Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19971 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 23/09/2020), n.19971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12898 – 2019 R.G. proposto da:

Avvocato M.S. – c.f. (OMISSIS) – disgiuntamente e

congiuntamente rappresentato e difeso da se medesimo, ai sensi

dell’art. 86 c.p.c., e dall’avvocato Francesco Mauceri in virtù di

procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta

con appello incidentale; elettivamente domiciliato in Roma, alla

piazza Mazzini, n. 27, presso lo studio dell’avvocato Paolo

Zucchinali dello Studio Trifirò & Partners Avvocati;

– ricorrente –

contro

RISCOSSIONE SICILIA s.p.a. (già “Serit- Sicilia” s.p.a.) – Agente

per la Riscossione per la Provincia di Catania – c.f. (OMISSIS) /

p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce

alla scrittura difensiva dall’avvocato Alberto Giaconia ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Cornelio Nepote, n. 16,

presso lo studio dell’avvocato Rosaria Internullo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 660/2019;

udita la relazione all’udienza in camera di consiglio del 15 luglio

2020 del consigliere Dott. Abete Luigi;

lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha chiesto

dichiararsi inammissibile ovvero, in subordine, rigettarsi il

ricorso per regolamento di competenza.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale di Siracusa l’avvocato M.S. esponeva che aveva rappresentato e difeso la “Serit Sicilia” s.p.a., tra gli altri, in trentatrè giudizi di appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo – sezione distaccata di Siracusa; che i compensi a lui dovuti, compensi per i quali non era stata stipulata alcuna convenzione e nel complesso pari ad Euro 182.424,15, erano rimasti insoluti.

Chiedeva ingiungersene alla “Serit Sicilia” il pagamento con gli accessori.

2. Con decreto n. 684/2011 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.

3. Con citazione in data 8.11.2011 la “Serit Sicilia” proponeva opposizione. Eccepiva pregiudizialmente il difetto di competenza del Tribunale di Siracusa, siccome competente ratione loci il Tribunale di Palermo.

Deduceva, nel merito, che i compensi spettanti a controparte per le attività espletate nei giudizi di appello innanzi alla C.T.R. di Palermo – sezione distaccata di Siracusa erano stati pattuiti con apposita convenzione, convenzione ove era contenuta clausola recante deroga, a favore del Tribunale di Palermo, alla competenza per territorio ed alla cui stregua i compensi richiesti andavano determinati.

Instava per la declaratoria di incompetenza del Tribunale di Siracusa e, nel merito, per la revoca dell’ingiunzione.

4. Si costituiva l’avvocato M.S..

Adduceva, tra l’altro, che la convenzione in data 26.4.2007 disciplinava unicamente le prestazioni ed i compensi per i giudizi tributari di primo grado, sicchè la deroga alla competenza per territorio non esplicava alcuna valenza.

Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.

5. Con sentenza n. 2417/2014 il Tribunale di Siracusa accoglieva in parte l’opposizione, revocava l’ingiunzione e condannava la “Riscossione Sicilia” s.p.a. (già “Serit Sicilia” s.p.a.) al pagamento della minor somma di Euro 149.832,56, oltre accessori.

6. La “Riscossione Sicilia” s.p.a. proponeva appello. Resisteva l’avvocato M.S.; esperiva appello incidentale.

7. Con sentenza n. 660/2019 la Corte d’Appello di Catania accoglieva l’appello principale e dichiarava l’incompetenza per territorio del Tribunale di Siracusa siccome competente, quale foro esclusivo convenzionale, il Tribunale di Palermo; condannava l’appellato alle spese del doppio grado.

Evidenziava la corte che il tribunale aveva errato a disconoscere l’applicabilità della convenzione in data 26.4.2007 ai giudizi tributari d’appello; che in particolare aveva errato ad interpretare l’espressione “controdeduzioni”, figurante all’art. 4, come relativa unicamente alle costituzioni nei giudizi tributari di primo grado ed in tal guisa a circoscrivere la portata dell’art. 2 della stessa convenzione.

Evidenziava quindi che la comune volontà dei contraenti era nel senso che la convenzione in data 26.4.2007 era destinata a regolamentare, in deroga alle tariffe professionali, la remunerazione di qualsivoglia incarico espletato, e in primo e in secondo grado, dinanzi alle commissioni tributarie; che, di conseguenza, giusta la prefigurazione, all’art. 6, comma 3, del Tribunale di Palermo quale foro convenzionale esclusivo, prefigurazione debitamente approvata per iscritto, andava dichiarata, in accoglimento del primo motivo del gravame principale, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Siracusa adito in via monitoria.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per regolamento di competenza, articolato in due motivi, l’avvocato M.S.; ha chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di Siracusa e cassarsi l’impugnata sentenza con ogni susseguente statuizione anche in tema di spese.

9. La “Riscossione Sicilia” s.p.a. ha depositato scrittura difensiva.

10. Il Pubblico Ministero, giusta la previsione dell’art. 380 ter c.p.c., ha formulato conclusioni scritte.

11. Ambedue le parti hanno depositato memoria.

12. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 20 c.p.c. e dell’art. 637 c.p.c., comma 3.

Deduce che il foro convenzionale di cui alla convenzione in data 26.4.2007 non rileva nel caso di specie, sicchè ha ritualmente domandato al Tribunale di Siracusa l’ingiunzione di pagamento in danno della s.p.a. “Riscossione Sicilia” ai sensi dell’art. 637 c.p.c., comma 3, ovvero ai sensi dell’art. 20 c.p.c. in rapporto al foro facoltativo quivi previsto.

13. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1362,1363,1366,1369 e 1370 c.c.; l’insussistenza della competenza esclusiva convenzionale ex art. 28 c.p.c.

Deduce che la corte di merito ha erroneamente ampliato a dismisura il dettato degli artt. 1 e 2, ha svalutato il dettato dell’art. 4, per nulla ha tenuto conto del dettato dell’art. 9 della convenzione in data 26.4.2007.

Deduce che alla luce dei surriferiti articoli nonchè dell’art. 10, che ne costituisce il logico corollario, la convenzione in data 26.4.2007 regolamenta unicamente i compensi dovuti per i giudizi di primo grado, sicchè la clausola di deroga della competenza per territorio non è operante nel caso di specie.

Deduce segnatamente che non ha alcuna valenza il titolo della convenzione in data 26.4.2007 giusta il brocardo rubrica legis non est lex; che l’art. 1 si limita a prevedere che il compenso dovrà essere convenuto senza ricorso a fonti alternative; che l’art. 2 si limita a prevedere che la “Riscossione Sicilia” si riserva la facoltà di conferire agli avvocati incarichi per entrambi i gradi del giudizio; che la locuzione “controdeduzioni”, ricorrente per ben tre volte nel testo della convenzione ed avente valenza primaria ed esclusiva a fini esegetici, non può che essere interpretata in senso letterale, come relativa unicamente alle controdeduzioni da predisporre per i giudizi di primo grado; che l’espressione “atto da impugnare” figurante all’art. 3 non può essere interpretata come “sentenza da impugnare”, bensì come “atto da contestare”, siccome, altrimenti, dovrebbe ritenersi che la convenzione regolamenta unicamente le prestazioni da svolgere in grado di appello; che del resto la convenzione non prevede in alcun modo la redazione del ricorso in appello.

Deduce infine che la corte non ha tenuto conto del comportamento complessivo delle parti; non ha fatto buon uso del criterio della interpretazione secondo buona fede; non ha fatto applicazione del principio della “interpretatio contra stipulatorem”.

14. Si impone previamente la disamina del secondo motivo di ricorso, in quanto avente rilievo del tutto pregiudiziale; il secondo motivo in ogni caso è privo di fondamento ed il suo esito infausto, in quanto dà conto della rilevanza nel caso di specie del foro convenzionale, importa ex se il rigetto del primo motivo di ricorso.

15. Evidentemente il secondo mezzo di impugnazione veicola una quaestio ermeneutica, sicchè non possono che esplicar valenza gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Innanzitutto l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inadeguatezza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. n. 83 del 2012, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.7.2016, n. 14355), novello articolo applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Altresì l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ancora l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.

16. Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali testè enunciate l’interpretazione patrocinata dalla Corte di Catania è immune da vizi suscettibili di assumer rilievo in relazione alla previsione del (novello) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In primo luogo è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate (giusta, appunto, la statuizione n. 8053/2014 delle sezioni unite) ad acquisire significato in rapporto alla (novella) previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, possa scorgersi in ordine alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

Segnatamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Più esattamente la corte territoriale ha specificato che, in sede di interpretazione della convenzione in data 26.4.2007, occorreva tener conto dell’ampia formulazione dell’art. 1, da intendere come riguardante qualsivoglia giudizio tributario, di primo grado o di appello, indipendentemente dalla posizione processuale assunta dalla s.p.a. “Riscossione Sicilia”, dell’ampia formulazione dell’art. 2 e dell’espresso riferimento quivi contenuto anche alle Commissioni Tributarie Regionali, del dettato dell’art. 10, ove il riferimento ai giudizi in cui la s.p.a. “Riscossione Sicilia” fosse rimasta soccombente, prescindeva dal grado.

Ed ha soggiunto dunque che l’interpretazione letterale e restrittiva, patrocinata dal tribunale, della locuzione “controdeduzioni”, figurante al punto n. 1 dell’art. 4, risultava contraddetta dai chiari esiti dell’esegesi sistematica delle clausole della convenzione, cosicchè la medesima locuzione era da intendere come comprensiva pur del ricorso in grado d’appello all’uopo predisposto dal difensore della “Riscossione Sicilia”.

In secondo luogo è da riconoscere che la corte siciliana ha di certo disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero ha atteso all’esegesi della convenzione del 26.4.2007.

Si badi che questo Giudice del diritto ha avuto cura di puntualizzare che l’omesso esame di questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (cfr. Cass. 8.3.2017, n. 5795; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

17. Nel solco delle indicazioni giurisprudenziali dapprima enunciate l’interpretazione patrocinata dalla corte catanese è assolutamente ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, ovvero non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale.

Più esattamente si osserva quanto segue.

18. E’ in toto ingiustificata la pretesa violazione dell’art. 1363 c.c.

Invero la corte d’appello appieno si è conformata all’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 c.c., il giudice non può, nella interpretazione dei contratti arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, poichè anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (cfr. Cass. (ord.) 30.1.2018, n. 2267).

19. In sede di interpretazione dei contratti è possibile fare ricorso al criterio della valutazione del comportamento complessivo solo quando il criterio letterale e quello del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati – il che non è nella fattispecie – all’accertamento della comune intenzione delle parti (cfr. Cass. 19.5.2000, n. 6482; Cass. 14.11.2002, n. 16022; Cass. 7.7.2004, n. 12477).

20. Del tutto marginale – siccome ricompreso nell’ambito della citazione di un precedente giurisprudenziale – è il riferimento nella motivazione dell’impugnato dictum all’art. 1369 c.c.

Cosicchè per nulla si giustifica la prospettazione del ricorrente secondo cui la corte non ha indicato le clausole ritenute ambigue, che, in quanto tali, hanno giustificato il ricorso al canone ermeneutico di cui all’art. 1369 c.c. (cfr. ricorso, pag. 21).

In pari tempo condivisibilmente il P.M. ha evidenziato che la corte di seconde cure ha disconosciuto (cfr. sentenza d’appello, pag. 4) ogni ambiguità all’art. 10 della convenzione in data 26.4.2007.

21. Del tutto privo di fondamento è l’asserito cattivo uso dell’interpretazione secondo buona fede.

Di certo è da escludere che la corte d’appello abbia interpretato la convenzione datata 26.4.2007 in spregio al canone di cui all’art. 1366 c.c. ovvero alla stregua di significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento dell’uomo medio (cfr. Cass. 12.3.2014, n. 5782; Cass. 15.3.2004, n. 5239).

22. Assolutamente fuor di luogo è il riferimento all’art. 1370 c.c.

Invero, in tema di interpretazione del contratto, qualora, dopo aver fatto uso dei canoni ermeneutici principali della letteralità e sistematicità, rimanga dubbio il significato delle clausole – il che non è nel caso di specie – può farsi ricorso al criterio dettato dall’art. 1370 c.c., secondo il quale la clausola di dubbia interpretazione deve essere interpretata contro l’autore di essa, ma a tal fine occorre non solo che uno dei due contraenti abbia predisposto l’intero testo del contratto al quale l’altra parte abbia prestato adesione, ma anche che lo schema negoziale sia precostituito e le condizioni generali siano predisposte mediante moduli e formulari, al fine – il che non è nel caso di specie – di poter essere utilizzate in una serie indefinita di rapporti (cfr. Cass. 27.5.2003, n. 8411).

23. In ogni caso è innegabile che le censure dal ricorrente addotte si risolvono tout court nella prefigurazione della (asserita) maggior plausibilità della patrocinata antitetica interpretazione.

Tanto pur con riferimento ai rilievi svolti in memoria dal ricorrente (“le “controdeduzioni” (…) costituiscono nel processo tributario l’atto difensivo del resistente (…) incompatibili e giammai identificabili con l’atto di appello”: così memoria, pag. 3; “perchè mai in convenzione non ci si limitò alla pattuizione dei compensi e si ritenne invece necessario definire le prestazioni a carico dei contraenti (…) in maniera articolata e circoscritta?”: così memoria, pag. 5; “all’art. 1 può semmai attribuirsi un carattere programmatico nel senso che (…)”: così memoria, pag. 5; “il corretto significato da attribuire all’art. 2 è quello per il quale la società (…)”; così memoria, pag. 5; “se si accedesse alla ermetica tesi (…) della Riscossione (…) si dovrebbe inevitabilmente concludere che (…)”: così memoria, pag. 7).

24. In dipendenza del rigetto del ricorso per regolamento di competenza va confermata la declaratoria di competenza per territorio del Tribunale di Palermo, dinanzi al quale le parti vanno rimesse nel termine di legge anche ai fini della disciplina delle spese del presente giudizio.

25. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1-bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso per regolamento di competenza; dichiara la competenza per territorio del Tribunale di Palermo dinanzi al quale nel termine di legge rimette le parti anche ai fini della disciplina delle spese del presente giudizio; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

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