Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19971 del 30/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19971 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 29226-2007 proposto da:
BELMONDO PROFUMERIE S.R.L. 00825690944 in persona del
legale rappresenante pro tempore ALBERTO SBARRA,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 1,
presso lo studio dell’avvocato SURIANO PASQUALE, che
la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

TERRIACA

MARIA

TRRMRA39C58H501U,

elettivamente

domiciliata in ROMA, L.G0 UGO BARTOLOMEI 5, presso lo
studio dell’avvocato VALENTI FABIO, rappresentata e

1

Data pubblicazione: 30/08/2013

difesa dall’avvocato MALARA ANTONIO giusta delega in
atti;
DONATI

ANNA

DNTNNA42M63H501Z,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 9, presso lo
studio dell’avvocato LOVAGLIO MICHELE, che la

ROSELLINA giusta delega in atti;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 2048/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/07/2007, R.G.N.
2443/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/06/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato MICHELE LOVAGLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso;

2

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Belmondo Profumerie srl ricorre per cassazione avverso la sentenza
della Corte di appello di Roma del 25 luglio 2007, che rigettò
l’impugnazione proposta dalla stessa società nei confronti della decisione
del Tribunale. Il giudice di primo grado, accogliendo la domanda della
locatrice Anna Donati, aveva dichiarato risolto, per mancato pagamento
dei canoni, il contratto di locazione di un locale commerciale che

questo contratto e non l’altro contestuale – che prevedeva un canone
notevolmente inferiore – fosse stato ceduto unitamente all’azienda, ex art.
36 della legge 392 del 1978, dalla originaria conduttrice Maria Terriaca
alla società Belmondo; ed, aveva, inoltre, condannato la cedente e la
cessionaria del contratto, in solido, al pagamento dei canoni scaduti (circa
euro 7.000,00) e di quelli maturandi.
2. La proprietaria Donati e la cedente Terriaca si difendono con distinto
controricorso e sostengono l’inammissibilità dello stesso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso si snoda attraverso la deduzione della violazione e falsa
applicazione di, non precisate, norme di diritto; nonché attraverso la
deduzione di tutti i difetti motivazionali di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ. Non è individuabile con sicurezza neanche il numero dei motivi.
La dedotta violazione di legge, genericamente individuata, si conclude con
un interrogativo alla Corte su quale dei due contratti debba ritenersi
valido ed efficace nei confronti dell’acquirente dell’azienda.
I dedotti vizi motivazionali non contengono il momento di sintesi o quesito
di fatto.
2. Tutti i motivi sono inammissibili, con conseguente inammissibilità del
ricorso.
Risulta violato l’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., per la mancata indicazione
delle norme di diritto violate.
2.1. Risulta violato l’art. 366 bis. cod. proc. civ., applicabile

ratione

temporis.
2.1.1. Il quesito di diritto non è conforme ai requisiti di adeguatezza
elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

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prevedeva un canone di oltre euro 2.300,00 mensili, avendo ritenuto che

Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il quesito di
diritto deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico
giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di
enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi
ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Esso deve
comprendere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto
sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri,

sentenza impugnata) b) la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che ad avviso del ricorrente – si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Il
quesito, quindi, non deve risolversi in una enunciazione di carattere
generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della
controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da
non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto
dal ricorrente; né si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della
norma.
2.1.2. Manca totalmente il momento di sintesi o quesito di fatto, omologo
al quesito, quando è dedotto un vizio di motivazione.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il ricorrente
che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto nel confezionamento del relativo motivo – a formulare in riferimento alla
anzidetta censura, un c.d. quesito di fatto, e cioè indicare chiaramente, in
modo sintetico, evidente e autonomo, il fatto controverso rispetto al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni
per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione. A tale fine è necessaria la enucleazione
conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso
nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non
può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura della
illustrazione del motivo – all’esito di una interpretazione svolta dal lettore,
anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il
contenuto e il significato delle censure, atteso che la Corte, in ragione del
carattere vincolato della critica che può essere rivolta alla sentenza

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mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della

impugnata, deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura
del solo quesito di fatto, quale sia l’errore commesso dal giudice del
merito.
3. In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, sulla base dei
parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, a favore dei
controricorrenti.

LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, liquidate: in
favore di Maria Terriaca, in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge; in favore di Anna
Donati, in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese
generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2013

Il consigliere estensore

P.Q. M.

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