Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19945 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 29/09/2011), n.19945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19614-2009 proposto da:

C.P. (c.f. (OMISSIS)), P.R. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.B. VICO

31, presso l’avvocato SCOCCINI ENRICO, che li rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BRESSANONE 3, presso l’avvocato CASOTTI

CANTATORE MARIA LUISA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LEPRI ALESSANDRO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 489/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato SCOCCINI ENRICO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CASOTTI CANTATORE MARIA

LUISA che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Siena, con sentenza del 22 febbraio 2006, accogliendo la domanda proposta da C.P. e P.R. nei confronti del Monte dei Paschi di Siena s.p.a., annullava – perchè ottenute con il raggiro costituito dal far firmare fogli in bianco poi riempiti abusivamente – le fideiussioni sottoscritte dagli attori in favore del Monte dei Paschi di Siena Factor spa – che in corso di causa era stato incorporato dal Monte dei Paschi di Siena spa – e condannava la convenuta al risarcimento dei danni in favore degli attori, liquidandoli equitativamente in Euro 2.000,00 per ciascuno.

Rigettava inoltre la domanda riconvenzionale proposta dal Monte dei Paschi nel giudizio, instaurato dai medesimi attori dinanzi al Tribunale di Torino, di opposizione al decreto ingiuntivo emesso da quel Tribunale per il pagamento della somma dovuta alla banca dalla debitrice principale, la APOC-Associazione Produttori Ovini Caprini Latte; giudizio che, a seguito della dichiarazione di nullità del decreto per continenza e della riassunzione dinanzi al giudice del primo giudizio, era stato a questo riunito. Interponeva appello il Monte dei Paschi, al quale resistevano C. e P. proponendo anche appello incidentale relativamente alla liquidazione del danno da essi subito. La Corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame principale rigettando le domande proposte da C. e P. e condannando i medesimi al pagamento in solido di Euro 319.195,80 oltre interessi al tasso convenzionale e spese del doppio grado. Riteneva la Corte che la tesi degli attori doveva intendersi nel senso che il modulo da loro sottoscritto in bianco era stato riempito al di fuori di qualsiasi patto; e che quindi, alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la difformità tra la imputabilità formale della scrittura ed il contenuto che la stessa esprime non è accettabile – come invece aveva ritenuto il primo giudice – secondo i normali mezzi di prova, ma unicamente con la querela di falso, nella specie non proposta, con la conseguenza che detta tesi restava indimostrata ed indimostrabile.

Avverso tale sentenza, depositata il 8 aprile 2009 e notificata il successivo 19 giugno, C.P. e P.R. hanno, con atto notificato il 3 settembre 2009, proposto ricorso a questa Corte affidato a sette motivi. Resiste il Monte dei Paschi di Siena con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omesso esame della domanda di declaratoria di nullità delle fideiussioni per carenza della volontà negoziale; domanda da essi proposta in primo grado in alternativa a quella – accolta dal giudice di primo grado – di annullamento per dolo e richiamata esplicitamente, ex art. 346 c.p.c., nella comparsa di risposta in appello. Con il secondo motivo, in via gradata, per l’ipotesi che si ritenga implicito il rigetto della domanda di nullità da parte della Corte di merito, denunziano la violazione dell’art. 32 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa motivazione di tale implicita statuizione di rigetto. Entrambe le doglianze – la cui stretta connessione ne consente l’esame congiunto – sono prive di fondamento. In primo luogo, la Corte d’appello ha testualmente precisato che “le domande attrici vanno in toto respinte …” dopo averne riportato fedelmente l’oggetto nella parte espositiva dello svolgimento del processo. Inoltre, nella motivazione non ha esaminato la sola domanda di annullamento, bensì la tesi sulla quale gli attori in primo grado, odierni ricorrenti, hanno basato entrambe le domande di nullità e di annullamento delle fideiussioni: che cioè le scritture negoziali siano state riempite da altri all’insaputa o contro la volontà dei sottoscrittori. E, rilevando come tale tesi in fatto sia, in mancanza di querela di falso, “indimostrata ed indimostrabile”, ha esaustivamente esposto le ragioni del rigetto di entrambe le domande.

2. Con il terzo e quarto motivo, i ricorrenti censurano in via gradata la pronuncia di rigetto della domanda di nullità. Da un lato, denunziano in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame degli elementi probatori acquisiti nel giudizio di merito (in particolare delle risultanze della prova testimoniale) circa la assoluta non riconducibilità alla loro volontà delle fideiussioni, perchè ottenute solo attraverso un raggiro, consistito nel sottoporre loro la sottoscrizione di un documento nascosto tra altri documenti da sottoscrivere, di diverso contenuto ed effetti, e tacendo la circostanza. Lamentano inoltre che la Corte, rigettando la domanda di nullità, non abbia considerato che l’inganno sul significato della dichiarazione negoziale costituisce motivo di nullità del negozio stesso per difetto assoluto di volontà, così incorrendo anche nella violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 2, art. 1325 c.c., comma 1, n. 1, e art. 1324 cod. civ..

I due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono infondati, perchè non intercettano la rado decidendo della statuizione censurata. Che, come già si è evidenziato, è incentrata sull’assorbente principio secondo cui la deduzione di una divergenza tra volontà negoziale e dichiarazione sottoscritta è, in mancanza della querela di falso ritenuta nella specie necessaria, inammissibile, nel senso che tale divergenza può essere, in tali casi, provata solo nei modi e nelle forme stabilite dall’art. 221 e segg. c.p.c..

3. Analoghe considerazioni valgono anche per il quinto e sesto motivo, con i quali, in relazione al rigetto della domanda di annullamento per dolo delle fideiussioni, si denunziano, rispettivamente, la violazione dell’art. 1439 cod. civ. e l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza nella specie della condotta dolosa. Anche qui i ricorrenti, premesso che era risultato provato dal l’istruttoria svolta in primo grado il raggiro perpetrato dai funzionari della banca in loro danno, si dolgono della omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della disciplina relativa alla invalida formazione del negozio fideiussorio per avere la Corte incentrato il suo esame sulla sola questione – che i ricorrenti ritengono secondaria – del riempimento del foglio firmato in bianco.

Lamentano inoltre che, in tal modo, la Corte avrebbe omesso di esporre le ragioni in base alle quali avrebbe ritenuto di negare rilevanza all’inganno perpetrato dalla banca. Ma la sentenza impugnata non ha affatto negato rilevanza al dedotto raggiro, ha semplicemente negato la ammissibilità della premessa dalla quale muovono i ricorrenti nella loro prospettazione. Se infatti, come precisato nella sentenza in esame, la mancanza di collegamento tra la dichiarazione negoziale e la sua sottoscrizione (e quindi sulla provenienza della prima) non è, nella ipotesi considerata, accettabile secondo i normali mezzi di prova ma unicamente con la querela di falso, ne consegue evidentemente, da un lato, la inutilizzabilità delle prove raccolte in primo grado in difetto di querela, dall’altro la irrilevanza delle argomentazioni in diritto che sulle risultanze di tali prove si fondano.

4. Con il settimo motivo, i ricorrenti censurano la statuizione concernente la sussistenza, nella prospettazione della domanda, di una ipotesi di riempimento “absque pactis”, anzichè “contra pacta”, di foglio firmato in bianco, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ.. Chiedono di dire “se, nel caso in cui gli attori abbiano sottoscritto dei fogli in bianco allo scopo di condurrà a termine una operazione di rinnovo di affidamento bancario in relazione ad un rapporto di conto corrente e la banca mandatario ad scribendum abbia riempito uno dei fogli con il contenuto di una assunzione di obbligazione fideiussoria in relazione ad un rapporto di factoring con un soggetto terzo, il riempimento difforme dalla autorizzazione rilasciata dal sottoscrittore rende la fattispecie estranea alla querela di falso”. Anche qui la risposta non può che essere negativa, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità. Posto che la diversa disciplina del riempimento “absque pactis” rispetto a quello “contra pactà” si spiega perchè, mentre nella seconda ipotesi l’abuso si traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione negoziale in relazione allo strumento adottato (mandato “ad scribendum”) con la non corrispondenza tra il dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare, nella prima ipotesi l’abuso incide più radicalmente sulla stessa provenienza e riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, si ritiene che una utilizzazione assolutamente abnorme del foglio firmato in bianco che comporti una difformità tra la dichiarazione negoziale e la convenzione di riempimento tale da travolgere qualsiasi collegamento tra la dichiarazione stessa e la sottoscrizione non possa non rientrare nella ipotesi più radicale, assimilabile al falso materiale (cfr.ex multis Cass. n. 18059/2007; n. 308/2002; n. 8960/1998). Mancanza assoluta di collegamento che emerge chiaramente nella deduzione dell’abuso formulata nella specie dai ricorrenti; e che del resto si mostra coerente con la pur distinta allegazione di una nullità del negozio per difetto assoluto di volontà negoziale, a causa della affermata condotta fraudolenta di controparte.

5. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 – di cui Euro 5.000,00 per onorari – oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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