Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19968 del 13/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 13/07/2021), n.19968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2375-2020 proposto da:

M.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAMIANO FIORATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE

DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui

Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 10014/2019 del TRIBUNALE di

VENEZIA, depositato il 21/11/2019 R.G.N. 7981/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/02/2021 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto del 21.11.2019, respingeva il ricorso proposto da M.N., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di Verona del 15.5.2018, notificato il 3.7.2018, con cui erano stati al predetto negati lo status di rifugiato ed il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonché, in subordine, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19;

1.1. il Tribunale, premesso che, pur se il richiedente aveva limitato la domanda al solo permesso per motivi umanitari, doveva valutarsi la sussistenza dei presupposti anche per le ulteriori forme di protezione internazionale; riassunto il quadro normativo posto a fondamento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e richiamati i principi sulla valutazione di veridicità e credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale, riteneva che il ricorso fosse infondato, per essere il racconto reso dal predetto generico in ordine all’addotta militanza politica nel (OMISSIS), al contenuto dell’attività politica asseritamente svolta, alla mancanza di riscontro delle addotte denunce, che avrebbero attinto anche la sua famiglia, provenienti da fazione avversa ((OMISSIS)), ed in ordine alle ulteriori circostanze indicate; peraltro, andava considerato che l'(OMISSIS) all’epoca cui si riferivano i fatti aveva già conquistato il potere;

1.2. quanto, in particolare, alla protezione sussidiaria, il Tribunale osservava, con riferimento all’ipotesi della lett. b), che il ricorrente aveva dichiarato di essere partito nel maggio 2015, laddove la denunzia sporta nei suoi confronti in cui lo si incolpava di reato compiuto da altri, risaliva al 15.2.2014, ciò che smentiva la relazione causale tra i fatti; riteneva, poi, presenti contraddizioni rilevanti che inficiavano la genuinità del racconto e, quanto all’ipotesi di cui alla lett. c), rilevava, sulla base delle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza Europea, che non era ravvisabile in (OMISSIS) una situazione assimilabile a quella di conflitto armato, per essere gli episodi di violenza in tale paese collegati soprattutto alla contrapposizione tra partiti politici ed al fanatismo religioso, senza riferimento alle forze armate;

1.3. con riguardo alla domanda di protezione umanitaria, ugualmente veniva esclusa la sussistenza dei relativi presupposti, non essendo state allegate situazioni personali che li integrassero (i redditi percepiti nel 2018 non erano ritenuti sufficienti a procurarsi mezzi adeguati di sussistenza e doveva pertanto escludersi un’integrazione lavorativa in Italia, in assenza di ogni definitività di entrate economiche);

2. di tale decisione domanda la cassazione M.N., affidando l’impugnazione a due motivi;

3. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, sostenendo che vi sia stato un salto logico laddove il giudicante, dopo avere asserito la non veridicità della narrazione in punto di falsa accusa di omicidio, dal documento giudiziario prodotto “inferisce invece per converso la non genuinità del documento stesso in quanto in contraddizione con quanto narrato del ricorrente (essere incriminato per omicidio, anziché, come riportato nel mandato cattura, per avere organizzato la sommossa)”;

2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione ai presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per avere il Tribunale assunto come parametri della valutazione soltanto il reddito percepito, omettendo ogni valutazione sulla vulnerabilità del soggetto nel Paese di origine e la comparazione tra i diritti fondamentali nel Paese di origine ed in quello di accoglienza;

3. entrambi i motivi sono meritevoli di accoglimento;

4. quanto alle censure prospettate nel primo di essi, in coerenza con la rubricazione dello stesso, ciò che si sostiene è la contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, che dovrebbe invece essere pacifica per dar luogo ad un giudizio coerente idoneo a fondare validamente il decisum, traducendosi evidentemente tale vizio nella mancanza di una base fattuale certa che avrebbe potuto rendere ragione della corretta applicazione dei principi di diritto sottesi alla valutazione della sussistenza o meno dei presupposti di legge per il riconoscimento della protezione richiesta;

4.1. vero è che il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione e che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 640/2019); tuttavia, nella specie il motivo mira a contestare non la ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, bensì la stessa erronea applicazione della norma regolatrice, sul rilievo di un’evidente contraddizione nel ragionamento seguito dal giudicante quanto alla mancanza di una base certa cui riferire la norma, laddove è incongruente anche dal punto di vista logico desumere la mancanza di genuinità dei documenti prodotti (e quindi quanto risultante già ex actis) dall’inattendibilità del racconto del richiedente, senza peraltro avere proceduto ad alcun idoneo approfondimento di tale profilo. Nulla è stato argomentato sulla situazione prospettata dal richiedente di minaccia grave nei suoi confronti e di pericolo di essere sottoposto ad una pena ingiusta in relazione al sistema giuridico penale vigente nel paese d’origine, una volta asseverato in via documentale che sussisteva l’atto di incolpazione per un omicidio ai danni di soggetto appartenente a partito diverso da quello in cui lo stesso militava;

4.2. peraltro, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 cit. articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (cfr., da ultimo, ex aliis, Cass. 9.7.2020 n. 14674, Cass. 16925/20, Cass. 11924/20, Cass. 8367/20);

5. ugualmente anche con riguardo a quanto prospettato nel secondo motivo, deve ritenersi che il Tribunale sia pervenuto ad escludere la sussistenza di una condizione di emergenza in ordine al rispetto in Bangaldesh dei diritti fondamentali della persona, pure avendo omesso di valutare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto di dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta dal ricorrente nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455; Cass. 14 agosto 2020, n. 17130);

5.1. il principio affermato da questa Corte e’, invero, quello secondo cui “Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32 al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi il giudizio fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”;

5.2. anche la sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono il presupposto di una vita dignitosa, come previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, non è stata adeguatamente scandagliata alla luce di fonti informative internazionali più aggiornate, che, in ipotesi, potrebbero legittimare uno spazio applicativo per la protezione reclamata, in ragione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili al richiedente;

6. pertanto, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa, anche per le spese, al Tribunale designato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, cui demanda anche la determinazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2021

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