Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19973 del 30/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19973 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 7857-2010 proposto da:
MANELLI GIUSEPPE MNLGPP48TO6D761B, DI SUMMA ANNA
DSMNNA29D56D761N, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA BORGHESE 3, presso lo studio dell’avvocato
PESCE GIOVANNI, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato FILOMENO MARIO giusta delega
2013

in atti;
– ricorrenti –

1443
contro

MANELLI MICHELE MNLMHL51A02D761S in proprio e quale
rappresentante p.t. del CLUB TIRO A VOLO DIANA,

1

Data pubblicazione: 30/08/2013

elettivamente

domiciliato

in

ROMA,

presso

la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato TATARANO CARLO BRUNO giusta
delega in atti;
– controricorrente

di LECCE, depositata il 21/09/2009, R.G.N. 756/2007 e
758/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/06/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato GIOVANNI PESCE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

avverso la sentenza n. 349/2009 della CORTE D’APPELLO

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Giuseppe Manchi e Anna Di Summa hanno proposto ricorso per cassazione
contro il Club Tiro a Volo “Diana” e Michele Manchi avverso la sentenza del 21 settembre
2009, con la quale la Corte d’Appello di Lecce ha parzialmente riformato la sentenza resa
in primo grado inter partes dal Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Francavilla

incidentale degli intimati.
§2. La relativa controversia era stata introdotta contro Michele Manchi nel dicembre
1999 da Giuseppe Maneli e Anna Di Summa per ottenere la declaratoria della nullità o
l’annullamento o, subordinatamente, la declaratoria della risoluzione per inadempimento di
un contratto locativo dell’ l l maggio 1996 (sostitutivo di precedente contratto del 1°
febbraio 1982, che sarebbe dovuto scadere al 1° marzo 1997), stipulato — riguardo ad un
immobile, di cui i due Manelli erano comproprietari pro indiviso e la Di Summa
usufruttuaria di un terzo iure successionis di Donato Manchi – con Michele Manchi, legale
rappresentante del detto Club. Detto contratto era stato stipulato con destinazione “per
l’installazione e gestione di impianti sportivi per l’esercizio del tiro a volo” ed avente
durata dal 1° marzo 1996 al 12 marzo 2014, con canone annuo di lire 50.000. A
fondamento dell’azione di nullità ed annullamento veniva dedotto che essa era stata
determinata da artifici e raggiri del conduttore, consistiti nell’avere fatto credere che la
stipulazione era necessaria per ottenere benefici concessi dalla Regione Puglia per il
rimboschimento del fondo, che, poi, non era avvenuto. A fondamento dell’azione di
risoluzione veniva dedotto il mancato pagamento del canone.
La Di Summa formulava anche in via personale una domanda risarcitoria per asserite
offese arrecatele dal convenuto Manelli.
§2.1. Il Tribunale rigettava le domande di impugnativa del contratto, accoglieva
quella subordinata di risoluzione del contratto locativo e rigettava la domanda risarcitoria
della Di Summa.
§3. La sentenza della Corte territoriale ha confermato il rigetto delle domande di
impugnativa contrattuale e della detta domanda risarcitoria, ha riformato la sentenza di
prime cure ed ha rigettato la domanda di risoluzione quanto all’inadempimento del canone,
mentre ha reputato che a fondamento dell’azione di risoluzione non potessero essere
esaminati ulteriori inadempimenti che i locatori avevano fatto valere solo dopo la prima
udienza di trattazione.
Est. Cons. affaele Frasca

Fontana, provvedendo sull’appello principale di Michele Manchi nonché su quello

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

§4. Al ricorso, che prospetta dieci motivi, ha resistito con controricorso Michele
Manelli, in proprio e nella qualità di legale rappresentante del Club Tiro A Volo “Diana”.
§5. I ricorrenti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

“sull’annullamento del contratto locativo per dolo determinante” e sono illustrati
congiuntamente, si deduce: <>.
Il primo ed il secondo motivo, inerenti violazione di norme di diritto sono
inammissibili.
Invero nell’intera articolazione illustrativa dei tre motivi, che inizia con le ultime
cinque righe della pagina sette e termina alla pagina dodici non è svolta alcuna attività
assertiva e dimostrativa di come e perché la Corte territoriale avrebbe violato la norma
dell’art. 1439 c.c., oggetto del primo motivo, e quelle degli artt. 1362 e 1363 c.c., oggetto
del secondo.
Infatti, dopo che si è rilevato che la Corte territoriale ha confermato la decisione di
primo grado riguardo all’insussistenza della causa di annullabilità del contratto locativo e
si è osservato che Essa <> e che <>, nella successiva illustrazione si
rileva quanto segue:
a) l’art. 1439 c.c. non viene nemmeno evocato, se non del tutto indirettamente nella

penultima di due massime di sentenze di questa Corte, che vengono riprodotte in chiusura
dell’esposizione del motivo, massime, peraltro, che sono relative al concetto di

Est. Cons. taffae1e Frasca

§1. Con un primo gruppo di tre motivi, che vengono riferiti alla questione

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

determinanza del dolo e che in alcun modo vengono raccordate con la vicenda oggetto di
lite;
b) ne consegue che il lettore dell’illustrazione del motivo non vi coglie alcunché che
esprima expressis verbis un’attività di argomentazione della violazione della detta norma;
c) quanto agli artt. 1362 e 1363 c.c., l’attività dimostrativa della loro violazione si
risolve nella sola assertoria affermazione, enunciata immediatamente di seguito al passo
sopra riportato, che <>: ad essa non segue alcuna argomentazione diretta a
spiegare perché la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dei criteri ermeneutici
di cui a dette norme;
d) di seguito alla riportata affermazione, si scrive che <>;
e) in coerenza con l’affermazione ora riportata l’intera successiva esposizione si
articola dalla metà della pagina otto alla pagina undici nella rassegna di alcune risultanze
documentali e di due testimonianze e, quindi, si pone nell’ottica di volere esporre il vizio ai
sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ma rispetto ad esse non si svolge alcuna attività dimostrativa
diretta ad evidenziare come e perché il loro apprezzamento abbia inciso sulla ricostruzione
delle quaestiones facti ai fini della valutazione circa la sussistenza del dedotto dolo
determinante e lo abbia affatto nei modi supposti dall’art. 360 n. 5 c.p.c.;

J) in particolare, a pagina nove si dice che il contenuto di una lettera sottoscritta da un
legale di Michele Manelli sarebbe smentito da dichiarazioni rese dallo stesso Manelli in
sede di interrogatorio formale, ma non si spiega perché, mentre, dopo aver riferito il
contenuto della testimonianza Melillo ed aver rimarcato che il teste aveva affermato di
“pensare” che il contratto dovesse essere rinnovato per poter continuare l’attività sportiva
e, quindi, non un fatto storico, si dice che sarebbe <>
la sentenza impugnata per avere scritto che il teste Melillo aveva affermato che il contratto
era proseguito anche per continuare l’attività sportiva, ma non si fornisce alcuna
spiegazione di tale assunto e, soprattutto, non si dice perché l’eventuale venir meno
dell’utilizzazione della testimonianza potrebbe indurre conseguenze sul fatto decisivo
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Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

rappresentato dalla dedotta esistenza del dolo determinante, posto che l’onere di darne
dimostrazione incombeva sui ricorrenti e considerato, dunque, che detto venir meno non
giustificherebbe il ritenere dimostrato detto dolo;
g) analogamente una decisività in tal senso non emerge dall’invocazione della
testimonianza Di Summa, posto che non si fornisce alcuna spiegazione del perché essa
avrebbe dovuto giustificare l’inferenza del dedotto dolo determinante.
§1.2. L’articolazione della illustrazione del motivo nei termini qui riassunti evidenzia

che i due motivi ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. sono inammissibili alla stregua dei
seguenti principi di diritto: <>.
Anche in questo caso il motivo ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. è inammissibile,
perché non v’è alcuna attività assertiva che evochi come e perché le due norme sarebbero
state violate, atteso che di esse nell’illustrazione non v’è traccia.
Non solo.
Vi di discorre, poi, della presupposizione, ma senza che alla sua invocazione
corrisponda alcuna indicazione delle norme alla stregua del quale essa avrebbe dovuto
essere ritenuta rilevante.
Inoltre, dopo avere assunto l’affermazione della Corte territoriale che non vi fosse
stata una conclusione del contratto nella presupposizione del finanziamento regionale per
quanto si sarebbe desunto da un’affermazione fatta dal ricorrente Manelli in sede di
interrogatorio formale, ci si limita a richiamare due massime di questa Corte in tema di
presupposizione, nuovamente senza svolgere alcuna attività assertiva circa il modo in cui i
principi in esse enunciati potrebbero evidenziare un error iuris da parte della sentenza
impugnata. Infatti, ci si limita ad enunciare che <>.
§3.1. L’illustrazione di questo gruppo di motivi, dopo che si è riassunta la
motivazione con cui la Corte territoriale ha, capovolgendo la valutazione del primo
giudice, ritenuto di scarsa importanza l’inadempimento del canone, posto a base
dell’originaria azione subordinata di risoluzione del contratto locativo, procede con
l’argomentazione del motivo sub c), con il quale si censura la motivazione con cui la Corte
territoriale ha osservato che «gli ulteriori motivi di risoluzione del contratto di locazione
(coltivazione del terreno a pomodori, fornitura a terzi di acqua dal pozzo artesiano) non
possono essere presi in considerazione, essendo stati prospettati solo dopo la prima udienza
di trattazione» ed ha, quindi soggiunto che «sono, infatti, consentite dalla legge
processuale le modificazioni della “causa petendi” che non integrino domanda nuova, e
cioè quelle che importano una diversa qualificazione o interpretazione del fatto costitutivo
del diritto; la introduzione di diverso fatto costitutivo della pretesa, pur comportando le

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Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

stesse conseguenze in tema di attribuzione del bene della vita, costituisce, invece, domanda
nuova».
Ora i ricorrenti articolano il motivo osservando, riguardo alla introduzione dei detti
inadempimenti, che «a tale ultimo proposito è da significare che il Giudice di 1° grado
con ordinanza del 16.10.2001, a scioglimento della riserva in ordine alle richieste
istruttorie formulate ed alle eccezioni sollevate proprio sul presunto carattere innovativo
dei fatti allegati, ammetteva le prove orali per così come articolate dalle parti».

Quindi, si scrive che «in relazione alla deduzione degli ulteriori episodi riteneva
espressamente di ricondurli nell’alveo di una “semplice modificazione della domanda
consentita nei limiti ex art. 183 c.p.c.”», osservando — così riportando, a quel che sembra
un’affermazione del primo giudice, che non dice se contenuta nell’ordinanza citata sopra
oppure in altra ordinanza – che «”si tratta infatti (come enunciato nel provvedimento
ammissivo delle prove: n.d.e.) di aggiunta di “fatti secondari” rispetto ai fatti principali
addotti a sostegno della domanda principale di risoluzione ed in particolare alle “gravi
inadempienze” e cioè a quegli stessi fatti che per gli attori legittimerebbero la nullità o
annullabilità della locazione».
Quindi, si critica la sentenza impugnata sia assumendo che avrebbe deciso
«erroneamente ed in maniera omissiva in ordine alla facoltà esercitata e riconosciuta ai
sensi dell’art. 183 6″ comma c.p.c.», sia adducendo che erroneamente avrebbe ravvisato
nella deduzione dei nuovi fatti «il carattere della novità».
§3.1.1. Il motivo è infondato, in quanto non viene sostenuto con argomentazioni
idonee a censurare la sentenza impugnata riguardo alla prima ratio decidendi da essa
enunciata nel senso che detti fatti erano stati prospettati «solo dopo la prima udienza di
trattazione».
Tale affermazione è per la verità non scevra di ambiguità, atteso che la Corte
territoriale non spiega che cosa intenda per “prima udienza di trattazione” ed in particolare,
avuto riguardo al testo dell’art. 183, che regolava il giudizio di primo grado, se intenda
riferirsi ad un’udienza successiva alla prima udienza di trattazione prevista da detta norma
oppure ad una deduzione successiva ad essa, ma collocantesi nell’ambito della trattazione
scritta di cui al quinto comma della norma (nel testo vigente alla sostituzione disposta
dall’art. 2, comma 3, lett. c-ter del d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella
1. n. 80 del 2005) e, all’interno di essa, in quale delle due memorie previste dal citato
comma quinto.

lo
Est. Coni. Rffae1e Frasca

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

Detta affermazione, se non vi fosse stata trattazione scritta oppure se essa vi fosse
stata e la deduzione dei due fatti nuovi integranti ulteriori inadempimenti fosse avvenuta
nella seconda memoria di cui al quinto comma dell’art. 183 c.p.c., sarebbe di per sé sola
idonea a giustificare l’avviso della Corte nel senso di non poterli prendere in
considerazione.
Infatti, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se anche la Corte, enunciando, poi,

modificazione della domanda, bensì a quello di domanda nuova, avesse errato, l’errore
compiuto risulterebbe irrilevante, perché l’affermazione della non esaminabilità per essere
stati i fatti dedotti dopo la prima udienza di trattazione risulterebbe giustificata, perché: a)
nel caso di mancanza di trattazione scritta il testo del’art. 183 c.p.c. impediva la
modificazione della domanda dopo la prima udienza di trattazione; b) nel caso che vi fosse
stata trattazione scritta, che rappresentava un’appendice di detta udienza, la deduzione dei
nuovi fatti come modificativi della domanda sarebbe potuta avvenire solo con la prima
delle memorie cui alludeva il quinto comma e non con la seconda.
Soltanto se la deduzione dei detti fatti fosse avvenuta con la prima memoria, la
seconda ratio decidendi acquisirebbe rilievo autonomo, perché detta deduzione
risulterebbe consentita dal quinto comma se integrante modificazione della domanda e,
dunque, acquisirebbe rilievo quanto opinato dalla Corte territoriale nel senso che di essa
non si trattasse e si trattasse, invece, di domanda nuova.
Ora, i ricorrenti non precisano in alcun modo nell’illustrazione del motivo dove
dedussero i due ulteriori inadempimenti. E nell’esposizione del fatto, alla pagina cinque, si
limitano a dedurre che lo fecero «nelle memorie ex art. 183 c.p.c.>> (non diversamente
scrivono i resistenti). In tal modo si allude in maniera ambigua al deposito di memorie,
suggerendo l’idea che si siano depositate entrambe le memorie del quinto comma dell’art.
183 c.p.c.
Ne consegue che la Corte non è messa in grado di valutare se la deduzione dei due
fatti nuovi, in ipotesi ricostruita come modificazione della domanda, sia avvenuta
nell’ultimo momento utile, che era la prima delle due memorie del citato quinto comma,
nella quale il primo inciso di detto comma ammetteva la formulazione di modificazioni
della domanda.
E’ da rilevare che nemmeno si individuano la o le memorie di cui trattasi, con palese
violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., tanto che il motivo quasi impinge in inammissibilità per
inosservanza di tale norma.
Est. Cons. R ff le Frasca

come diversa ratio decidendi che quella deduzione non era riconducibile al concetto di

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

Il motivo è, dunque, rigettato.
§3.3. Gli altri due motivi vengono illustrati o li si vorrebbe illustrare a partire dalla
metà della pagina diciotto, ma l’illustrazione non si confronta con la motivazione della
sentenza impugnata che ha ritenuto – dopo aver rilevato che era stata documentata
un’offerta non formale dei canoni con la produzione in appello della fotocopia di vaglia
postali spediti 1’11 gennaio 2000, dopo la notifica della citazione avvenuta il 10 dicembre
2000, per i canoni dagli anni 1996 al 2000 — che l’inadempimento del canone non potesse

considerarsi di non scarsa importanza.
La motivazione, dopo il richiamo come principio di diritto applicabile di Cass. n.
10490 del 2004 (secondo cui « L’adempimento contrattuale che si verifichi dopo la
proposizione della domanda di risoluzione del contratto non vale di per sé ad arrestare gli
effetti di tale domanda, ma deve essere preso in esame dal giudice perché valuti
l’importanza dell’inadempimento stesso, potendo costituire circostanza decisiva a rendere
l’inadempimento di scarsa importanza, precludendo la possibilità di risolvere il
contratto.>>) è così espressa: «Orbene anche la semplice offerta non formale del canone,
presupponendo una seria volontà di adempiere, appare idonea, nel caso di specie, ad
impedire la risoluzione del contratto, tenuto conto degli stretti rapporti familiari tra le parti
(la Di Summa e madre dei due germani Manelli), della modestia del canone, che, per il suo
valore quasi simbolico nel contratto era indicato che il canone annuo era contenuto in lire
50.000 tenuto conto di tutte le clausole del contratto e per essere, quindi, correlato alla
gestione in comune dell’associazione, era privo di concreta incidenza sul patrimonio del
locatore, del fatto che la domanda di risoluzione, peraltro avanzata solo in via subordinata,
non è stata preceduta a da alcuna costituzione in mora. Per tali motivi l’inadempimento
deve ritenersi non grave, come tale escludente la risoluzione del contratto.>>.
Poiché la critica non viene svolta facendosi carico di tale motivazione nei suoi vari
passaggi ed anzi è articolata anche con considerazioni che sono relative ai due fatti che la
Corte territoriale ha ritenuto non esaminabili, il primo e secondo motivo del gruppo in
esame sono inammissibili, in quanto non si correlano con l’effettiva ratio decidendi della
sentenza impugnata ed anzi si risolvono nella citazione di precedenti di questa Corte dei
quali nemmeno si spiega la pertinenza con il caso di specie in relazione alla motivazione
della sentenza. Viene in rilievo il principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, seguita
da numerose conformi.
§4. Con un quarto gruppo di due motivi, che vengono riferiti alla questione “sulla
lesione della reputazione e dell’onore dei ricorrenti” e parimenti sono illustrati
12
Est. Con. Raffaele Frasca

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

congiuntamente, si deduce: <>.

della diffamazione in una missiva dell’agosto 1996, sottoscritta dal dottor proc. Marcello
Cafueri e da Michele Manelli, in risposta ad una missiva dell’Avvocato Cosimo De
Leonardis, sono illustrati in modo tale che risultano inammissibili.
Quello di violazione di legge è svolto con l’affermazione apodittica che <>: poiché nessuna argomentazione viene sviluppata il Collegio si
trova di fronte ad un “non motivo”, in quanto dovrebbe interrogarsi di sua iniziativa sul se
nella specie le due norme risultino violate dal contenuti della missiva.
Tant’è che si dice che <>.
Il vizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. non è, poi, percepibile quanto alla sua
esposizione, atteso che dalla terza riga della pagina ventitre l’illustrazione riproduce o
richiama testimonianze e fa riferimento ad un estratto conto, anche qui senza alcuna attività
dimostrativa del detto vizio.
§5. Il ricorso è conclusivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, ai sensi del d.m. n.
140 del 2012.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione ai resistenti delle spese
del giudizio di cassazione, liquidate in euro quattromiladuecento, di cui duecento per
esborsi, oltre accessori come per legge.

Est. ConRaffaele Frasca

I due motivi, dopo avere registrato che la Corte territoriale ha escluso l’esistenza

R.g.n. 7857-10 (ud. 20.6.2013)

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 20

à1/4,

.

_.)

Il Presidente

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