Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19950 del 21/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/09/2010, (ud. 07/06/2010, dep. 21/09/2010), n.19950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO

CESARE 118, presso lo studio dell’avvocato LEONI MARCELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VALORI ATHOS, giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RICCIONE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio

dell’avvocato BARBANTINI MARIA TERESA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CASTELLANI ENZO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

RIMINI, depositata il 14/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato VALORI, che si rimette ai motivi

di ricorso e ne chiede l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato BARBANTINI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

P.A. impugnava, con due distinti ricorsi, innanzi alla C.T.P. di Rimini gli avvisi di liquidazione I.C.I., notificati dal Comune di Riccione, per gli anni dal 1994 al 1998, eccependo, in via preliminare, la carenza di motivazione in merito alle modalità di liquidazione e la carenza dei requisiti previsti per legge; nel merito, lamentava l’illegittimità dell’operato del Comune, poichè aveva versato l’imposta in misura maggiore di quella dovuta calcolando la stessa secondo i parametri della diversa zona censuaria (zona (OMISSIS)) in cui era stato collocato l’immobile da quella risultante in atti presso l’Ufficio del territorio (zona (OMISSIS)).

Resisteva il Comune, rappresentando che la diversa zona e rendita catastale risultante agli atti era frutto di un errore dell’Ufficio catastale.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, ritenendo corrette le rendite applicate dai contribuenti sulla base di quelle risultanti dagli atti dell’Ufficio del territorio e condannando il Comune alla restituzione di quanto pagato in eccesso.

Impugnava il Comune, chiedendo la riforma della sentenza e rappresentando che l’Ufficio del territorio non aveva dato esecuzione al D.Lgs. n. 568 del 1993, adeguando le zone censuarie alla deliberazione della Commissione censuaria centrale n. 4581 del 11.10.1993, ma che il problema della divergenza delle zone censuarie risultava superato, essendosi l’Agenzia del territorio decisa a dare esecuzione al D.Lgs. n. 568 del 1993, con nota del 3.10.2003. Si costituivano i contribuenti, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame per mancanza di specificità dei motivi, e, nel merito, lamentavano che la messa in atti della nuova rendita con diversa zona censuaria era successiva alla notifica della rendita definitiva notificata al contribuente, nonchè a quella degli avvisi di liquidazione impugnati ed alla sentenza di primo grado, per cui il Comune avrebbe potuto richiedere la maggiore imposta solo con nuovi e diversi avvisi di liquidazione.

All’udienza di discussione del 23.6.2004, P.A. eccepiva, inoltre, l’inammissibilità dell’appello per difetto di legittimazione dell’appellante, non essendo stata prodotta la delibera della Giunta comunale con l’autorizzazione al rappresentante del Comune per la proposizione dell’azione, essendo stato l’appello proposto dal dirigente del settore Risorse economiche.

La C.T.R. dell’Emilia Romagna assegnava con ordinanza al Comune un termine di 90 giorni per la costituzione in giudizio del rappresentante del Comune, non essendosi maturata la decadenza dall’impugnazione. Il Sindaco si costituiva oltre detto termine, in data 6.12.2004, con nuovo atto di appello autorizzato da altra delibera della Giunta e con delega al dirigente per la rappresentanza in giudizio.

La C.T.R., ritenuta legittima la costituzione del Comune, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva dovuta la maggiore imposta richiesta, escludendo però gli interessi e le sanzioni.

Avverso detta decisione P.A. propone ricorso per cassazione con otto motivi. Il Comune di Riccione resiste con controricorso, contestando quanto ex adverso sostenuto.

Diritto

Con la prima censura il contribuente evidenzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2, violazione del principio del ne bis in idem, nonchè contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto valida la costituzione in giudizio del Comune eseguita con nuovo atto di appello autorizzata da nuova deliberazione giuntale, anzichè con la ratifica della precedente impugnazione, per cui l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile.

Con il secondo e terzo motivo il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 nonchè l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per essersi la C.T.R. del tutto astenuta dall’esporre le ragioni sulla base delle quali non aveva ritenuto di dichiarare inammissibile l’appello del Comune per mancanza della specificità dei motivi, essendosi l’Ente limitato a descrivere l’escursus storico ed i risultati del contenzioso con l’Ufficio del territorio.

Con la quarta censura si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74 per non avere la C.T.R. considerato che il fatto che l’Ufficio del catasto avesse deciso di porre in esecuzione il D.Lgs. n. 568 del 1993, adeguando le zone censuarie, non poteva incidere sulla legittimità degli avvisi di liquidazione impugnati, poichè essi erano stati emessi nella vigenza di una notifica di rendite catastali diverse, mentre la nuova rendita, mai notificata ai contribuenti, era stata messa in atti in epoca successiva alla notifica degli avvisi di liquidazione impugnati ed alla sentenza di primo grado, in violazione dell’articolo indicato in rubrica che prevede l’efficacia delle nuove rendite solo a decorrere dalla data di notificazione.

Con la quinta censura si evidenzia l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per non avere la C.T.R. in alcun modo motivato la mancata applicazione dell’art. 74 citato e la ritenuta legittimità dell’applicazione retroattiva della nuova rendita catastale e della nuova zona censuaria pur nella vigenza del sopradetto art. 74.

Con il sesto e settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2 nonchè l’omessa o insufficiente motivazione per non avere la C.T.R. ritenuto, a differenza della C.T.P., applicabile come base del calcolo dell’imposta de qua l’ammontare delle rendite risultanti in catasto vigenti al primo gennaio dell’anno d’imposizione, omettendo completamente di motivare le ragioni di tale mancata applicazione.

Con l’ultima censura si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 per non avere la C.T.R. dichiarato la nullità degli avvisi di liquidazione per carenza di ogni riferimento relativo alle modalità di liquidazione ed ai parametri applicati per la differenza d’imposta da corrispondere in contrasto con la disposizione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

La C.T.R. non avrebbe dovuto ritenere ammissibile il nuovo atto di appello proposto dal Comune di Riccione, pur se nelle forme previste per legge, in quanto i termini sia per l’impugnazione che quello di 90 giorni concesso dal giudice all’udienza di discussione erano ormai inesorabilmente decorsi, per cui la successiva regolarizzazione della costituzione in giudizio e del mandato alle liti conferito al dirigente dal Sindaco, a seguito di delibera giuntale, giusto il disposto dell’att. 26, comma 2, lett. q), dello Statuto comunale, avendo efficacia ex mine ai sensi dell’art. 182 c.p.c., non sana la decadenza nel frattempo intervenuta. (cfr., ex multis, cass. civ. sent. nn. 6297 e 17525 del 2003).

Questa Corte, infatti, ha più volte sostenuto che “In base al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ferma rimanendo la esclusiva spettanza al sindaco – e non anche ai dirigenti dell’ente – del potere di rappresentanza processuale del Comune, deve ritenersi legittimo il rilascio della procura alle liti al difensore da parte di un dirigente comunale (nella fattispecie, il funzionario titolare dell’ufficio tributi”) in virtù di delega sindacale all’esercizio del suddetto potere, allorchè la delega contenga la specificazione, attraverso il richiamo ai soli affari di competenza dell’ufficio di cui il dirigente sia responsabile – in ordine ai quali è perciò dotato dei poteri di rappresentanza sostanziale chiaramente attribuitigli dal citato D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 – dei rapporti cui deve intendersi riferito il conferimento dei poteri di rappresentanza processuale: ciò consente, infatti, di escludere sia che sussistano elementi di indeterminatezza della delega sindacale, sia che si sia realizzata una surrettizia sostituzione del legale rappresentante dell’ente.(cass. civ, sent. n. 5463 del 2005).

Successivamente in materia si sono anche pronunciate le sezioni unite di questa Corte affermando il principio di diritto secondo cui:” Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo Statuto del Comune – ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo Statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare – può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. In particolare, qualora lo Statuto (o, nei limiti già indicati, il regolamento) affidi la rappresentanza a stare in giudizio in ordine all’intero contenzioso al dirigente dell’ufficio legale, questi, quando ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l’incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l’ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale), e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione”. Cass. civ. SS.UU. sent. n. 12868 del 2005.

Dai principi in precedenza esposti consegue che lo Statuto può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico – amministrativa del Comune, ma che, ove una specifica previsione statutaria non sussista, il sindaco resta il solo soggetto titolare del potere di rappresentanza processuale, ai sensi dell’art. 50 del testo unico.

Nella specie, le condizioni surriferite non sono sussistenti, dato che lo Statuto di quel Comune all’art. 26 prevede, al comma 1 che “il Sindaco è l’organo responsabile dell’Amministrazione comunale e la rappresenta”, ed al successivo comma 2, lett. q): il Sindaco “conferisce procura speciale per le controversie attive e passive previa delibera autorizzativa della Giunta ad agire in giudizio relativamente agli atti di competenza del Consiglio, della Giunta e dello stesso Sindaco.”. Lo stesso Statuto nulla invece prevede in capo ai dirigenti per quanto concerne le controversie giudiziarie.

Nè, peraltro, è ostativa a tale decisione la previsione del D.L. n. 44 del 2005, art. 3 bis convertito in L. n. 55 del 2005, che sostituisce il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3 che così dispone: “L’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio.

La disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, avvenuta il 1 giugno 2005.

Tale norma, infatti, non sancisce espressamente la legittimazione processuale dei funzionari comunali, rimanendo tale legittimazione sempre sottoposta alle condizioni di cui alla decisione succitata delle SS.UU. di questa Corte, emessa in data successiva al decreto legge il quale, peraltro, risulta espressamente citato in quella decisione.

Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita ogni altra eventuale censura, poichè, nella specie, tali formalità non sono state rispettate nell’atto introduttivo del gravame, la rappresentanza e la difesa dell’Ente effettuata dal dirigente del settore Risorse economiche innanzi alle Commissioni tributane senza il rispetto della procedura di cui al citato art. 26 dello Statuto sono da ritenersi illegittime ed irrituali, mentre il secondo atto di appello, sia pure ritualmente formato, era stato proposto dopo che si era ormai verificata la decadenza.

L’accoglimento del primo motivo rende superfluo l’esame delle successive censure; conseguentemente alla luce delle considerazioni sopra riportate e dichiarati assorbiti tutti gli altri motivi ed ogni altra eventuale censura, va cassata senza rinvio la sentenza impugnata che ha fatto riferimento ad una diversa regola iuris e, poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c. dichiarando inammissibile l’appello del Comune di Riccione.

Tuttavia tenuto conto delle vicende processuali e della particolarità della situazione di merito, si ritiene equo compensare le spese del grado di appello e del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello del Comune di Riccione. Compensa le spese del grado di appello e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, sezione tributaria, il 7 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2010

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