Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19973 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/09/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 29/09/2011), n.19973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

INTERCOOOP TRASPORTI SOCIETA’ COOPERATIVA (OMISSIS) in persona

del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 37, presso lo studio dell’avvocato

SCALISE UGO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE LAURO VINCENZO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FORESTALE VENETA DI PRADAL VITORIO & C. SAS (OMISSIS) in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MANCINI

ANDREA, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1125/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

10.7.09, depositata il 17/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 17/11/2009 la Corte d’Appello di Bari respingeva il gravame interposto dalla 1NTERCOOP s.c.a.r.l. in relazione alla pronunzia Trib. Bari 3/7/2003 dì rigetto della domanda monitoriamente azionata nei confronti FORESTALE VENETA s.p.a. (poi FORESTALE VENETA s.n.c.) di pagamento della differenza tra quanto ricevuto e quanto vantato per eseguiti trasporti di legname.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la INTERCOOP TRASPORTI SOCIETA’ COOPERATIVA propone ora ricorso per cassazione, affidato ad UNICO MOTIVO, con il quale denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Resiste con controricorso la società FORESTALE VENETA di PRADAL VITTORIO & C. s.a.s. (già FORESTALE VENETA s.p.a. e quindi FORESTALE VENETA s.n.c.).

Il motivo si appalesa inammissibile.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’atto di citazione notificato il 17.10.1997, all’atto di opposizione, alla comparsa di risposta, all’istruttoria di primo grado, all’atto di appello, ai comportamenti posti in essere dalle parti, alla dichiarazione del teste D.E. G., alle deposizione del teste L.L., alle tabulas, alle risultanze della C.T.U.) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 10/2/1995, n. 1161).

Va per altro verso sottolineato che manca in effetti nel ricorso, oltre alla indicazione delle norme stesse di cui si assume la violazione o falsa applicazione, l’esposizione del fatto e della storia del procedimento cui ancorare le ragioni di censura, di cui, così come formulate, non è dato invero evincere la portata, nella indistinzione dei profili di merito e di diritto.

Nè la ricorrente ha d’altro canto formulato censura ex artt. 115, 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La medesima non pone pertanto questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932;

Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006,n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per l’uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443)”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;

rilevato che le parti non hanno presentato memoria, nè vi è stata richiesta di audizione in camera di consiglio;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione;

ritenuto che il ricorso va pertanto rigettato;

considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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