Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19942 del 23/09/2020

Cassazione civile sez. II, 23/09/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 23/09/2020), n.19942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23721-2016 proposto da:

B DOMUS SRL, in persona dell’Amministratore Unico, TAT TESSITURA

AUTOMATICA TAVERNERIO SPA, in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CICERONE

44, presso lo studio dell’avvocato MARIANO PROTTO, che le

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO GIOVANNI

BORGHI, MARCO SICA;

– ricorrenti –

contro

S.G., SG IMMOBILIARE SRL, O.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, rappresentati e

difesi dall’avvocato RICCARDO ANANIA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 895/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 7 marzo 2016 la Corte d’appello di Milano: a) ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato: a1) la Tessitura Automatica di Tavernerio s.p.a. (d’ora innanzi, TAT) a ricondurre il proprio fabbricato a distanza legale, rispetto al confine col bene di proprietà dei convenuti Credito Valtellinese, Scudeler Gianluca e O.C., e corrispondere ai convenuti, a titolo di risarcimento del danno la somma di 15,000, Euro, oltre accessori di legge; a2) i convenuti a ripristinare il muro cd. “terre armate” sino all’altezza di tre metri (illegittima essendo la parte eccedente) e rispettando la distanza di cinque metri dal confine; b) in riforma parziale della medesima decisione, ha condannato Credito Valtellinese, lo Scudeler e la O., in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore di TAT nella misura di 15.000,00 Euro, oltre accessori.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la controversia interessava, da un lato, i mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) del Comune di Tavernerio, di proprietà della TAT, che li avrebbe poi trasferiti alla B-Domus s.r.l., e, dall’altro, i mappali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) di proprietà dello Scudeler, della O. e del Credito Valtellinese, sui quali gravava servitù di passo in favore della prima società; b) che la proprietà dello Scudeler, della O. e del Credito Valtellinese era costituita da un fabbricato a due piani, con laboratorio artigianale al piano terra e area a verde sui mappali (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre la proprietà della TAT riguardava un fabbricato industriale, con altezza massima dell’immobile di metri 11,20; c) che tra le due proprietà esiste un passo pedonale che, per buona parte, grava solamente sulla proprietà Scudeler, ad eccezione del primo tratto a cavallo tra le due proprietà;

d) che l’immobile di proprietà Scudeler era stato edificato ad una quota superiore rispetto alla proprietà TAT di metri 8,98; e) che il dislivello tra le due proprietà inizia dal piano del piazzale della TAT e si sviluppava con tre balze sino a raggiungere la quota giardino di proprietà Scudeler.

La Corte d’appello ha quindi rilevato: a) quanto al preteso restringimento del passaggio pedonale tra le due proprietà, che l’accertamento del consulente tecnico d’ufficio aveva consentito di verificare che il passaggio si sviluppa per il primo tratto dalla via Europa sino alla linea di confine con il mappale (OMISSIS), delimitato a sud da un vecchio muro in cemento armato, in ordine al quale non vi erano contestazioni; b) che il secondo tratto lungo il confine dei mappali (OMISSIS) e (OMISSIS) non presentava alcun restringimento, in quanto possedeva una ampiezza maggiore di quella prevista dalla legge; c) che, quanto al profilo della distanza tra le proprietà, il consulente aveva affermato che il vecchio muro edificato negli anni ‘70 nell’attuale proprietà Scudeler poteva essere considerato un punto di riferimento di confine concreto e storico; d) che, rispetto a questo, il fabbricato TAT non rispettava la distanza minima richiesta, in quanto era posizionato a 4,70 metri dal confine invece che a 5,60 metri; e) che tanto la consulenza tecnica d’ufficio, tanto l’accertamento tecnico preventivo smentivano la tesi della TAT di un’altezza inferiore dell’edificio; f) che proprio l’accertata altezza privava di fondamento i rilievi correlati alla L.R. n. 12 del 2005, art. 54 e al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34; g) che non potevano ragionevolmente essere messe in discussione le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, quanto allo sconfinamento dell’immobile di almeno 0,84 metri; h) che, nell’ipotesi di costruzione realizzata in violazione sulle distanze legali, il diritto alla riduzione in pristino e al risarcimento del danno consegue di diritto alla inosservanza di norme preordinate al perseguimento di finalità pubblicistiche; i) che, con riguardo al muro di recinzione realizzato con le cd. “terre armate”, la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che non si trattava di un semplice consolidamento di un versante inclinato, ma di un manufatto realizzato con una specifica metodologia in sostituzione di muri di contenimento tradizionali; l) che l’oggetto dell’originaria domanda della TAT era stato riferito all’intero muro di contenimento e che non rilevava, in contrario, il fatto che la prima parte dello stesso fosse stata realizzata in cemento armato e la seconda con la tecnica delle “terre armate”; m) che il consulente d’ufficio aveva chiarito che il muro aveva artificialmente modificato l’andamento altimetrico del piano di campagna, con la conseguenza che, pur assolvendo anche una funzione di contenimento e di sostegno del terrapieno artificialmente creato, doveva essere equiparato ad un muro di fabbrica; n) che, pertanto, l’arretramento non doveva riguardare l’intero muro, poichè gli artt. 68 e 69 delle norme tecniche di attuazione del Comune prevedono che il muro di contenimento deve distare un metro e mezzo dal confine e può raggiungere, in casi di comprovata necessità, l’altezza massima di tre metri, mentre, superata tale altezza deve ritornare alla distanza di cinque metri dal confine; o) che non era stato dimostrato che il muro non potesse essere arretrato per ragioni di statica, anche in ragione della specifica modalità costruttiva adoperata; p) che fondatamente la TAT si era lamentata del mancato riconoscimento, in proprio favore, del risarcimento del danno, che poteva essere considerato di valore equivalente a quelle riconosciuto in favore delle controparti; r) che il consulente tecnico d’ufficio aveva escluso che il dilavamento delle acque reflue sul passaggio pedonale conducesse ad alcuna obiettiva criticità; s) che, comunque, nelle conclusioni in appello non era stata riportata alcuna domanda avente ad oggetto una statuizione afferente al problema delle acque reflue; t) che, quanto alle risultanze degli accertamenti tecnici, doveva rilevarsi che esse aveva trovato coincidente riscontro in quelle emerse in sede di accertamento preventivo; u) che i convenuti avevano recisamente smentito di avere mai accettato il rilievo topografico al quale aveva fatto riferimento la TAT; v) che, infine, in presenza di due verifiche tecniche sostanzialmente coincidenti e alla luce della coerenza e congruità dell’elaborato e delle note esplicative, non erano ravvisabili ragioni per disporre una rinnovazione dell’indagine.

3. Avverso tale sentenza la TAT e la B-Domus hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui lo Scudeler, la O. e la SG Immobiliare s.r.l., subentrata a Mediocreval s.p.a, già Credito Valtellinese s.c. hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione degli art. 112 e 115 c.p.c.; violazione del principio di contestazione; errore di fatto e di diritto nella valutazione di un punto centrale della controversia.

Si osserva: a) che la deduzione delle ricorrenti, secondo cui il muro che sostiene a valle il camminamento oggetto di servitù ricade interamente nella loro proprietà, nonostante la contraria conclusione della consulenza tecnica d’ufficio, era confermata dalle planimetrie depositate dalla controparte presso il Comune di Tavernerio; b) che la Corte d’appello, nel rigettare tale motivo, affermando che la tesi era “stata recisamente smentita dalla controparte”, dimostrava di non avere esaminato un documento proveniente dalla controparte; c) che, peraltro, la specifica contestazione richiesta dall’art. 116 c.p.c., avrebbe dovuto riguardare lo specifico documento indicato.

La doglianza è inammissibile.

In primo luogo, si rileva che l’onere di contestazione – peraltro codificato dall’art. 116 c.p.c. – riguarda le allegazioni delle parti e non le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all’apprezzamento del giudice (Cass. 1 febbraio 2019, n. 3126).

In secondo luogo, il motivo di ricorso, pur prospettando anche il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, finisce per sollecitare questa Corte di legittimità ad una revisione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito. D’altra parte, la giurisprudenza ha già chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; 17 gennaio 2019, n. 1229).

2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa o falsa motivazione; illogicità e contraddittorietà; contrasto con le risultanze dell’istruttoria.

Si rileva, a proposito delle considerazioni dedicate dalla sentenza impugnata al lamentato restringimento del passaggio pedonale: a) che lo stesso consulente tecnico d’ufficio aveva riconosciuto che il secondo tratto dei passaggio non rispetta le linee di confine che delimitano le due proprietà; c) che nella integrazione peritale del 27 marzo 2012 era stato chiarito che la recinzione di recente realizzazione invadeva la servitù di passo dovuta; d) che l’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale “la mancanza di tale rispetto non limita il passaggio” non considerava che, in forza della servitù, gli odierni ricorrenti avrebbero avuto diritto a recintare l’area di proprietà, il che sarebbe stato precluso dall’illegittima ubicazione della recinzione avversaria; e) che nelle note del 22 maggio 2012 il consulente tecnico d’ufficio aveva sottolineato che “al fine di mantenere il rispetto del confine di proprietà bisogna arretrare il tratto di muro di recente realizzazione”.

Anche il secondo motivo è inammissibile, innanzi tutto perchè, pur invocando la violazione dell’art. 112 c.p.c., neppure chiarisce quale sarebbe stata la violazione tra il chiesto e il pronunciato del quale ci si duole.

In realtà, rispetto alla doglianza avente ad oggetto il restringimento del passaggio pedonale tra le due proprietà, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di tale evenienza.

Le ricorrenti, rispetto a tale accertamento, pongono questioni che investono altre facoltà dominicali, non quelle relative al passaggio, alle quali la domanda proposta si riferisce.

In altre parole, non si ravvisa alcuna violazione della regola dettata dall’art. 112 c.p.c., nè si coglie alcun vizio motivazionale.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 873 c.c., delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale e dell’art. 69 del regolamento edilizio comunale; omessa o falsa motivazione; violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si osserva: a) che, avendo la Corte d’appello rilevato che il muro per il quale era sorta controversia non aveva mera funzione di consolidamento di declivi esistenti, doveva essere rispettata la distanza di cinque metri dal confine per ciascuna delle sue balze, laddove solo per i muri di contenimento e consolidamento il regolamento edilizio consente una deroga alla disciplina delle distanze; b) che la Corte distrettuale aveva anche omesso di esaminare la censura con la quale era stato lamentato che la conformazione a legge dello stato dei luoghi avrebbe dovuto investire anche la balza successiva; c) che, anche ad ammettere l’applicabilità dell’art. 69 del regolamento edilizio comunale, era errata la decisione di ordinare l’eliminazione soltanto della parte più alta della balza oltre 4,5 metri, dal momento che, proprio il rispetto dell’art. 69, alla luce delle indicazioni dell’elaborato grafico, allegato 1, di cui all’integrazione del 26 marzo 2012, imponeva l’arretramento della prima balza di non meno di 118 centimetri; d) che la Corte aveva anche omesso di pronunciarsi sul rilievo della erroneità della decisione di primo grado, laddove aveva ritenuto che la balza da modificare potesse avere altezza eccedente 2.50 metri consentiti dal regolamento edilizio comunale; e) che il mantenimento dell’altezza della prima balza sino a 3 metri e non sino a 2,50 metri non poteva essere giustificata dalla necessità di evitare dissesti, dal momento che la situazione de qua era stata creata dalle controparti per effetto dell’ingentissimo riporto di terra eseguito.

La doglianza è, nel suo complesso, infondata.

Premesso che esattamente la Corte territoriale ha privilegiato la pur concorrente funzione di contenimento dell’opera della quale si discute, ai fini dell’applicazione delle pertinenti norme di attuazione (e solo in questa prospettiva si coglie un profilo di infondatezza della censura), si osserva che le restanti critiche, in parte, aspirano ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità, per quanto detto supra sub 1, in parte denunciano una omissione di pronuncia, in evidente violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, difettando, in ricorso, qualunque puntuale indicazione sia del contenuto specifico della sentenza di primo grado che era stata impugnata sia dei pertinenti motivi di appello.

Come di recente ribadito dalle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo”, essendo anche giudice del fatto, ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; ma con la precisazione che, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario una sollecitazione del potere di accertamento del vizio e cioè che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame. Sicchè il corrispondente motivo in tanto è ammissibile ove contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte allegarli ed indicarli (Cass., Sez. Un., 25 luglio 2019, n. 20181, diffusamente in motivazione).

4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 873 c.c., delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale della L.R. n. 12 del 2005, art. 54 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34; omessa o falsa motivazione; contrasto con le risultanze dell’istruttoria.

Si osserva: a) che le conclusioni della Corte territoriale, quanto al mancato rispetto, da parte del fabbricato della TAT, delle norme in tema di distanze erano erronee, in quanto assumevano un’altezza della costruzione di 11,20 metri, laddove la consulenza tecnica di ufficio aveva accertato che l’altezza corrispondeva a 11 metri, con la conseguenza che lo “sconfinamento” sarebbe di 74 e non di 84 centimetri; b) che, tenendo conto dello spessore del muro che, per quanto rilevato nel primo motivo, si trova interamente nella proprietà dei ricorrenti, la presunta violazione scenderebbe a 49 centimetri; c) che era pertanto erronea la motivazione sviluppata dalla Corte territoriale per negare l’applicabilità della L.R. n. 12 del 2005, art. 54 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34; d) che, in subordine, si era eccepito che, secondo il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, comma 2, non è possibile procedere alla demolizione quando la stessa non può avvenire senza pregiudizio della parte dell’immobile eseguita in conformità alle disposizioni applicabili.

Il motivo è inammissibile, per le ragioni indicate supra sub 1, nella parte in cui aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, collocandosi al di fuori del perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e infondato nell’ultima articolazione, giacchè il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34 concerne il rapporto tra l’autore della violazione edilizia e la p.a.

Al contrario, nell’ambito dei rapporti tra privati, al proprietario confinante che lamenti la violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria (Cass. 31 agosto 2018, n. 21501).

Del tutto inconducente è, infine, l’argomento valorizzato al termine del quarto motivo dalle ricorrenti, a proposito del fatto che lo spigolo dell’immobile che si colloca a distanza non legale non creerebbe intercapedini pregiudizievoli.

A tacer dell’assertività dell’assunto, appare evidente che la nozione di costruzione va colta con riguardo al manufatto nella sua interezza e non a singole parti.

5. Con il quinto motivo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c.; illogicità e irragionevolezza della motivazione; disparità di trattamento, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare il quinto motivo, con il quale le ricorrenti avevano dedotto che era stato loro ordinato di procedere ad un’operazione impossibile senza compromettere la statica dell’immobile, pur avendo dato atto che si trattava di un intervento strutturale di “complessa e onerosa esecuzione” e pur avendo disposto il mero rimodellamento della ben più incisiva opera delle controparti.

La doglianza è, nel suo complesso, infondata.

In primo luogo, è inesatto che la Corte territoriale non abbia esaminato la censura, visto che ha esplicitamente richiamato il diritto del vicino alla riduzione in pristino, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2.

In secondo luogo, siffatta soluzione è coerente con l’interpretazione della norma fornita dal costante orientamento di questa Corte, la quale, anzi, ha avuto anche modo di aggiungere che l’art. 2058 c.c., comma 2, il quale prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione alle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2359).

6. con il sesto motivo si lamenta violazione dell’art. 873 c.p.c.; omessa ed erronea motivazione; illogicità e irragionevolezza., quando alla sostanziale parificazione, nella liquidazione del risarcimento, dei pregiudizi subiti dalle parti.

La censura è inammissibile, in quanto, pur prospettata anche come violazione di legge, investe, in realtà, la motivazione che sorregge la quantificazione equitativa del risarcimento, collocandosi al di fuori dell’ambito previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere i giudici di merito pronunciato oltre la domanda, che riguardava il solo “muro di contenimento di terrapieno” e non anche l’opera retrostante.

La doglianza è inammissibile.

La denunciata ultrapetizione rappresenta, nella prospettiva dei ricorrenti incidentali, la conseguenza dell’erronea interpretazione della domanda proposta dalle controparti.

Ora, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non pone in discussione il significato della norma, ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5) codice di rito (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684).

Nel caso di specie, è appena il caso di rilevare che i ricorrenti incidentale menzionano un’unica espressione, peraltro tutt’altro che univoca nel senso da loro auspicato (“muro di contenimento di terrapieno”), con la conseguenza che difetta un esame articolato della domanda e soprattutto non emerge alcun indice idoneo a palesare uno dei vizi dell’apparato argomentativo che consentono di scalfire la ricostruzione dei giudici di merito.

8. Con il secondo motivo del medesimo ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 68 e 69 del regolamento edilizio del Comune di Tavernerio e degli artt. 872 e 873 c.c.; nonchè travisamento dei fatti e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si osserva che le opere relative alle cd. “terre armate” sono state regolarmente assentite dal Comune di Tavernerio e rispettano le stesse prescrizioni indicate dalla Corte d’appello (distanza di cinque metri dal confine per la parte di muro che supera i tre metri di altezza), come dimostrato dalla tavola allegata alla relazione di consulenza tecnica d’ufficio.

La doglianza è infondata, sotto il profilo dell’esistenza di un titolo abilitativo del Comune, che evidentemente non ha alcun rilievo nell’ambito del rapporto interprivatistico.

E’ inammissibile nella parte restante, in quanto aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, che si colloca al di fuori dell’ambito del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 68 e 69 del regolamento edilizio del Comune di Tavernerio e degli artt. 872 e 873 c.c.; nonchè travisamento dei fatti e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale condannato i controricorrenti al risarcimento del danno subito dalla controparte in dipendenza di opere che, alla stregua delle superiori considerazioni, non violano alcuna disposizione in materia di distanze. La doglianza resta travolta dal rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale, dal quale dipende logicamente.

10. La reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

 

 

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