Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19950 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 29/09/2011), n.19950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28567-2005 proposto da:

L.D. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA BRUXELLES 59, presso l’avvocato FERIOZZI ANTONIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE GIROLAMO ANTONIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FINCIMEC SUD S.R.L. (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOVANNI PITTALUGA 15, presso l’avvocato ORSINI ALESSANDRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRATARCANGELI SEBASTIANO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4770/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CAFFARELLI FRANCESCO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel corso di una causa proposta dinanzi al Pretore di Frosinone da L.D. nei confronti della Fincimec Sud srl per la reintegrazione nel rapporto di lavoro ed il risarcimento dei danni, la convenuta depositava una lettera di dimissioni in data 17 settembre 1992 ed una quietanza delle spettanze di fine rapporto in data 27 gennaio 1993, sottoscritte dal L.. Questi dichiarava di voler proporre querela di falso e, a seguito di ordinanza del Pretore, adiva per la causa di falso il Tribunale che, espletata prova testimoniale, con sentenza dell’8 febbraio 2001 dichiarava la nullità della querela a norma dell’art. 221 c.p.c., comma 2, per non avere indicato il L. nella querela gli elementi e le prove del falso, e compensava le spese. L’appello proposto dal L. – al quale resisteva la Fincimec Sud srl proponendo anche appello incidentale con riguardo sia alla compensazione delle spese sia al rigetto della eccezione di nullità per mancata allegazione della querela al verbale di causa-veniva definito dalla Corte d’appello di Roma con sentenza di rigetto sia dell’appello principale sia dell’incidentale. Riteneva la Corte, per quanto qui ancora rileva: a) che la denunciata ultrapetizione non sussisteva avendo il Tribunale dichiarato la nullità su espressa eccezione di parte, ed in ogni caso la nullità, siccome insanabile e quindi causa di inammissibilità della querela, si sarebbe potuta dichiarare anche d’ufficio; b) che la indicazione prescritta dall’art. 221 c.p.c., comma 2 doveva essere completa ed articolata e non poteva essere riservata ad un momento successivo la più compiuta articolazione delle circostanze e delle prove, mentre il L. si era limitato ad affermare che due fogli erano stati da lui firmati in bianco all’atto dell’assunzione, senza precisare in cosa sarebbe consistita la falsità e se essa avesse interessato l’intero contenuto delle scritture o soltanto una parte, nè aveva articolato i mezzi istruttori di prova, che solo a seguito di successiva articolazione erano stati ammessi dal giudice istruttore con salvezza della decisione in merito alla denunciata inammissibilità.

Avverso tale sentenza, resa pubblica in data 8 novembre 2004, L.D. ha, con atto notificato in data 8 novembre 2005, proposto ricorso a questa Corte affidato a quattro motivi. Resiste la Fincimec Sud con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la statuizione di rigetto della sua eccezione di extrapetizione e ultrapetizione, denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 157 c.p.c., commi 1 e 2, con riferimento all’art. 221 c.p.c., comma 2.

Trascrive (infedelmente secondo la controricorrente) le deduzioni di controparte per dimostrare che questa non aveva sollevato in primo grado l’eccezione di nullità sotto il profilo accolto, e che quindi erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che l’eccezione aveva ad oggetto la inosservanza di tutte le prescrizioni dell’art. 221 cpv..

Rileva che la Fincimec era l’unica, quale unico interessato (avendo prodotto il documento impugnato), a poter opporre la nullità della querela, che non sarebbe rilevabile d’ufficio perchè l’art. 221 c.p.c. non lo prevede.

1.1 La doglianza è infondata. Il disposto dell’art. 221 c.p.c., comma 2 indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere – anche d’ufficio – un accertamento preliminare per verificare la sussistenza dei presupposti che ne giustificano la proposizione, onde evitare una ingiustificata dilatazione dei tempi della decisione del processo principale che violerebbe l’interesse della generalità degli utenti ad una ragionevole durata dei processi, interesse avente rilevanza costituzionale a norma dell’art. 111 Cost., comma 2. (cfr.

da ultimo Cass.S.U. 23 giugno 2010 n. 15169).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura le valutazioni espresse dalla Corte di merito in ordine alla incompletezza delle indicazioni degli elementi e delle prove della falsità, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 221 c.p.c, comma 2.

Sostiene che nella querela (di cui trascrive il contenuto) egli, deducendo di aver sottoscritto all’assunzione diversi fogli in bianco e di non aver mai “vergato” il documento datato 17.9.1992 – oltre che contestando la verità di quanto ivi dichiarato, aveva implicitamente dedotto un abusivo riempimento di fogli firmati in bianco, senza alcuna pattuizione, e formulato istanze di prova testimoniale, di c.t.u. e ordine di esibizione della contabilità della controparte.

2.1 Anche tale doglianza è priva di fondamento. In primo luogo, merita conferma – non avendo peraltro ricevuto puntuali censure – l’affermazione del principio di diritto secondo il quale la indicazione prescritta dall’art. 221 c.p.c., comma 2 – che deve essere, come detto, oggetto di valutazione da parte del giudice nella fase preparatoria rescindente del processo – deve essere completa ed articolata, non essendo consentito riservare ad un momento successivo la più compiuta articolazione di circostanze e di prove, tantomeno la specificazione del tipo di falso che si intende denunciare e le parti del documento sul quale questo inciderebbe (cfr.ex multis Cass. n. 28514/2008; n. 2790/1991; n. 6383/1988). Ciò posto, la valutazione in concreto espressa dalla Corte d’appello si mostra in logica coerenza con il principio di diritto affermato e coglie gli elementi essenziali (completezza e precisione della deduzione della falsità e della articolazione delle istanze istruttorie) sui quali l’esame preliminare deve soffermarsi. Il ricorrente, del resto, non specifica quali elementi la Corte avrebbe omesso di esaminare, si che la sua censura, in definitiva, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame nel merito della valutazione espressa dalla sentenza impugnata.

3. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia, sotto altro profilo, vizio di motivazione e violazione dell’art. 221 c.p.c., comma 2, sull’assunto che l’indicazione delle prove della falsità non sarebbe necessaria allorquando la falsità sia rilevabile ictu oculi: nella specie, ciò risulterebbe, nella scrittura del 17.9.92, dalla inchiostrazione più marcata delle ultime due righe, che farebbe pensare ad un intento successivo di mascherare la non autenticità della dichiarazione. E’ invero agevole rilevare come, nel contesto in esame, un’argomentazione siffatta non possa condurre a conclusioni diverse da quelle espresse nella sentenza impugnata.

4. Nelle statuizioni che precedono resta evidentemente assorbito il quarto motivo, che, con riferimento alla omessa – perchè per l’appunto assorbita – valutazione delle prove raccolte ed alla omessa ammissione delle altre istanze istruttorie, denuncia vizio di motivazione in ordine alla rilevanza di tali prove ed istanze.

5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in Euro 2.500,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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