Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19954 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 29/09/2011), n.19954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, alla via S.

Alberto Magno n. 9, presso gli avv. PAOLETTI FABRIZIO e GAETANO

SEVERINI, dai quali, unitamente all’avv. AGUGLIA ETTORE del foro di

Palermo, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CEFALU’, in persona del Sindaco p.t.. elettivamente

domiciliato in Roma, alla via L. Angeloni n. 4, presso l’avv. FALZONE

FRANCESCO, unitamente all’avv. TERREGINO AGOSTINO del foro di Termini

Imerese, da quale è rappresentato e difeso in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 458/04,

pubblicata il 26 aprile 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9

giugno 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Severini per il ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore

Generale dott. ZENO Immacolata, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 10 aprile 2001, il Tribunale di Termini Imerese condannò il Comune di Cefalù al pagamento in favore di M. G. della somma di L. 219.774.106, oltre rivalutazione monetaria dal 1994 a soddisfo, a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà di un fondo irreversibilmente trasformato per la realizzazione di un’opera pubblica, e dell’indennità per l’occupazione legittima, in misura pari agl’interessi legali sulla predetta somma dal 10 aprile 1989 al 10 aprile 1996, oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme annualmente rivalutate.

2. – L’impugnazione proposta dal M. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Palermo, che con sentenza del 26 aprile 2004 ha accolto l’appello incidentate proposto dal Comune, limitando alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado la rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di risarcimento, e rideterminando l’indennità di occupazione in Euro 41.876,55, oltre interessi legali dalla scadenza delle singole annualità sino al deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Premesso che la pubblicazione della sentenza costituisce il momento in cui il credito risarcitorio si converte in debito di valuta, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso che la rivalutazione monetaria fosse dovuta fino al soddisfo, osservando inoltre, quanto all’indennità di occupazione, che la stessa doveva essere liquidata in misura pari agl’interessi legali sull’indennità virtuale di espropriazione, determinata ai sensi del D.L. 31 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, con applicazione della riduzione del 40% prevista da tale disposizione e con esclusione della rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non essendo stata fornita la prova del maggior danno derivante dal ritardo nell’adempimento.

3. – Avverso la predetta sentenza il M. propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Il Comune resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 333 del 1992, art. 5- bis della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65, e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37 modificato con L. 27 dicembre 2002, n. 202, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ai fini della liquidazione dell’indennità di occupazione, ha fatto riferimento ad un’indennità virtuale di espropriazione non prevista dalla legge, senza tener conto che, con riguardo alle ipotesi di occupazione illegittima, la L. n. 662 del 1996 ha escluso l’applicabilità della detrazione del 40% prevista dall’art. 5-bis cit. ed ha previsto un aumento del 10% dell’indennità, e che l’importo così determinato avrebbe dovuto essere rivalutato fino alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado.

1.1. – La censura va accolta solo parzialmente.

La sentenza impugnata ha accertato che il fondo occupato ha natura edificatoria, in quanto ricompreso nel piano di zona per l’edilizia economica e popolare, ed alla relativa occupazione, preordinata alla successiva espropriazione, trova pertanto applicazione il principio enunciato da questa Corte, secondo cui la determinazione dell’indennità è assoggettata, in assenza di disposizioni che stabiliscano diversi peculiari criteri, alla disciplina generale di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 72, comma 4, il quale dev’essere interpretato nel senso che all’immobile va attribuito il medesimo valore per la determinazione tanto dell’indennità per l’occupazione quanto di quella per la sua successiva espropriazione.

Tale affermazione trova fondamento nella natura stessa del procedimento per l’occupazione preliminare, il quale non costituisce più un procedimento autonomo e collegato rispetto a quello di espropriazione, ma è divenuto una mera fase subprocedimentale di quest’ultimo, avuto riguardo all’omogeneità morfologica e funzionale delle indennità spettanti al proprietario in relazione a ciascuno dei due fenomeni, e alla conseguente perdita di autonomia, sotto tale profilo, dell’indennità di occupazione rispetto a quella di espropriazione. Ne consegue che l’indennità di occupazione, se determinabile ai sensi del citato art. 72, comma 4, dev’essere sempre liquidata in misura corrispondente ad una percentuale (legittimamente identificabile nel saggio degli interessi legali) dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area occupata, e non anche con riferimento al valore venale del bene, e ciò anche nel caso in cui la determinazione (o la rideterminazione giudiziale) dell’indennità di espropriazione sia soggetta ai criteri riduttivi previsti dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, (cfr. Cass., Scz. Un., 2 marzo 2004, n. 4241: 23 febbraio 2001, n. 69; Cass., Sez. 1^, 26 luglio 2002, n. 11047).

E’ stato inoltre precisato che il principio in esame trova applicazione anche nell’ipotesi in cui, come nella specie, l’ablazione della proprietà abbia avuto luogo, in difetto di valido ed efficace provvedimento espropriativo, per effetto della c.d.

occupazione appropriativa, non assumendo alcun rilievo la circostanza che in tal caso sia configurabile a favore del proprietario, non già il diritto all’indennità di espropriazione, ma quello al risarcimento del danno, in quanto l’indennità dovuta per la pregressa occupazione temporanea legittima deve essere pur sempre determinata ai sensi delle disposizioni di legge che la disciplinano, e quindi, ove trovi applicazione l’art. 72, comma 4 cit., con riferimento al parametro virtuale rappresentato dall’indennità che sarebbe stata dovuta per l’espropriazione ove il procedimento ablatorio fosse sfociato nella sua prevista fisiologica conclusione (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 luglio 2002, n. 10535; 4 febbraio 2000, n. 1210).

Neppure può assumere rilievo, in riferimento al caso in esame, la circostanza che, essendo l’occupazione intervenuta anteriormente al 30 settembre 1996, il risarcimento del danno sia stato liquidato ai sensi dell’art. 5-bis cit., comma 7 bis (introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, e peraltro dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 349 del 2007 della Corte costituzionale), il quale richiamava i criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione previsti dal comma 1 del medesimo articolo, con esclusione della riduzione del 40% e con aumento dell’importo liquidato nell’ulteriore misura del 10%. Tale disposizione, pur riferendosi alle occupazioni illegittime, precisava, infatti che i criteri da essa introdotti riguardavano esclusivamente la liquidazione del danno, escludendo pertanto che l’importo così determinato potesse essere assunto come parametro di riferimento ai fini della liquidazione dell’indennità dovuta per il periodo di occupazione legittima.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha liquidato l’indennità di occupazione, per ciascun anno, in misura pari agl’interessi legali sull’indennità che sarebbe stata dovuta ne caso in cui la procedura ablatoria si fosse legittimamente conclusa con l’emissione del decreto di espropriazione, facendo riferimento, ai fini della determinazione di tale indennità virtuale, ai criteri di cui all’art. 5-bis, comma 1 anzichè a quelli di cui al comma 1- bis del medesimo articolo, ed escludendo in particolare l’aumento del 10% previsto da quest’ultima disposizione.

1.2. – La questione riguardante l’applicabilità della riduzione del 40% prevista dall’art. 5-bis cit., comma 1, seconda parte, per l’ipotesi in cui l’espropriato non avesse accettato l’indennità di espropriazione determinata ai sensi della prima parte del medesimo comma, convenendo la cessione volontaria dell’immobile, deve ritenersi invece superata per effetto della sentenza n. 348 del 2007, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i primi due commi dell’art. 5-bis, per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, in quanto l’importo liquidato ai sensi delle predelle disposizioni, oscillante nella pratica tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene ed ulteriormente ridotto per effetto dell’imposizione fiscale, risultava privo di un ragionevole legame con il valore venale del bene, e quindi inidoneo ad assicurare anche quel serio ristoro richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, praticamente vanificando l’oggetto del diritto di proprietà.

Ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale delle predette disposizioni ne esclude l’applicabilità con effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi legittimamente considerare esauriti, peraltro, i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato o si sia verificato un altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero si siano verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (cfr. Cass., Sez. 3^, 20 aprile 2010, n. 9329: 19 luglio 2005, n. 15200: Cass. Sez., 18 luglio 2006, n. 16450). La predetta sentenza spiega pertanto efficacia anche in riferimento ai giudizi, come quello in esame, pendenti alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, rendendo inapplicabili i criteri di liquidazione dell’indennità previsti per l’espropriazione delle aree edificabili dalle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime, con la conseguente reviviscenza del criterio del valore venale di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40. A tale criterio fa peraltro riferimento anche il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37 nel testo modificato proprio a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, il quale non è tuttavia applicabile nella specie, riferendosi, ai sensi dell’art. 57 del medesimo D.P.R., come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 307, alle sole procedure espropriative per le quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta successivamente al 30 giugno 2003, nonchè, ai sensi dell’art. 2 cit., comma 90 gli altri procedimenti espropriativi in corso, ma non anche ai giudizi, come quello in esame, riguardanti procedimenti già conclusi (cfr. Cass., Sez. 1^, 8 maggio 2008, n. 11480; 28 novembre 2008, n. 28431; 14 dicembre 2007, n. 26275).

1.3. La necessità di procedere ad una nuova liquidazione dell’indennità di occupazione, in conformità ai criteri divenuti applicabili a seguito della dichiarazione di legittimità costituzionale, comporta altresì il superamento dell’ulteriore censura sollevata dal ricorrente in ordine alla mancata rivalutazione dell’indennità virtuale di espropriazione fino alla data della sentenza di secondo grado, in ordine alla quale, peraltro, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, poichè il diritto all’indennità di occupazione matura al compimento di ogni singola annualità, il relativo importo dev’essere calcolato avendo riguardo all’indennità virtuale di espropriazione determinata in riferimento a ciascuna di queste scadenze (o anche alla data di cessazione dell’occupazione legittima, ove non risultino apprezzabili variazioni di valore del fondo occupato: cfr. Cass. Sez. 1, 10 aprile 2008, n. 9321; 27 luglio 2007, n. 16744; 13 gennaio 2006, n. 563), con esclusione della rivalutazione monetaria, in quanto la relativa obbligazione, scaturente da atto lecito, si configura come debito non già di valore, ma di valuta (cfr. Cass. Sez. 1^, 29 agosto 2002, n. 12651;

13 dicembre 1999, n. 13942).

2. – La cassazione della sentenza impugnata, nella parte concernente la liquidazione dell’indennità di espropriazione, comporta, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., anche la caducazione del capo, avente carattere accessorio, relativo agli interessi sull’importo liquidato, con il conseguente accoglimento del secondo motivo d’impugnazione, con cui il ricorrente censura l’avvenuto riconoscimento dei predetti interessi lino alla data del deposito dell’indennità presso la Cassa Depositi e Prestiti, per violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di espropriazione e dell’art. 1182 cod. civ., sostenendo che la Corte d’Appello ha pronunciato una statuizione non prevista per le ipotesi di occupazione illegittima, e contraria al principio secondo cui le obbligazioni pecuniarie vanno eseguite presso il domicilio del creditore.

3. – la sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Palermo, la quale provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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