Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19940 del 29/09/2011

Cassazione civile sez. I, 29/09/2011, (ud. 16/05/2011, dep. 29/09/2011), n.19940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Aniello Porzio e C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro

tempore, P.A., An., F. e M. e

Pr.Gi., elettivamente domiciliati in Roma via

Marianna Dionigi 57 (studio avv.to Claudia de Curtis), rappresentati

e difesi dagli avv.ti Starace Aldo e Claudia de Curtis, giusta

procura a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

contro

Comune di Vico Equense, elettivamente domiciliato in Roma piazza

Cavour 17, presso lo studio dell’avv.to Barucco Ferdinando

rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Ciancio, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1468/2004 della Corte di Appello di Napoli, 3^

sezione civile, emessa il 16 aprile 2004, depositata il 4 maggio

2004, R.G. n. 1422/02;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16 maggio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gli eredi legittimi di Po.Gi. e la s.n.c. Aniello Porzio & C. convenivano in giudizio il Comune di Vico Equense per ottenere una pronuncia ex art. 2041 c.c. in relazione ai lavori cimiteriali commissionati dal Comune al loro de cuius ed eseguiti almeno in parte oltre che utilizzati dall’amministrazione comunale ma mai pagati.

Si costitutiva il Comune eccependo la inammissibilità della domanda del D.L. n. 66 del 1989, ex art. 23 e la prescrizione del diritto all’indennizzo.

Il Tribunale di Torre Annunziata rigettava la domanda ritenendola inammissibile del D.L. n. 66 del 1989, ex art. 23 convertito nella L. n. 144 del 1989, che prevede la diretta responsabilità dell’amministratore o del funzionario che ha illegittimamente richiesto la prestazione al privato. Inoltre il Tribunale ha ritenuto non provata la domanda, sotto il profilo del riconoscimento, da parte del Comune, dell’utilità dell’opera.

Proponevano appello gli eredi P. contestando l’applicazione retroattiva della L. n. 144 del 1989 e ritenendo provato il riconoscimento, per facta, concludentia dell’utilità dell’opera da parte del Comune che l’aveva già utilizzata. Il Comune di Vico Equense ha proposto appello incidentale condizionato per far valere in linea subordinata alla richiesta di rigetto dell’appello l’eccezione di prescrizione dell’azione di indebito arricchimento.

La Corte di appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 144 del 1989 in quanto non era stata fornita alcuna prova circa l’anteriorità della realizzazione delle opere rispetto all’entrata in vigore della L. n. 144 del 1989.

Ricorrono per cassazione gli eredi P. unitamente alla società in nome collettivo proponendo due motivi di ricorso.

Si difende con controricorso il Comune di Vico Equense.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce: la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 convertito nella L. 2 aprile 1989, n. 144 e successive modifiche e integrazioni, dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti ribadiscono che a loro giudizio il D.L. n. 66 del 1989, art. 23 si applica alle sole forniture di beni e servizi, sempre che sia stato stipulato un contratto, non anche ai lavori. Contestano che la disciplina in questione sia applicabile, oltre che alle esecuzioni successive alla sua entrata in vigore, anche ai casi di mancata ultimazione delle opere a tale epoca. I ricorrenti ritengono infine che sia carente la motivazione della Corte di appello laddove ha affermato un difetto di prova circa l’avvenuta ultimazione di almeno di una parte delle opere prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989 e nonostante in primo grado non fossero state ammesse le prove per interrogatorio formale e testi dedotte da parte attrice dirette a provare la consegna di una parte dell’opera al Comune e la sua utilizzazione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 convertito nella L. 2 aprile 1989, n. 144 e successive modifiche e integrazioni, e del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 191 e 194 (T.U.E.L.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 184 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti, dopo aver rilevato che la Corte di appello ha ritenuto inammissibile l’azione di indebito arricchimento per difetto del requisito della non esperibilità di altre azioni, in conseguenza dell’applicazione del citato D.L. n. 66 del 1989, art. 23 ha lamentato la mancata applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 191, comma 4 che prevede, nel caso di acquisizione dei beni e dei servizi richiesti in violazione degli obblighi contabili, che il rapporto obbligatorio intercorra fra il funzionario negligente e il privato ma solo per la parte di tali beni o servizi che non siano riconoscibili a mente della stessa L. n. 267 del 2000, art. 194, comma 1, lett. e).

I due motivi devono essere esaminati separatamente.

Il primo motivo è infondato nei vari profili prospettati. La disposizione di cui al D.L. n. 66 del 1989, art. 23 (conv.to in L. n. 144 del 1989) si applica al rapporto dedotto in giudizio dalla Costruzioni Aniello Porzio & C. s.n.c. e dai suoi soci dato che ha per oggetto la realizzazione di opere destinate ad uso pubblico, categoria che, secondo la giurisprudenza consolidata, rientra nel concetto di acquisizione di beni strumentali all’esercizio delle funzioni proprie dell’ente territoriale (Cass. civ. 19037/2010).

La predetta disposizione di legge ha per oggetto proprio le ipotesi in cui l’amministrazione richiede la fornitura di prestazioni e beni senza stipulare un valido contratto e ha, fra gli altri scopi, quello di impedire la formazione di posizioni debitorie prive di copertura finanziaria che, gravando sul bilancio della amministrazione, determinerebbero necessariamente la formazione di un passivo a carico dell’ente.

E’ infondata altresì la censura relativa alla pretesa applicazione retroattiva della norma perchè non può ritenersi tale l’applicazione ai rapporti, non disciplinati da un regolare contratto, e relativi ad opere che siano state eseguite dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989. Nella specie è pacifico che l’opera commissionata non è stata terminata (se mai lo è stata) in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto legge n. 66/1989. Nè ha senso distinguere a tal fine fra la parte dell’opera che poteva considerarsi ultimata e quella ancora incompiuta. Il presupposto di applicazione della nuova disciplina, consistente sostanzialmente nell’esclusione dell’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti delle amministrazioni, è infatti 1’esperibilità di una azione diretta nei confronti degli amministratori e funzionari che si sono resi responsabili dell’esecuzione della prestazione senza che fossero poste in essere le formalità necessarie all’affidamento dell’incarico. Ma a parte tali considerazioni la odierna parte ricorrente non ha mai dedotto, per quello che risulta dall’esposizione dei fatti processuali contenuta nel ricorso per cassazione, una data di conferimento dell’incarico antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989.

Infine quanto alle censure relative alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale e al mancato espletamento di consulenza tecnica si rileva la inammissibilità del ricorso atteso che il controllo di legittimità sulla motivazione del giudice di merito in ordine alla irrilevanza di un mezzo istruttorio non può trasformarsi in una riapertura della fase istruttoria con la conseguente valutazione discrezionale, da parte del giudice di legittimità, dei mezzi di prova (e tale comunque non è mai la consulenza tecnica d’ufficio). La congruità e sufficienza della motivazione sul punto della rilevanza dei mezzi di prova si desume dalla logicità, coerenza ed esaustività della motivazione al fine di giustificare la decisione e tale controllo non è possibile se il ricorso per cassazione non presenta i requisiti di autosufficienza che consentano al giudice di legittimità di valutare appieno la sussistenza di tali qualità della motivazione. Il testo della prova per interrogatorio formale e testi riportato nel ricorso è tale, per la sua genericità e indeterminatezza, da far escludere la sua rilevanza al fine di attestare non solo l’ultimazione dell’opera prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legge ma anche la utilizzazione parziale dell’opera il conferimento dell’incarico e lo stesso conferimento dell’incarico in epoca antecedente alla entrata in vigore della disposizione normativa in questione. E’ innegabile d’altra parte che l’onere di provare tale anteriorità non potesse che gravare sul soggetto che rivendicava il diritto di avvalersi della precedente normativa.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso non può non rilevarsi come le norme di cui i ricorrenti chiedano l’applicazione siano successive alla data di proposizione della domanda e comunque non risulta che successivamente alla loro entrata in vigore la odierna parte ricorrente ne abbia chiesto l’applicazione nel corso del giudizio di merito modificando la causa petendi originaria.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna al pagamento delle spese giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.200 Euro di cui 200 per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2011

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