Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19948 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. II, 23/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 23/09/2020), n.19948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27055-2019 proposto da:

S.K., rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA FRANCO,

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 891/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio 3 del

25/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), faceva ingresso sul territorio nazionale in data 30.1.2007 e da quel momento fruiva di permesso di soggiorno per motivi familiari, della durata biennale, via via rinnovato a fronte della sua convivenza con il fratello, cittadino italiano.

In data (OMISSIS) il ricorrente contraeva matrimonio con M.C.M., cittadina (OMISSIS), ed inoltrava in data 7.9.2017 richiesta di rinnovo del proprio permesso di soggiorno per motivi familiari, allegando l’avvenuto matrimonio con una cittadina di un Paese membro dell’U.E.

In data 26.10.2017 la Questura di Cuneo emetteva provvedimento di rigetto di detta ultima istanza, a fronte della condanna penale irrogata al S. con sentenza del Tribunale di Cuneo del 28.11.2016, per assenza del requisito reddituale previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 nonchè per la dimostrata indole violenta del richiedente.

Interponeva ricorso avverso detto provvedimento il Sud ed il Tribunale di Torino, con ordinanza di accoglimento del 18.8.2018, ordinava il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Avverso detta decisione proponeva appello l’Avvocatura dello Stato e la Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata n. 891/2019, accoglieva il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di detto provvedimento S.K. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della Convenzione E.D.U., 28 e 29 della Direttiva CE 38/04, 5 della Direttiva CE 2008/115/CE, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20 e art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe omesso valutare la pericolosità sociale in concreto ed all’attualità, dando rilievo soltanto alla condanna penale riportata dal richiedente nel (OMISSIS). Ad avviso del S., invece, la dimostrazione della convivenza con la moglie comunitaria, della stabilità reddituale e della buona condotta successiva alla condanna avrebbero dovuto condurre il giudice di merito ad una conclusione differente.

La censura è inammissibile in quanto essa si risolve in una istanza di revisione del giudizio di fatto devoluto al giudice di merito. Nel caso di specie la Corte piemontese ha condotto una valutazione della pericolosità sociale del S. non soltanto sulla base della mera esistenza del precedente penale del (OMISSIS), ma apprezzando le modalità della condotta delittuosa perpetrata dal richiedente in quell’occasione, evidenziando in particolare: 1) l’oggettiva gravità del reato di tentato omicidio; 2) il fatto che lo fisso fosse stato realizzato nel contesto di una sparatoria avvenuta sulla pubblica via, in presenza di abitazioni, con relativo rischio di coinvolgimento di terze persone; 3) la gravità della ferita all’addome causata al soggetto offeso dal reato; 4) la circostanza che con la medesima sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., fosse stata condannata per il diverso reato di cui all’art. 378 c.p. anche la moglie del S.; 5) la minusvalenza, rispetto al quadro di pericolosità emergente dagli elementi di cui anzidetto, dell’inserimento lavorativo e familiare del Sud, poichè detti elementi “… erano presenti anche al momento del grave reato commesso e non ne hanno impedito la commissione, fra l’altro con modalità (utilizzo di arma da fuoco con numero di matricola abrasa) che evidenziano la frequentazione di soggetti in grado di fornirgli armi illegali” (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata); 6) l’irrilevanza dell’ammissione del S. ai benefici della liberazione anticipata – con fine pena al 2 aprile 2019 – e della detenzione domiciliare con autorizzazione a svolgere attività lavorativa, posto che dette circostanze non facevano venir meno la gravità del reato e della relativa condotta; 7) la subvalenza, infine, della lunga durata del soggiorno del S. in Italia -essendo anch’esso elemento già presente al momento della commissione del reato – e delle esigenze di tutela dell’unità familiare, alla luce della condanna della moglie per favoreggiamento personale.

Tale valutazione, che non è evidentemente limitata alla mera esistenza della condanna penale, ma prende le mosse dalle modalità di realizzazione del fatto-reato e le considera nella loro oggettiva gravità e significatività, ponendole in relazione alla condotta complessiva del richiedente e dunque agli altri elementi da questo addotti a proprio favore, è coerente con i principi affermati da questa Corte, secondo i quali la valutazione della pericolosità sociale dello straniero va condotta mediante il riscontro dell’esistenza dei presupposti di appartenenza dello stesso ad una delle categorie di persone pericolose indicate dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1 come sostituito dalla L. n. 327 del 1988, art. 2 ovvero dalla L. n. 575 del 1965, art. 1 come sostituito dalla L. n. 646 del 1982, art. 13 norme tutte confluite nell’ambito del cd. codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, approvato con D.Lgs. n. 159 del 2011, secondo quanto previsto dall’art. 116 di tale ultima disposizione normativa. Detto riscontro va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita (Cass. Sez.1, Ordinanza n. 20692 del 31/07/2019, Rv. 654673; Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 16626 del 05/07/2017, non massimata; Cass. Sez.1, Sentenza n. 12721 del 30/08/2002, Rv. 558176; Cass. Sez.1, Sentenza n. 5661 dei 10/04/2003, Rv. 562576; Cass. Sez.1, Sentenza n. 11321 del 16/06/2004, Rv. 573670; Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 17585 del 27/07/2010, Rv. 614252; Cass. Sez.6-1 Ordinanza n. 18482 del 08/09/2011, Rv. 618978). Nella verifica della concreta sussistenza dei presupposti della pericolosità sociale, inoltre, il giudice di merito ha poteri di accertamento pieni, sia pure circoscritti all’ambito fattuale dedotto dalle parti, che non sono limitati in alcun modo da un’insussistente discrezionalità dell’amministrazione (Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 11466 del 14/05/2013, Rv. 626614; Cass. Sez.6-1 Ordinanza n. 24084 del 25/11/2015, Rv. 637703; nonchè Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20692 del 31/07/2019, Rv. 654673, cit.).

Con il provvedimento impugnato il giudice di merito ha condotto la valutazione di pericolosità sociale del S. non soltanto sulla base del suo grave precedente penale, ma tenendo conto della sua complessiva condotta, precedente e successiva alla commissione del reato, nonchè alle peculiari modalità con cui l’azione criminosa è stata condotta. Va in proposito ribadito che le modalità con cui è stato commesso il reato sono certamente elementi da considerare nell’ambito dell’apprezzamento di competenza del giudice di merito, posto che essi rappresentano una modalità di esplicazione dell’indole del soggetto. Il loro esame, tuttavia, va condotto in parallelo con le restanti manifestazioni della personalità dell’interessato, in guisa tale che l’esistenza del precedente penale non possa esaurire il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto. Nel caso di specie, la Corte torinese ha fatto corretta applicazione dei precetti di questa Corte, procedendo ad una complessiva valutazione della personalità dello straniero, della sua condotta di vita, anteriore e successiva al reato, delle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, esprimendo all’esito un coerente giudizio di pericolosità sociale che non può, in quanto tale, essere oggetto di revisione in questa sede, non potendosi utilmente invocare in cassazione il mero riesame del giudizio di fatto compiuto, nel rispetto dei criteri previsti dalla legge, dal giudice di merito.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel confermare il provvedimento di rigetto emesso dal Questore di Cuneo in base al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 senza considerare che detta norma non era applicabile al caso di specie, avendo il S. richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, e non invece come soggiornante di lungo periodo.

La censura è inammissibile per carenza di interesse concreto all’impugnazione. Ed invero la Corte di Appello, pur dando atto che la Questura di Torino aveva erroneamente fatto riferimento alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 relativa al permesso a tempo indeterminato per i cd. soggiornanti di lungo periodo, ha poi esaminato la posizione soggettiva del S. in relazione alla norma in concreto applicabile, ovverosia al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30 il quale consente il rilascio, in favore dello straniero titolare del diritto di ricongiungimento con un prossimo congiunto regolarmente residente e dimorante in Italia, di un permesso di soggiorno per motivi familiari di durata corrispondente a quella del familiare con il quale il medesimo si deve ricongiungere. Considerato che, in materia di immigrazione, il giudice ordinario non è investito del semplice potere di sindacare la regolarità e legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma del ben più ampio potere-dovere di apprezzare se il richiedente abbia, o meno, il diritto di fruire del trattamento che egli in concreto invoca, l’eventuale vizio del provvedimento impugnato non ha alcuna rilevanza, nel caso specifico, poichè l’istanza del S. è stata comunque esaminata dal giudice di merito, che ha provveduto ad inquadrarla correttamente nel vigente sistema normativo di riferimento ed ha quindi fornito compiuta risposta alla domanda di giustizia formulata dall’odierno ricorrente.

In proposito, merita di essere ribadito il principio per cui “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez.6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498). In assenza di tale prospettiva di risultato utile, non è configurabile l’interesse concreto ad ottenere una pronuncia di mero principio, nè può, d’altro canto, ammettersi la cassazione di un provvedimento a contenuto decisorio in assenza della dimostrazione della natura decisiva del vizio in concreto lamentato dalla parte ricorrente (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 15781 del 28/07/2005, Rv. 583090; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2138 del 31/01/2006, Rv. 587859; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5344 del 04/03/2013, Rv. 625408; Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 16102 del 02/08/2016, Rv. 641581).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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