Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19957 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. I, 23/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 23/09/2020), n.19957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29747/2015 proposto da:

R.C.B., R.G., R.M.L.E.,

R.M.T., Ru.Ma., elettivamente domiciliati in Roma Via

Torquato Taramelli, 5, presso lo studio dell’avvocato Maurizio

Paolino, che li rappresenta e difende in forza di procura in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero Economia Finanze, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6861/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 29/10/2003 gli eredi di R.G. senior, e cioè Ru.Ma. e gli eredi di R.R., ossia G. e R.M.T., hanno convenuto in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze dinanzi al Tribunale di Roma per ivi sentirlo condannare in loro favore al pagamento del giusto indennizzo in conseguenza della perdita di beni posseduti in Libia in seguito alla confisca disposta nel 1970 in danno dell’intera collettività italiana.

Nel giudizio sono intervenuti, dispiegando analoga domanda, altri eredi di R.G. senior, ossia gli eredi di R.F.S., e cioè G., V., M.L.E. e R.C.B..

Si è costituito in giudizio il Ministero, chiedendo il rigetto delle domande degli attori e degli intervenuti.

Esperita consulenza tecnica, il Tribunale di Roma con sentenza n. 686 del 6/12/2007 ha condannato il Ministero al pagamento in favore di attori e intervenuti della complessiva somma di Euro 249.546,21, pari alla differenza fra quanto dovuto e quanto già complessivamente corrisposto, da ripartirsi pro quota, oltre alla rifusione delle spese di lite.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha interposto appello il Ministero, a cui hanno resistito gli appellati, proponendo a loro volta appello incidentale per ottenere gli interessi sulle somme attribuite e le spese sostenute per la consulenza tecnica.

La Corte di appello di Roma con sentenza non definitiva del 21/9/2011 n. 4567, in parziale accoglimento dell’appello principale, ha rideterminato il valore dell’azienda R. nella somma di Lire libiche 0,50 al metro quadro, confermando nel resto i valori di cui alla sentenza impugnata; in parziale accoglimento dell’appello incidentale, ha attribuito agli eredi R. gli interessi moratori dalla data della domanda giudiziale e ha posto le spese di consulenza tecnica per i 2/3 a carico del Ministero per 1/3 a carico degli eredi R.; ha quindi invitato le parti ad elaborare specifici conteggi sulla base dei parametri indicati, rinviando la regolazione delle spese al definitivo.

Con la sentenza definitiva del 7/11/2014 la Corte di appello ha condannato il Ministero al pagamento della somma, così ridotta rispetto alla condanna disposta in primo grado, di Euro 124.819,97, pari alla differenza fra quanto dovuto e quanto già complessivamente corrisposto, compensando le spese del grado.

3. Avverso le predette sentenze n. 4567 del 31/10/2011, oggetto di riserva di ricorso in data 13/4/2012, e n. 6861 del 7/11/2014, non notificata, con atto notificato il 9/12/2015 hanno proposto ricorso per cassazione Ma., G., M.T., C.B. e R.M.L.E., svolgendo due motivi.

Con atto notificato l’8/1/2016 ha proposto controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 3,24 e 111 Cost. e dell’art. 101 c.p.c.

1.1. I ricorrenti lamentano la violazione del principio del contraddittorio da parte della sentenza parziale n. 4567/2011 in ordine alla valutazione ivi recepita del terreno dell’azienda R., già appartenuta al comune dante causa dei ricorrenti, in Lire libiche 0,50 al metro quadro, in luogo del maggior valore indicato nella consulenza tecnica pari a lire libiche 0,90 al m.q.

Il predetto valore era stato il frutto di una elaborazione dell’ausiliare tecnico all’esito di una lunga e mediata interlocuzione con i consulenti di parte, mentre la quantificazione accolta in sentenza recepiva la valutazione unilaterale del terreno P. elaborata dell’UTE e trasposta nelle note critiche del consulente di parte del Ministero, senza che su di essa i ricorrenti avessero potuto mai dedurre alcunchè.

Non risultava neppure che la stima del loro terreno fosse stata o meno impugnata dai signori P., mentre la stima recepita in primo grado era conseguita anche sulla base di una valutazione comparativa con altra stima eseguita sul terreno F..

In conclusione, secondo i ricorrenti, in spregio ai più elementari canoni processuali, il Ministero si “era creato la prova da sè”.

1.2. La gravissima violazione del fondamentale principio del contraddittorio e del diritto di difesa nell’ambito del giusto processo è palesemente insussistente.

Il Ministero aveva criticato con l’atto di appello la sentenza di primo grado e la consulenza tecnica di primo grado, su cui si era basata per la stima dell’azienda R., per aver adottato quale parametro di comparazione l’azienda F. e non l’azienda P., ritenuta più correttamente assimilabile al compendio oggetto di valutazione, disattendendo le note critiche del consulente di parte del Ministero: lungi dal non poter contraddire in ordine a tali critiche, formulate in contraddittorio, gli attuali ricorrenti avevano potuto difendersi al proposito sia in primo grado, sia soprattutto nel giudizio di appello.

1.3. Non sono pertinenti nè convincenti le considerazioni esposte dai ricorrenti con la memoria ex art. 380 bis c.p.c. del 28/2/2020 volte a sostenere la violazione del contraddittorio con riferimento a note critiche depositate prima dello svolgimento dell’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado e comunque sottoposte a discussione anche nel giudizio di secondo grado.

1.4. I ricorrenti ignorano poi, letteralmente, gli argomenti spesi dalla Corte territoriale per giustificare la propria adesione alle critiche sollevate dal Ministero a corredo della sua diversa valutazione, essenzialmente fondate sulla diversa collocazione geografica dell’azienda R., fuori dal perimetro urbano del Piano regolatore di Tripoli, distante 6 km, rispetto all’azienda F., sita a 3,5 km da Tripoli entro il perimetro del Piano regolatore e sulla assimilabilità di valori rispetto a quelli dell’azienda P., in realtà anch’essa più vicina a Tripoli (4,5 km), ma non prossima, come l’azienda R., a importanti vie di comunicazione e aree lottizzate e oggetto di insediamenti produttivi e commerciali (cfr. sentenza non definitiva 31/10/2011, pag.4).

In tal modo i ricorrenti esternano un dissenso totalmente riversato nel merito rispetto agli accertamenti e alle valutazioni operate dalla Corte di appello.

1.5. I ricorrenti contestano altresì la valutazione dell’azienda P., perchè meramente riferita dal Ministero e recepita acriticamente dal C.t.u., che tuttavia aveva ritenuto di valutare la proprietà R. sulla base dell’analogia con l’azienda F., ma non indicano come e quando nel corso del processo di primo e di secondo grado avessero contestato specificamente la valutazione attribuita all’azienda P. e tantomeno riportano il tenore delle critiche specifiche mosse dal Ministero e il passo rilevante della consulenza tecnica d’ufficio.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

2.1. I ricorrenti si riferiscono alla circostanza che con la consulenza finalizzata all’accertamento del valore della proprietà R. non era stato accertato anche il valore di mercato del terreno facente parte dell’azienda P., la cui stima in sede amministrativa era stata presa in considerazione sul presupposto che i terreni R. e P. avessero valori equiparabili.

La stima amministrativa del terreno P. era stata recepita senza alcun ulteriore approfondimento, mentre dagli atti risultava per il terreno F. (a cui invece si era riferito il Giudice di primo grado) che fosse stata elaborata una relazione di revisione da parte dell’UTE che aveva portato alla stima di lire libiche 0,90 al m.q.

2.2. Non esiste alcun fatto storico decisivo il cui esame sia stato omesso dal giudice di appello: non lo è certamente una stima di un terreno, che è stato comunque valutato dalla Corte di appello.

In ogni caso i ricorrenti non riferiscono nè come, nè quando nel processo avessero sottoposto al contraddittorio l’inidoneità della valutazione del terreno P. da parte del Ministero.

Il testo novellato dell’art. 360, n. 5 in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, tenuto conto dell’esenzione del presente procedimento scaturente dal combinato disposto del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 1, comma 1, della L. 6 dicembre 1971, n. 1066, art. 5 della L. 5 aprile 1985, n. 135, art. 4 e della L. 29 gennaio 1994, n. 98, art. 1.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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