Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19958 del 05/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 05/10/2016), n.19958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7608-2015 proposto da:

A.V., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto n. 1073/14 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 24 luglio 2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

giugno 2016 dal Presidente Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che con distinti ricorso depositati presso la Corte d’appello di Perugia tra il 15 luglio 2010 e il 22 aprile 2013, alcuni in riassunzione di quelli depositati presso altre Corti d’appello, poi dichiaratesi incompetenti, i ricorrenti in epigrafe indicati chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un processo amministrativo iniziato dinnanzi al TAR Lazio nel 1995, proseguito dinnanzi al Consiglio di Stato ove era stato deciso con sentenza del 24 marzo 2010; giudizio volto ad ottenere l’accertamento del diritto dei ricorrenti a percepire il compenso per il lavoro straordinario connesso al servizio di piantonamento in caserma da ciascuno espletato;

che l’adita Corte d’appello accoglieva la domanda ritenendo che il giudizio presupposto avesse avuto una durata irragionevole di sei anni e sei mesi, in relazione alla quale liquidava un indennizzo di Euro 3.250,00, determinato facendo applicazione del criterio di 500,00 Euro per anno di ritardo;

che con riferimento alle posizioni di coloro che avevano agito nella qualità di eredi la Corte d’appello liquidava un indennizzo inferiore, avuto riguardo alla data di decesso dei danti causa dei ricorrenti;

che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso e ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo;

che i ricorrenti principali hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU e della L. n. 89 del 2001, art. 2 con riferimento alla esigua entità dell’indennizzo, che si assume irragionevolmente determinato sulla base di un parametro inferiore a quello ordinario di 750,00 Euro per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni successivi; in particolare, si assume che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che nel corso del giudizio erano state presentate due istanze di prelievo e che la posta in gioco era tutt’altro che esigua;

che con il secondo motivo (violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4, 5 e 28 e della L. n. 247 del 2012, art. 42, comma 10) i ricorrenti principali censurano il decreto impugnato per avere fatto applicazione del D.M. n. 140 del 2012 e non anche del successivo D.M. n. 55 del 2014 che, avendo abrogato le tariffe approvate con il precedente D.M. n. 140 del 2012, costituirebbe l’unica fonte per la determinazione dei compensi professionali;

che con il terzo motivo (violazione degli artt. 24 e 36 Cost., art. 91 c.p.c. e art. 2233 c.c.) i ricorrenti principali lamentano la esiguità degli importi liquidati per spese del procedimento, tenuto conto del numero delle parti (duecentosettanta) e degli importi dovuti;

che con l’unico motivo del ricorso incidentale, il Ministero dell’economia e delle finanze deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, 2-quinguies, lett. a), art. 5-quater dolendosi del fatto che la Corte d’appello non abbia apprezzato in termini di temerarietà la domanda azionata dai ricorrenti nel giudizio presupposto;

che il ricorso incidentale, che per ragioni di ordine logico deve essere esaminato in via prioritaria, è infondato;

che, pur prescindendo dal rilievo che la difesa erariale evoca la violazione di disposizioni non applicabili direttamente nel caso di specie, essendo destinate ad operare per i giudizi di equa riparazione iniziati dopo il 1 settembre 2012, sta di fatto che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, la manifesta infondatezza della domanda proposta nel giudizio presupposto non costituisce ragione di esclusione dell’indennizzo, una volta accertata la violazione della ragionevole durata del giudizio;

che il primo motivo del ricorso principale è infondato;

che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2010; Cass. n. 17922 del 2010);

che in una recente pronuncia (Cass. n. 18332 del 2015), questa Corte ha ritenuto che i principi affermati, alla luce anche delle indicazioni provenienti dalla Corte europea, debbano però essere integrati con gli ulteriori approdi della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato, in via generale, che “in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto” (Cass. n. 12937 del 2012);

che questa Corte, inoltre, dopo aver rilevato che, con riguardo alla liquidazione dell’indennizzo da irragionevole durata dei giudizi amministrativi, sulla base dei criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (decisioni Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia del 6 aprile 2010), si era ritenuto (Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), che fosse possibile liquidare un indennizzo pari a 500,00 Euro per anno di ritardo, ha ulteriormente affermato che, per l’indicata tipologia di giudizi, il criterio di 500,00 Euro per anno costituisce l’adeguato indennizzo per la violazione della ragionevole durata del processo e che da esso il giudice del merito possa discostarsi con adeguata motivazione, evidenziando le specificità del caso, con riguardo sia alla natura e alla rilevanza dell’oggetto del giudizio, sia al comportamento processuale delle parti (Cass. n. 20617 del 2014; Cass. n. 20862 del 2014; Cass. n. 5912 del 2015);

che la Corte d’appello si è attenuta a tali principi, avendo liquidato un indennizzo ragguagliato, appunto, a 500,00 Euro per anno di ritardo;

che il decreto impugnato si sottrae pertanto alla censura veicolata con il primo motivo di ricorso;

che il secondo motivo è infondato, atteso che essendo terminata l’attività difensiva con l’udienza in cui la causa è stata discussa e in cui la Corte d’appello si è riservata di decidere (27 gennaio 2014), correttamente il decreto impugnato ha ritenuto che la liquidazione delle spese dovesse avvenire in base al D.M. n. 140 del 2012 (Cass., S.U., n. 17045 del 2012, secondo cui “in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41 il quale ha dato attuazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata”;

che la pretesa dei ricorrenti di applicare le disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, entrato in vigore il 3 aprile 2014 non può quindi essere condivisa, atteso che ne conseguirebbe una non consentita applicazione retroattiva, a prescindere da un qualsiasi elemento di collegamento con le prestazioni che devono essere compensate;

che il terzo motivo del ricorso principale è fondato, atteso che, in considerazione del numero delle parti assistite, l’applicazione dei coefficienti di riduzione, non obbligatoria ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 9 comporterebbe una irragionevole compressione del diritto del difensore al compenso;

che, dunque, rigettato il ricorso incidentale e il primo e il secondo motivo del ricorso principale, va accolto il terzo motivo, di tale ricorso, con conseguente cassazione del decreto impugnato in relazione alla censura accolta;

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, provvedendosi a liquidare le spese del giudizio di merito in Euro 2.500,00 per compensi;

che il Ministero dell’economia e delle finanze deve essere quindi condannato al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 2500,00, oltre accessori di legge;

che, quanto alle spese del giudizio di cassazione, le stesse, in considerazione del limitato accoglimento del ricorso principale e della reiezione del ricorso incidentale possono essere compensate per la metà e poste a carico del Ministero dell’economia e delle finanze per la restante metà;

che LE spese, come liquidate, vanno poi distratte, per dichiarato anticipo, in favore degli Avvocati Gabriele De Paola e Renzo Filoia, quanto a quelle di merito, e in favore del solo Avvocato Gabriele De Paola, quanto a quelle del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso incidentale, il primo e il secondo motivo del ricorso principale; accoglie il terzo motivo di questo ricorso; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge; condanna altresì il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di metà delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per l’intero in Euro 1.500,00, per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie, dichiarando compensata la restante metà; dispone la distrazione delle spese del giudizio di merito in favore degli Avvocati Gabriele De Paola e Renzo Filoia, e di quelle del giudizio di cassazione in favore del solo Avvocato Gabriele De Paola

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta – 2 civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2016

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