Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19974 del 23/09/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 19974 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: BERNABAI RENATO

Data pubblicazione: 23/09/2014

SENTENZA

sul ricorso 8778-2013 proposto da:
PROVINCIA DI RIETI,

in persona del Commissario

2014

Straordinario pro-tempore, elettivamente domiciliata in

357

ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato
GAROFALO LUIGI, che la rappresenta e difende, per delega
a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

ACEA S.P.A., in persona del Procuratore speciale protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE
MERCATI 51, presso lo studio degli avvocati ANTONIO
BRIGUGLIO, ALESSANDRA SIRACUSANO, che la rappresentano e

– controri corrente –

avverso la sentenza n. 199/2012 del TRIBUNALE SUPERIORE
DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 17/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/07/2014 dal Consigliere Dott. RENATO
BERNABAI;
uditi

gli

avvocati

Simona

SCATOLA per delega

dell’avvocato Luigi Garofalo, Alessandra SIRACUSANO;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

difendono, per delega a margine del controricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato il 20 ottobre 2011 l’ACEA s.p.a.
conveniva la Provincia di Rieti dinanzi al Tribunale Superiore delle
acque pubbliche per ottenere l’annullamento di quattro ingiunzioni

Provincia a scopo di ripopolamento e recupero faunistico,
nell’ambito di quattro concessioni di derivazione idrica dei fiumi
Peschiera e Le Capore, per uso idroelettrico e potabile, nei comuni
di Cittaducale, Frasso Sabino, Casaprota e Roma; nonché
l’annullamento di tutti gli atti presupposti e consequenziali, fra cui
la delibera 27 dicembre 2010 n.46 del consiglio provinciale di Rieti
che aveva approvato il “Regolamento per la quantificazione degli
obblighi ittiogenici nelle derivazioni di acque pubbliche”.

Costituitasi ritualmente, la Provincia di Rieti eccepiva, in via
pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del tribunale adito e la
tardività del ricorso; e nel merito, l’infondatezza della domanda.
Rigettata l’istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti
per mancanza del requisito del pericolum in mora, il Tribunale
Superiore delle acque pubbliche, con sentenza 17 dicembre 2012,
disattese le eccezioni preliminari, annullava, in parte, i
provvedimenti in questione.
Motivava
– che la ricorrente non aveva impugnato solo le ingiunzioni di
pagamento – in tal modo, circoscrivendo la controversia a diritti
patrimoniali, la cui cognizione sarebbe appartenuta, in effetti, al
Tribunale regionale delle acque pubbliche – sibbene aveva investito
anche il regolamento presupposto, approvato con la delibera

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di pagamento del controvalore di materiale ittico, immesso dalla

provinciale: con la conseguenza che la controversia andava invece
devoluta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, quale giudice
amministrativo specializzato ratione materiae;
– che neppure era fondata l’altra eccezione pregiudiziale di
tardività, in quanto l’interesse all’impugnazione del regolamento era

ingiunzioni di pagamento, comunicate il 4 luglio 2011 e
tempestivamente opposte, tenuto conto della sospensione feriale
dei termini processuali;
– che, nel merito, la delibera era stata emessa in assenza di
una base normativa che giustificasse un prelievo obbligatorio,
necessariamente sostitutivo dell’obbligo di ripopolamento e
recupero della fauna ittica;
– che per quanto le norme primarie di cui al regio decreto 8
ottobre 1931 n.1604 (Testo unico della pesca) ed alla legge della
regione Lazio 7 dicembre 1990 n. 87 (Norme per la tutela del
patrimonio ittico e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle
acque interne del Lazio) non escludessero forme di intervento

sostitutivo della provincia in caso di omesso adempimento
dell’obbligo ittiogienico da parte del concessionario, tuttavia tali
interventi, per quanto discrezionali, dovevano essere improntati a
criteri di ragionevolezza e proporzionalità e non potevano tradursi
in potestà impositiva, eccedente il rimborso dei costi di ciascuno
specifico intervento operato dalla provincia: eventualmente a titolo
di ausilio per i concessionari impossibilitati ad adempiere, in
applicazione del principio di sussidiarietà verticale.
Avverso la sentenza, depositata il 17 dicembre 2012 ed il cui
dispositivo era notificato in data 8 febbraio 2013, la Provincia di

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divenuto attuale solo una volta portato ad esecuzione con le

Rieti proponeva ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione,
affidato a sette motivi, notificato il 25 marzo 2013 ed ulteriormente
illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile.
Deduceva
1)

l’incompetenza del Tribunale superiore delle acque

pubbliche, ai sensi dell’art. 201 del regio decreto 11 dicembre 1933
n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e
impianti elettrici), nonché la violazione degli articoli 140 e 143 della
stessa legge e dell’art.5 legge 20 marzo 1865 n. 2248

(Per

l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia) allegato E), nella
ritenuta competenza del Tribunale Superiore delle acque pubbliche
in una controversia concernenti diritti patrimoniali, devoluta invece
alla cognizione del Tribunale Regionale delle acque pubbliche;
2) l’incompetenza, ai sensi dell’art. 201, regio decreto 11
dicembre 1933, n. 1775, e la violazione di legge perché la critica
mossa contro il provvedimento amministrativo atteneva alla
violazione del principio di legalità di cui all’art. 23 della Costituzione
in un’ipotesi di carenza assoluta di potere in capo all’ente pubblico,
lesiva di diritti soggettivi e non di interessi legittimi.
3) la violazione degli articoli 143, regio decreto 11 dicembre
1933 n.1775 e 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267
(T.U. Enti locali)

per omesso rilievo dell’inammissibilità, per

tardività, dell’impugnazione del regolamento provinciale approvato
con delibera n.46/2010;
4) la violazione degli articoli 143 e 208, regio decreto 11
dicembre 1933 n.1775 per omessa impugnazione dell’atto di
approvazione dello schema di provvedimento per il pagamento

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• dell’obbligo e della sua successiva ratifica, quali atti presupposti da
annullare;
5) la violazione di legge nel diniego di una base normativa che
giustificasse, nell’ambito di un disciplinare di concessione, un
prelievo obbligatorio, necessariamente sostitutivo dell’obbligo

6) la violazione dell’art.10, regio decreto 8 ottobre 1931, n.
1604, nonché dell’art. 21, terzo comma, legge regionale Lazio 7
dicembre 1990, n.87 e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in
generale, nella ritenuta illegittimità della predeterminazione
numeraria dell’obbligo di ripopolamento ittico.
7) la violazione dell’art.208 del regio decreto 11 dicembre
1933 n.1775, della legge regionale Lazio 7 dicembre 1990 n.87 e
dell’art. 132 cod. proc. civ. per contraddittorietà della motivazione,
in quanto il Tribunale Superiore delle acque pubbliche aveva
affermato l’illegittimità di forme di intervento sostitutivo della
Provincia nell’ipotesi patologica di gestione da parte concessionario
dell’obbligo ittiogenico a suo carico.
Resisteva con controricorso l’Acea s.p.a.
All’udienza dell’i luglio 2014 il Procuratore generale e i
difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in
epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato.
Come esattamente statuito dal giudice di prime cure,
l’eccezione di difetto di giurisdizione risulterebbe accoglibile se

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ittiogenico;

l’Acea s.p.a. si fosse limitata ad impugnare le ingiunzioni di
pagamento, di pretta natura patrimoniale e civilistica; come tali
devolute, quindi, alla cognizione del Tribunale Regionale delle
Acque pubbliche, giudice ordinario specializzato ratione materiae.
Per contro, essa ha impugnato in via diretta anche la delibera

regolamento per la quantificazione degli obblighi ittiogenici nella
derivazione di acque pubbliche: atto normativo secondario,
rientrante nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque
Pubbliche, in sede di legittimità. Al riguardo, si deve escludere che
si tratti di mera improprietà lessicale

dell’edictio actionis,

dal

momento che l’interpretazione complessiva della domanda fornita
dal T.S.A.P. riproduce correttamente il petitum sostanziale, sorretto
dall’interesse della concessionaria ad eliminare anche per il futuro
la fonte normativa dell’obbligazione accessoria al canone, all’origine
delle quattro ingiunzioni opposte.
Né vi era alcuna ragione per rendere necessitata l’opzione, pur
ammissibile in astratto, dell’impugnazione diretta delle ingiunzioni
dinanzi al T.r.a.p. per ottenerne la revoca, previo accertamento
incidentale dell’illegittimità dell’atto amministrativo, ai fini della sua
disapplicazione. Poiché la parte, con esercizio legittimo del diritto
potestativo di azione, ha impugnato in via diretta anche l’atto
presupposto, l’intera cognizione della controversia, inclusi i diritti
patrimoniali consequenziali, viene ad essere attratta dalla
cognizione del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo si censura l’incompetenza del T.S.A.P.,
ai sensi dell’art. 201, regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e la
violazione di legge.

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del consiglio provinciale di Rieti n.46/2010, di approvazione del

Il motivo è infondato.
Il regolamento impugnato era astrattamente idoneo ad
incidere sulla situazione soggettiva della parte privata, imponendo
una contribuzione illegittima, accessoria al canone di concessione
idrica. La sua caducazione giudiziale in termini di nullità, per
accertatane la natura di vera e propria tassa e non di prestazione
economica, a titolo di onere reale da convenzione privatistica – non
può importare ex post la carenza di giurisdizione del giudice
amministrativo, adito sulla base di una prospettazione prima facie
idonea a radicarne la competenza giurisdizionale.
Del resto, il difetto assoluto di attribuzione delineato in via
generale dall’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990 n.241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi) è configurabile solo

in casi, per lo più di scuola, in cui un atto non possa essere
radicalmente emanato dall’autorità amministrativa, in quanto priva
di alcun potere nel settore (Consiglio di Stato, sez.6, 31 ottobre
2013, n. 5266). Fuori di questo caso-limite, l’atto che sia stato
impugnato sotto il profilo alternativo dei consueti vizi di legittimità
dell’incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere – o con
formula onnicomprensiva, per violazione del principio di legalità rientra nella giurisdizione amministrativa. Il riparto di giurisdizione
è infatti soggetto a determinazione ex ante, sulla base della più o
meno articolata prospettazione della parte; e non ex post, all’esito
dell’accertamento giudiziale seguitone.
Anche il terzo motivo, con cui si lamenta l’omesso rilievo della
tardività dell’impugnazione del regolamento provinciale è infondato.

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carenza di potere impositivo nell’ente territoriale – una volta

È jus receptum che solo in caso di lesività immediata della
disposizione contenuta in un atto amministrativo generale, in danno
della posizione giuridica dei soggetti destinatari, l’impugnazione
debba essere immediata, osservato il termine di decadenza, senza
attendere l’adozione di atti applicativi (Consiglio di Stato, 29 aprile

Nelle altre ipotesi – e quindi per l’ordinario, in tema di fonti
normative secondarie di contenuto astratto – solo il verificarsi
dell’evento lesivo, discendente dall’applicazione in concreto di una
disposizione specifica, è idoneo al perfezionamento della fattispecie
pregiudizievole: dal cui verificarsi e dalla cui conoscenza decorre il
termine per l’impugnazione (Cass., sez.6, 19 luglio 1994 n.1240).
Il regolamento della Provincia di Rieti in questione rientra,
appunto, nel novero delle fonti secondarie – formalmente
amministrative, in quanto provenienti dalla Pubblica
amministrazione, ma in sostanza normative – produttive di
prescrizioni dotate dei requisiti dell’innovatività, generalità ed
astrattezza. Come tale, poteva quindi essere impugnato a fini di
annullamento – come accaduto nella specie – dinanzi al giudice
amministrativo, o dedotto, a fini di disapplicazione, dinanzi al
giudice ordinario, competente a sindacarne incidenter tantum la
legittimità, quale presupposto per la soluzione della controversia
attinente a diritti soggettivi.
Assume la ricorrente Provincia di Rieti che nel primo caso il
regolamento debba essere impugnato entro un termine perentorio
di decadenza, per essere definitivamente eliminato dal novero delle
fonti del diritto, con efficacia erga omnes.

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2003 n.2164; Consiglio di Stato, 7 dicembre 1994 n.1743).

Al riguardo si osserva, peraltro, che la vocazione normativa dei
regolamenti rende del tutto eccezionale l’ammissibilità di una
impugnativa diretta ed immediata: essa sarà possibile, secondo l’id
quod plerumque accidit,

allorché il regolamento assuma una

concreta dimensione lesiva, tale da determinare l’insorgere

discende la distinzione tra regolamenti-volizione preliminare (che
non realizzano un’incisione nella sfera giuridica dei destinatari,
stante il loro connotato di generalità e astrattezza) e regolamenti
volizione-azione, in grado invece di produrre

ex se

effetti

pregiudizievoli.
Nella fattispecie in esame solo le ingiunzioni di pagamento
hanno reso attuale l’interesse dell’Acea ad impugnare il
regolamento, da cui esse mutuavano il presupposto legale;
giustificando quindi l’impugnazione contestuale, nel rispetto di un
unico dies a quo: sotto il profilo che l’ annullamento dell’atto
normativo, con effetti erga omnes ed ex tunc ( in deroga al
principio secondo cui la sentenza ha effetto solo tra le parti),
avrebbe travolto anche gli atti di esecuzione (invalidità derivata).
Appare dunque corretta la statuizione del Tribunale Superiore
delle Acque Pubbliche secondo cui nessuna decadenza è maturata,
stante il rispetto del termine per l’opposizione alle ingiunzioni, non
più contestato dalla Provincia di Rieti.
Il quarto motivo, con cui si deduce l’omessa impugnazione
dello schema di provvedimento per il pagamento dell’obbligo,
nonché della sua successiva ratifica, è manifestamente infondato
trattandosi di atti interni alla sequenza procedimentale, senz’alcuna
autonoma rilevanza, né lesività nei confronti del concessionario.

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dell’interesse a ricorrere del soggetto. Da questa impostazione

Anche il quinto e sesto motivo, da trattare congiuntamente per
affinità di contenuto, sono infondati.
Le leggi regionali citate a sostegno dell’imposizione di
un’obbligazione pecuniaria per il ripopolamento ittico si limitano a
delegare alla Provincia le funzioni relative alla tutela, all’uso ed alla

specificamente riservate alla regione: art. 9
Province),

(Funzioni delle

secondo comma, lett. B) legge regionale Lazio 11

dicembre 1998 n.53 (Organizzazione regionale della difesa del
suolo in applicazione della legge 18 maggio 1989 n. 183); nonché a

disciplinare la gestione e tutela delle acque: art. 15 (Gestione e
tutela delle acque), legge 7 dicembre 1990 n.87 (Norme per la
tutela del patrimonio ittico e della disciplina dell’esercizio della
pesca nelle acque interne del Lazio). Competenze gestorie, queste,

che però non ricomprendono, né potrebbero, l’imposizione di
prestazioni pecuniarie, aventi natura giuridica di tassa piuttosto che
di obbligazioni accessorie al corrispettivo della concessione di
derivazione d’acqua.
Né vale invocare la clausola del disciplinare che contemplava
la possibilità delle autorità competenti per la tutela della fauna ittica
di prescrivere specifici obblighi a salvaguardia dell’ecosistema. Ciò
avrebbe comportato solo l’obbligazione di rimborso di costi di
ripopolamento ittico, mediante immissione di avannotti, in caso di
inadempimento del concessionario: rimborso, condizionato,
peraltro, nell’an, ad una positiva attività surrogatoria svolta dalla
Provincia – e cioè, al reale ripopolamento eseguito in luogo del
concessionario inadempiente – e, nel quantum, alla verifica dei
costi effettivi affrontati.

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valorizzazione delle risorse idriche, con esclusione delle funzioni

Per contro, la prescrizione impositiva in oggetto prescinde del
tutto dalla prestazione principale, avente ad oggetto un facere, a
carico del concessionario: rendendolo tenuto a pagare una somma
unilateralmente predeterminata, non oggetto di consensuale
accettazione ex adverso, ed indipendentemente da alcuna condotta

diretta dell’obbligazione principale di fare.
Anche l’art.10 del regio decreto 8 ottobre 1931 n. 1604, pure
invocato dalla ricorrente, si limita a prevedere che

“nelle

concessioni di derivazione d’acqua debbono prescriversie le opere
necessarie nell’interesse dell’industria della pesca”. Ma, si ripete, la

trasformazione di questa obbligazione di fare in obbligazione
pecuniaria – non subordinata alla concreta inadempienza del
concessionario ed altresì alla prova dell’avvenuta esecuzione del
ripopolamento da parte della Provincia – vale a configurare
l’imposizione oggetto delle ingiunzioni come vera e propria tassa;
la cui illegittimità non viene meno in ragione della sua
determinazione in base ad una formula matematica, rispondente a
parametri scientifici ed imparziali: perfino se più conveniente per il
concessionario stesso, in termini di costo, che non l’esecuzione
diretta del ripopolamento ittico. A prescindere dall’insondabilità, in
questa sede, di tale allegazione della ricorrente, resta infatti
preclusivo il rilievo che l’obbligazione di fare a carico del
concessionario, prevista dalla norma primaria, è insuscettibile di
conversione autoritativa in debito pecuniario, alla stregua di
un’obbligazione alternativa nell’interesse del creditore (art.1286
cod. civ.).

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omissiva, dato che era esclusa la possibilità stessa dell’esecuzione

Anche l’ultimo motivo è infondato, confondendo, ancora una
volta, la legittima ripetizione di costi sostenuti per effettuare, in via
vicariale, l’attività di ripopolamento ittico, in caso di inadempimento
dell’Acca, con la sua monetizzazione preventiva.
Il ricorso è dunque infondato e va respinto; con la

liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del
numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.
– Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3200,00, di cui euro
3000,00 per compenso, oltre le spese forfettarie e gli accessori di
legge;
Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia – T. U. SPESE DI
GIUSTIZIA),

art.13

(Importi),

comma 1 quater, introdotto

dall’art.1, comma 17, I. 24 dicembre 2012, n.228 (Legge di stabilità
2013).

Roma, 1 luglio 2014

conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio,

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