Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19942 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 16/05/2011, dep. 29/09/2011), n.19942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Comune di Monterotondo, elett.te dom.to in Roma via Fracassini 18,

presso lo studio dell’avv.to Venettoni Roberto che, unitamente agli

avv.ti F. Jacomelli e C. Curreri, lo rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

V.R., elett.te dom.to in Roma, via Andrea Doria 64,

presso lo studio dell’avv.to Massimiliano Sbernini, rappresentato e

difeso dall’avv.to Pompei Claudio giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5488/2006 della Corte di Appello di Roma,

sezione 1^ civile, emessa il 6 ottobre 2006, depositata il 11

dicembre 2006, R.G. nn. 3189 e 6839/2003;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16 maggio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Venettoni per la parte ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’architetto V.R. ha convenuto in giudizio il Comune di Monterotondo chiedendo la sua condanna al pagamento della somma di L. 245.850.893 per il pagamento di vari progetti redatti a seguito di incarichi conferiti con delibere adottate dal Comune nel periodo 1981- 1986 o, in subordine, la condanna del Comune al pagamento della stessa somma a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c..

Il Comune si è costituito eccependo la prescrizione del credito e la mancata acquisizione del finanziamento a cui era condizionato il pagamento del professionista.

Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c.. Ha proposto appello il Comune insistendo nell’eccezione di prescrizione e in quella di inammissibilità della domanda D.L. n. 66 del 1989, ex art. 23 (convertito in L. n. 144 del 1989) nonchè nella contestazione dei presupposti per l’accoglimento della domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c.. Ha proposto appello incidentale V. al fine di ottenere l’accoglimento della domanda principale.

La Corte di appello di Roma ha dichiarato l’inammissibilità per tardività dell’appello incidentale e ha respinto l’appello del Comune di Monterotondo rilevando l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione perchè proposta, con riferimento alla domanda subordinata di indennizzo ex art. 2041 c.c., per la prima volta in appello, nonchè l’inapplicabilità retroattiva della disciplina introdotta dal D.L. n. 66 del 1989.

Ricorre per cassazione il Comune di Monterotondo deducendo cinque motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso V.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Comune deduce l’omessa pronuncia nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 e il macroscopico travisamento dei fatti. Il Comune rileva che, sin dal primo grado, aveva eccepito la prescrizione di ogni diritto dell’attore al pagamento delle prestazioni professionali con ciò riferendosi anche alla proposta domanda ex art. 2041 c.c..

L’omessa formulazione del prescritto quesito di diritto e di una sintesi idonea a identificare il fatto controverso su cui si assume la mancanza o contraddittorietà della motivazione ovvero le ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione comporta l’inammissibilità del motivo.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 66 del 1989, art. 23 come convertito nella L. n. 144 del 1989. Il Comune ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se la predetta disposizione di legge debba ritenersi applicabile alle prestazioni eseguite prima della sua entrata in vigore laddove l’azione giudiziale per la ripetizione del relativo corrispettivo sia stata tuttavia proposta successivamente all’entrata in vigore della normativa de qua.

Al quesito deve darsi risposta negativa in quanto solo una espressa volontà del legislatore avrebbe potuto prevedere e giustificare l’applicabilità della disposizione a incarichi affidati prima della entrata in vigore della nuova normativa che costituisce indubbiamente un mutamento della disciplina relativa all’esperimento delle azioni a tutela del diritto a percepire il compenso per un’opera utilmente svolta a favore della pubblica amministrazione con evidenti ricadute in termini di tutela dell’affidamento del professionista sulla legittimità dell’incarico ricevuto.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione sotto altro profilo del D.L. n. 66 del 1989, art. 23 convertito in L. n. 144 del 1989 e riprodotto nel D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e erronea individuazione dei presupposti per l’azione ex art. 2041 c.c..

Il Comune ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se il requisito della sussidiarietà ex art. 2042 c.c. sia carente nell’ipotesi in cui il presupposto dell’utilitas della prestazione per la pubblica amministrazione, indispensabile per l’esercizio dell’azione di arricchimento senza causa, si maturi dopo l’entrata in vigore del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 convertito in L. n. 144 del 1989 e riprodotto nel D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 che prevede l’azione diretta nei confronti dell’amministratore o del funzionario della p.a. e in particolare se il presupposto della utilitas possa ritenersi maturato nel caso di approvazione espressa da parte degli organi rappresentativi di un’amministrazione pubblica di un progetto per la ristrutturazione e l’ampliamento di un bene immobile non appartenente al patrimonio di tale amministrazione bensì appartenente al patrimonio di altra amministrazione pubblica.

Il motivo di ricorso è infondato. Il requisito della sussidiarietà consiste nell’assenza di un rimedio di carattere specifico o ordinario atto a reintegrare la parte che ha determinato l’arricchimento altrui in una posizione di equilibrio economico. Tale elemento ricorre nella specie come conseguenza dell’inapplicabilità della L. n. 144 del 1989 dato che l’irretroattività di tale legge e del decreto legge che essa ha convertito ne impedisce l’applicazione a un rapporto come quello intercorso fra il Comune di Monterotondo e il V., sorto ed eseguito prima della sua entrata in vigore.

L’elemento fondativo dell’arricchimento costituito dall’ utilitas è stato riscontrato come esistente dal giudice di merito in quanto in più occasioni vi è stato il riconoscimento implicito e formale da parte del Comune dell’intenzione di utilizzare il progetto realizzato dal V. e messo a disposizione del Comune. La concreta utilizzabilità del progetto sull’area cui era destinato, secondo le intenzioni del Comune, è un dato ulteriore e non condizionante l’esistenza della utilitas al fine del riconoscimento del diritto all’indennizzo (cfr. Cass. civ. 3222/1999) .

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 sotto altro profilo nonchè la erronea determinazione dell’indennità per ingiustificato arricchimento. Il Comune sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se l’importo dovuto al professionista ai sensi dell’art. 2041 c.c., possa corrispondere esattamente all’ammontare indicato dalla parcella professionale ovvero se, in alternativa, possa essere determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., tenuto conto di tutte le concrete circostanze dedotte dal convenuto ed, in particolare dell’effettivo vantaggio economico conseguito tramite la prestazione del professionista, eventualmente rimettendo al giudice del rinvio al fine di determinare in concreto l’indennità spettante all’arch.

V..

Il motivo di ricorso è infondato. Infatti come la Corte di appello ha correttamente rilevato la giurisprudenza di legittimità afferma chiaramente che la tariffa professionale può essere utilizzata come parametro di valutazione dell’indennità ex art. 2041 c.c. per desumere il risparmio conseguito dal Comune committente rispetto alla spesa cui esso sarebbe andato incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 404 del 1977, art. 6 in riferimento alla L. n. 13 del 1949, artt. 4, 6 e 13 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il Comune sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto : se trovi applicazione nelle controversie aventi ad oggetto la domanda per ingiustificato arricchimento la disciplina generale di cui alla L. n. 404 del 1977, art. 6 in forza della quale il professionista ha l’onere di documentare le spese forfettarie effettivamente sostenute e delle quali chiede il rimborso.

Anche questo motivo è infondato perchè la Corte di appello ha individuato correttamente il rapporto fra il criterio di liquidazione dell’indennità ex art. 2041 c.c. e la normativa sulla liquidazione dei compensi professionali e in particolare sulla refusione delle spese sopportate dal professionista per la realizzazione del progetto. Il carattere indennitario della somma riconosciuta come spettante al V. comporta infatti la inapplicabilità delle citate disposizioni dovendo il giudice del merito procedere alla liquidazione di un compenso globale che tenga conto delle spese richieste valutandone la presumibilità in ragione dell’entità del lavoro svolto.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.300 di cui 200 per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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