Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1996 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. I, 28/01/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 28/01/2010), n.1996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.A., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. MASSA Maria Teresa, per legge

domiciliata presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione,

Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 15

giugno 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19 ottobre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 30 marzo 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” C.A., in proprio e quale genitore di S.R., ha proposto ricorso per cassazione il 28 giugno 2007 sulla base di due motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Roma depositato il 15 giugno 2006 con cui il Ministero della giustizia veniva condannata ex L. n. 89 del 2001 al pagamento di un indennizzo di Euro 3.500,00 – oltre spese processuali – per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi in primo grado innanzi al Giudice del lavoro di Napoli ed avente ad oggetto la richiesta di interessi e rivalutazione monetaria su indennità di accompagnamento.

Il ricorso reca motivi seguiti da quesito di diritto, come imposto dall’art. 366 bis c.p.c.. Il Ministero ha resistito con controricorso. Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata, avendo accertato una durata irragionevole del processo di primo grado di oltre anni quattro, sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni cinque nei due gradi di giudizio.

Deve essere accolta la censura afferente alla modestia della somma liquidata, avuto riguardo allo standard minimo annuo, corrispondente ad Euro 1.000,00, indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quale ammontare del ristoro del danno da irragionevole durata del processo, ed al quale il giudice nazionale è tenuto ad uniformarsi, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsene, purchè in misura ragionevole. La motivazione posta a giustificazione del discostamento dagli standard elaborati dalla Corte europea è decisamente insufficiente là dove fa riferimento al mero dato della trascurabile entità del petitum, senza prendere in considerazione, comparativamente, le condizioni economiche dell’interessata. Difatti, questa Corte (Sez. 1^, 2 novembre 2007, n. 23048) ha statuito che, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo ai sensi della L. n. 89 del 2001, il giudice di merito, ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo, deve procedere ad un giudizio di comparazione tra la natura e l’entità della pretesa patrimoniale (cosiddetta posta in gioco) e la condizione socio-economica del richiedente, al fine di accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche di questo.

Viceversa, deve essere dichiarata manifestamente infondata la censura, articolata sempre con il primo motivo, afferente alla necessità di liquidare l’indennizzo con riferimento alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole (Cass., Sez. 1^, 13 aprile 2006, n. 8714; Cass., Sez. 1^, 7 gennaio 2008, n. 14).

Manifestamente infondate sono altresì le censure relative al mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2.000,00, in ragione della natura della controversia. La Corte di Strasburgo ha, infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto ciò non significa che dette cause siano necessariamente di per sè particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, è possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come è noto, dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da Euro mille a Euro mille-cinquecento, salvo limitato di scostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, può arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto ciò non implica uno specifico obbligo di motivazione essendo elemento compreso nella valutazione che concerne la liquidazione del danno, per cui, se il giudice non si pronuncia sul bonus, implicitamente ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu. Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio soltanto in parte;

che, infatti, in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale, va data continuità al principio recentemente affermato da Cass., Sez. 1^, 8 luglio 2009, n. 16086, secondo cui “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata”;

che, quindi, la somma liquidata dalla Corte d’appello a titolo di equa riparazione (Euro 3.500,00) per oltre quattro anni di irragionevole durata appare congrua rispetto al parametro di Euro 750,00 per anno di ritardo;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna, la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Ministero controricorrente, liquidate in Euro 870,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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