Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19975 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 23/09/2020), n.19975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 200-2015 proposto da:

P.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati DANTE STABILE e ANNA AMANTEA;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SALERNO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 24/06/2014 R.G.N. 35/2012.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Salerno ha respinto l’appello di P.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti dell’Università degli Studi di Salerno, volto ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle patologie dichiarate nella domanda del 4 giugno 1997 e l’accertamento del diritto a percepire l’equo indennizzo nella misura prevista dal D.P.R. n. 349 del 1994, art. 3;

2. la Corte territoriale ha ritenuto che quest’ultima prestazione non potesse essere riconosciuta in difetto di domanda amministrativa ed ha rilevato al riguardo che l’istanza con la quale era stato attivato il procedimento non conteneva la richiesta di equo indennizzo, sicchè non assumeva rilievo la circostanza che il decreto redatto dal Direttore Amministrativo dell’Università ed il giudizio espresso dalla Commissione Medica si riferissero anche al beneficio non espressamente domandato;

3. il giudice d’appello ha condiviso, inoltre, le conclusioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio “attesa la doviziosità delle argomentazioni scientifiche militanti a sostegno del giudizio della C.M.O. improduttivo di positive conseguenze per la petente”;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.A. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, al quale l’Università ha opposto difese con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, art. 3, comma 3 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 21 quater e 21 quinquies e rileva che la domanda non poteva essere rigettata, in quanto fondata sul provvedimento del Direttore amministrativo n. 2369/1999 con il quale era stato dato atto dell’avvenuta presentazione dell’istanza nei termini di legge ed il diritto alla prestazione era stato espressamente riconosciuto;

1.1. aggiunge che la tesi dell’Università, accolta dai giudici di merito, secondo cui un intero procedimento amministrativo sarebbe stato iniziato, svolto e concluso in assenza di impulso della parte è smentita dal chiaro tenore letterale del provvedimento che, ove ritenuto illegittimo, doveva essere revocato attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela;

2. il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, innanzitutto perchè formulato senza il necessario rispetto dell’onere di “specifica indicazione” imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6;

2.1. il Collegio ribadisce e fa proprio il principio di diritto recentemente enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui devono essere dichiarate inammissibili le “censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019);

2.2. gli oneri sopra indicati non sono stati assolti dalla P., la quale si è limitata a trascrivere nell’atto solo un minimo stralcio del Decreto 12 maggio 1999, n. 2369 senza fornire alcuna indicazione in merito ai tempi ed alle modalità di acquisizione e, quindi, senza porre la Corte in grado di verificare ex actis la decisività del documento e di procedere al suo esame;

3. va aggiunto che il giudice d’appello ha risolto la controversia in conformità al principio di diritto da tempo enunciato da questa Corte secondo cui il procedimento di riconoscimento della dipendenza dell’infermità o lesione da causa di servizio è prodromico e autonomo rispetto a quello di concessione dei consequenziali benefici di legge, precedendolo logicamente e cronologicamente, sicchè l’amministrazione, che abbia riconosciuto la dipendenza da causa di servizio, non può pronunciarsi d’ufficio sulla concessione dell’equo indennizzo, che presuppone necessariamente l’espressa domanda dell’interessato (Cass. n. 13222/2013; Cass. n. 16045/2004);

3.1. la ricorrente, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, muove contestazioni che non sono volte a censurare l’interpretazione data al D.P.R. n. 349 del 1994, art. 3, quanto alla doverosità della domanda e i risolvono in una critica all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale, la quale, all’esito dell’esame della documentazione prodotta, ha escluso che la prestazione in discussione fosse stata espressamente richiesta dall’interessata;

3.2. oltre tutto la censura, sebbene persegua l’intento di dimostrare l’errore commesso dal giudice d’appello nella valutazione dell’istanza, di quest’ultima, inammissibilmente, non riporta il contenuto;

4. infine rileva il Collegio che il giudice d’appello ha fondato la pronuncia di rigetto anche sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e la statuizione non è stata in alcun modo censurata dalla P.;

4.1. costituisce ius receptum il principio secondo cui “la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, nè contiene un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso” (Cass. n. 10815/2019);

5. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00 per competenze professionali oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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