
La soccombenza reciproca, benché parziale, nonché la
considerazione della complessiva condotta delle parti, per
come ha la Curatela addotto in giudizio l’evento
interruttivo ed argomentato sulle sue conseguenze sul
processo in corso, integra, ad avviso del Collegio, un
giusto motivo di integrale compensazione delle spese del
secondo grado e del presente giudizio di legittimità.
ID

P.

Q.

M.

.

20

ricorso principale, tanto che, sul punto e limitatamente a

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il
ricorso incidentale e, del ricorso principale, rigetta il
primo motivo ed accoglie il secondo; cassa la gravata
sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel
merito, dichiara improcedibile qualsiasi domanda dispiegata

MI.PA . srl; dichiara compensate tra tutte le parti le spese
del secondo grado e quelle del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 26 giugno 2013.

nel corso del giudizio nei confronti della Curatela della

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